Le musiche di corte
Le musiche di corte Il concerto al Conservatorio Le musiche di corte La bella esecuzione del complesso di ottoni di Edward Tarr Da un concerto del complesso d'ottoni di Edward Tarr si esce ringagliarditi come da una sauna. Bandite le querimonie di clarinetti, oboi e flauti, l'aria vibra nelle colonne di due trombe, due tromboni e un corno con una salubre, primitiva elementarietà. E quando questi strumenti, di solito pericolosamente imprecisi, vengono suonati con la giustezza e l'agilità di violini e violoncelli, allora si è davvero di fronte a un'esperienza unica nel mondo dei suoni. Certo, sarebbe meglio se fossero tutte belle le musiche eseguite. Il che non è facile ottenere, specialmente in un programma che eviti puntigliosamente quelle stupende Canzoni di Gabrieli di cui il complesso ha fornito prestigiose incisioni. Ottimo surrogato tre Courtly Masquing Ayres (1621), dell'inglese John Adson, musiche di corte piene di fasto e di magnificenza. E Bach è sempre Bach, comunque venga trattato: il Contrapunctus primo dell'Arie della fuga va benissimo scandito dalle voci di due trombe e due tromboni, e il corale Christ lag in Todesbanden si può sentire anche così; certo sull'organo è un'altra cosa. Ma le pavane e gagliarde di cui il fiammingo Pierre Phalèze fu nel Cinquecento editore non sono niente più che modesti ritornelli di danza, sul ritmo d'un tamburello che per l'occasione suonava il cornista Alfred Kasprzok, E proprio maluccio vanno le cose per la parte recente del programma. Scialbe esercitazioni scolastiche il Quintetto d'ottoni (1942) del cattedratico americano Robert Sanders e la Music for brass instruments di Ingolf Dahl (1944), americano d'origine svedese. Pretese d'avanguardia ha invece Scanning (Scansione, 1970) del tedesco Giinther Becker, che mescola abilmente il timbro degli ottoni ai suoni eterocliti uscenti da un nastro magnetico: ci sono delle trovatine, ma non c'è mai il colpo di genio, la zampata alla Stockhausen. E infine, From the steeples and the mountains (Da campanili e montagne), del grande precursore americano Charles Ives, perde tutta la sua aerea stereofonia se viene privato del tessuto sonoro campanario, sostituito con la compressa e inscatolata registrazione di due pianoforti. Ci si trova a rimpiangere che questi magnifici suonatori di fiati siano troppo giovani per essere stati conosciuti da Paul Hindemith: quali meravigliose e angolose fanfare avrebbe scritto per loro quel mago degli ottoni! Applausi vivissimi, con la speranza di risentirci. m. m.
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