Il "tuffo" di Paestum di Francesco Rosso

Il "tuffo" di Paestum INCHIESTA SULL'ITALIA SOTTERRANEA: CAMPANIA Il "tuffo" di Paestum La malaria ha protetto per secoli questa zona: oggi vi affiorano miracolosamente le pitture di Grecia (Dal nostro inviato speciale) Salerno, marzo. Ogni volta che parlo con un Soprintendente alle Antichità e gli rivolgo la domanda: « Quanto c'è da disseppellire ancora nella sua giurisdizione? », la risposta è quasi sempre identica: «Pressoché tutto ». Così mi rendo conto che i templi più o meno conservati, le statue ed i vasi raccolti nei musei, cioè guanto appare visibile, può sedurre per la perfezione artistica, commuovere per i pensieri che suscita, ma rimane soltanto una piccola frazione di quanto le antiche popolazioni che abitarono l'Italia meridionale, dalla preistoria al culmine di ci¬ viltà della Magna Grecia, hanno prodotto e lasciato come testimonianza del loro passaggio sulla terra. Paestum è uno di tali nodi cruciali, e Mario Napoli, il soprintendente più «chiacchierato» d'Italia, ne tiene i bandoli. I templi, sono lì, visibili a tutti già da lontano. Hanno duemilacinquecento anni e li portarlo benissimo. Li ha salvati non l'ammirazione degli uomini, ma la malaria. Dal sesto secolo prima di Cristo furono il centro di una fede, la religione dei miti e degli dei ellenici, che da Paestum, originariamente Poseidonia, la città di Nettuno, si irradiava in tutto il Mediterraneo. Quale sia stata la potenza economica e cidturale di Paestum, lo dicono i templi, certo i più solenni e giganteschi di tutta la civiltà greca, ed i meglio conservati, se si fa eccezione per il tempio della Concordia di Agrigento. Ricordo di aver letto da qualche parte che i templi dell'Italia meridionale, eretti dai coloni greci che qui avevano trovato la fortuna di una terra fertilissima, potrebbero, in un certo senso, essere paragonati ai grattacieli costruiti dai coloni italiani, o polacchi, o tedeschi, 0 inglesi, emigrati negli Stati Uniti. Mario Napoli inorridisce, come avesse sentito una bestemmia; la Magna Grecia non ha mai reciso il funicolo con la madre patria, quei coloni che costruivano città come Paestum, Siracusa, Metaponto, Crotone, Sibari, Reggio continuavano a considerarsi greci ad ogni effetto, al punto che potevano partecipare alle gare Panatenaiche ed alle Olimpiadi, competizioni riservate esclusivamente ai greci. Benissimo, dissipiamo questi malintesi, ed andiamo avanti. Quanto c'è ancora da scoprire a Paestum se, a quanto pare, tutto è già lì in evidenza, dai templi conclusi nella loro armoniosa bellezza, agli oggetti di scavo raccolti nel piccolo, ma dovizioso museo? « Ci sarà lavoro ancora per un secolo almeno, risponde M. Napoli, quello che abbiamo trovato è solo un campioncino di quanto c'è ancora sottoterra, e forse è meglio che ci rimanga, finché non saremo in grado, non dico di disseppellire, ma di conservare ciò che troviamo. Oggi siamo schiacciati dal troppo materiale ». Celeberrima da sempre, ancor celebre ai tempi dei romani, adottata dal cristianesimo, Paestum scomparve letteralmente dalla memoria degli uomini già nel secolo IX dopo Cristo. La riscoprirono i Borboni nel secolo XVIII e come già avevano fatto a Pompei, incominciarono i loro scervellati scavi per trovare qualche bell'oggetto per arricchire le loro collezioni, o da mandare in dono a monarchi amici. Per fortuna, la malaria fu ancora alleata di Paestum, e gli scavi furono condotti al rallentatore; gli operai mandati sul posto si beccavano subito la quartana e se non morivano volevano tornare a casa. Poi i terreni paludosi furono bonificati, la piana attorno a Paestum divenite grande produttrice di ortaggi, le strade incanalarono gli afflussi dei turisti. Tutto andava per il meglio, come a Pompei; i grandiosi templi erano lo sfondo ideale per la fotografia ricordo o il filmino da proiettare dinanzi agli amici. Tutto filava su ruote ben oliate; di Paestum, ormai, si sapeva tutto, com'era la città antica, la sua urbanizzazione ippodamea, con le vie che si intersecavano ad angolo retto, meglio di quelle di Torino. Tutto andava così finché sul finire del 1960 fu nominato soprintendente di Salerno il prof. Mario Napoli, che fece la più sensazionale scoperta archeologica di tutti ì tempi, la pittura murale greca, di cui non ci era giunta nessuna testimonianza. Di tombe ne erano state scavate già nel 1870, ma avevano rivelato solo alcuni vasi, nulla più. Quando Mario Napoli portò alla luce la tomba detta del « Tuffatore », in cui è rappresentato un giovane di proporzioni atletiche perfette che si lancia da un trampolino sullo sfondo d'un cielo azzurro su cui svettano due palme, si gridò al miracolo: era tornata alla luce un'opera d'arte che valeva la Vittoria di Samotracia. Come un volo Accorsero giornalisti specializzati e no, si precipitò la Tv a filmare la mirabile lastra dipinta. Dodici ore dopo quella proiezione, tutte le Tv del mondo richiesero il documentario: Mario Napoli entrò nelle case d'Europa, d'America, d'Asia a spiegare come e perché era stata trovata l'opera preziosa, ad illustrare la perfezione stilistica con cui il pittore aveva reso quel tuffo, leggero come un volo. « E' stato fortunato », dissero molti, come in un giro di roulette. « Può darsi che abbia anche avuto fortuna — mi dice il prof. Napoli — ma non bisogna dimenticare il mio metodo di ricerca. Quando sono giunto qui, i miei predecessori avevano scavato soltanto dentro la città. Io mi sono posto un altro quesito, studiare il territorio di Paestum al di fuo- 1 ri delle mura. Se Paestum I era stata una grande città, I per forza doveva avere attorno a sé una grande necropoli. Ho cercato, ed ho trovato tombe del VI secolo prima di Cristo, tra cui quella del "Tuffatore", la prima pittura greca tornata alla luce dopo due millenni e mezzo. Non l'ultima però; pochi mesi dopo, una missione americana che scavava in Licia, nell'Asia Minore, scopri altre tombe greche dipinte; ho perduto l'eccezionalità, ma non il primato ». Ma la storia delle scoperte non finisce qui, anzi, ha risvolti d'un interesse storico, artistico ed umano eccezionale. Tra il 1968, anno della scoperta della tomba del «Tuffatore», ed il 1972, Mario Napoli continuò a scavare con grande successo trovando altre tombe dipinte, ma non più greche. Evidentemente, Paestum era stata assalita e vinta da popolazioni barbare calate dal Centro-Nord; le ricerche hanno consentito di stabilire che si trattava di genti lucane, incolte e rozze, ma in un certo modo influenzate dalla civiltà greca con cui dovevano aver avuto contatti. «Tra la tomba del "Tuffatore" — dice Mario Napoli — e quelle lucane, sono passati circa 130 anni, ma è come se si fosse concluso un ciclo. I pittori lucani se ne infischiano della lezione greca e si esprimono con il loro linguaggio rozzo, incolto, ma originale. Nelle oltre duecento lastre di tombe dipinte che abbiamo trovato, alcuni pittori lucani pare si sforzino di ripetere la lezione greca, ma con tali sgrammaticature da lasciare perplessi; l'incontro fra la raffinata cultura greca e la noncultura lucana assume aspetti drammatici, esprime il dominio di popolazioni bellicose, ma rozze, su altre che avevano alle spalle secoli di civiltà culturale ed artistica ». Nella bufalara Allora, la Paestum greca scompare all'arrivo dei barbari autoctoni lucani? Mario Napoli fa un cenno con la mano, come a dire: attenda. Nell'estate del 1973, scavando in una bufajara, pascolo di bufali, furono rinvenute altre tombe. Sì aprì un foro nel soffitto ed il soprintendente illuminò l'interno con una torcia. Rimase abbagliato; le pareti della tomba erano dipinte da una mano sapientissima, il pittore conosceva sicuramente la lezione greca perché quei dipinti valevano quello del « Tuffatore ». « Invece, niente — dice Mario Napoli — era tutt'altra cosa. La tomba del "Tuffatore" è del VI secolo, quelle lucane della metà del IV, queste erano degli inizi del III secolo prima di Cristo. Evidentemente erano già arrivati i romani, che avevano sotto¬ messo i rozzi lucani e si erano accostati ai greci, aristocratici della cultura, di cui appresero usanze e tecniche artistiche. Le pitture di queste ultime tombe sono di ammirevole eleganza e perfezione, persin leziose nella ricerca della perfezione formale ». Pitture a parte, quali altre differenze sono riscontrabili nelle tombe dei tre successivi periodi storici? « Le tombe greche, anche quella del "Tuffatore", hanno un corredo funebre ridottissimo, un solo vaso, un paio di lucerne. Quelle lucane sembrano tombe proprie del parvenu di quasi due millenni e mezzo fa, sono stipate di vasi ed ornamenti, un minimo di quindici, venti vasi per tomba, oltre a tanti altri oggetti posti come corredo del morto. Nelle tombe del terzo ciclo si ritorna alla misurata eleganza dell'aristocratico periodo greco. Devo però dire che anche nelle tombe lucane il copioso corredo funebre è di altissima qualità, certo prodotto da artigiani greci che lavoravano nelle fornaci di Paestum ». Di tombe da scavare ve ne sono ancora migliaia e migliaia, non c'è pericolo che i ladri necrofili ne approfittino? v. No — risponde Mario Napoli — qui il fenomeno dei tombaroli è ignorato perché il terreno è molto frazionato ed i contadini si sentono proprietari anche di quanto c'è sotto e montano la guardia. Noi gli diamo in valore venale il venticinque per cento di quanto troviamo, ed è molto di più di quanto otterrebbero dagl'incettatori di reperti archeologici, gente senza scrupoli che strumentalizza anche la povertà del tombarolo. Solo che lo Stato paga sempre in ritardo; dovrebbe delegare le Soprintendenze a retribuire i proprietari; meglio mezzo milione subito che settecentomila lire fra un anno ». Mario Napoli non è sfuggito al cataclisma dei trasferimenti, lo hanno destinato a Taranto; dovrebbe piantare il lavoro iniziato con successo a Paestum per andare a ricominciare in Puglia. « L'ho già detto ad altri, e lo riconfermo a lei; non mi muoverò di qui per nessuna ragione; piuttosto mi dimetterò ». Così, l'archeologia italiana perderà un altro dei suoi più validi esponenti grazie alla legge dissennata dei superburocrati. Francesco Rosso