È COMINCIATA LA CAMPAGNA PER IL REFERENDUM di Lietta Tornabuoni

È COMINCIATA LA CAMPAGNA PER IL REFERENDUM È COMINCIATA LA CAMPAGNA PER IL REFERENDUM La Rai si astiene? I dirigenti hanno preso solenne impegno di "non influire né in un senso né nell'altro" - Ma i divorzisti non si fidano - Forse ci saranno delle speciali Tribune Roma, marzo. Tra no e sì, la Rai-tv si astiene? « Il rischio non è che il Telegiornale dica che i divorzisti abbandonano i neonati sui gradini delle chiese. Il vero rischio è la propaganda indiretta, il messaggio inviato attraverso la notizia di cronaca sulla retata di drogati o il teleromanzo. E' una maceria diffìcilmente controllabile: qualche colpetto lo tenteranno », dice l'onorevole Enrico Manca, che a questa materia sovrintende per conto del partito socialista. « Non inventiamola, la polemica. David Copperfield soffre del secondo matrimonio della madre vedova: ma si tratta di un romanzo popolare del 1850, io non lo credo divorzista né antidivorzista. L'originale televisivo " Dedicalo a una coppia " è stato definito un polpettone fazioso: forse per la prima volta in tv, raccontava invece con rispetto e civiltà una irrisolta crisi coniugale. In ogni caso, basta. Il nostro indirizzo è di assoluta neutralità rispetto alle due tesi in campo: è l'unico atteggiamento decente e possibile », garantisce il professor Angelo Romano, che dirige il vasto settore degli spettacoli televisivi ed ha sottoscritto l'appello dei « cattolici democratici » a favore della legge FortunaBaslini. Mentre la campagna per il referendum già si inasprisce negli infiammati discorsi dei leaders politici e già si infittisce di polemiche (« poveri cocchi », « pigliano l'aceto », oppure « goffe manovre », « mentono, falsificano », si intitolano i corsivi sui giornali di partito); mentre i manifesti invocanti « No » e « Sì » già coprono i muri delle città e già, sui giornalini parrocchiali, smodati sacerdoti proclamano che il divorzio nasce dal desiderio di « comodacelo personale » e da una « morale godereccia » che riporta alla « ferinità istintiva degli uomini primitivi », la Rai-tv promette di abolire persino la famiglia. Preso solenne impegno con la commissione parlamentare di vigilanza di « non influire attraverso i programmi né in un senso né nell'altro », un mese fa i dirigenti radiotelevisivi hanno emanato pertinenti circolari e tenuto severe riunioni interne, fatto ai capiservizio tutte le rigorose raccomandazioni relative. La direttiva, applicata con variabile zelo da funzionari timorosi o scansagrane, dovrebbe cancellare la vita dai programmi televisivi: come se il divorzio ponesse in discussione l'istituto familiare, fino al 12 maggio di matrimonio, separazione, divorzio, famiglia, educazione dei ragazzi, fedeltà e infedeltà, amore e fidanzamento, bambini bentrattati e maltrattati, figli e amanti, non si parla più. Niente più famiglie numerose chiamate a risolvere i quiz marginali di « Rischiatutto »: adesso è a comunità, assemblee di fabbrica, cooperative o gruppi sportivi che Mike Bongiorno propone di indovinare a chi appartengano alcune voci mi- steriose. Mariti traditi, figli difficili e mogli dolenti non sono più protagonisti onnipresenti del « 3131 »: « Ci siamo ridotti a parlare di certe mucche che non hanno dove pascolare, del samurai giapponese del Circo Triberti, di accalappiacani, di giovanotti che vogliono studiare canto », dice il conduttore della trasmissione, Paolo Cavallina. I servizi culturali della tv hanno eliminato quattro puntate del programma domenicale « Parliamo tanto di loro », un confronto tra coppie di genitori interrogati sui figli bambini; hanno imposto ai titolari delle rubriche religiose cattolica, protestante e israelita di non accennare neppure al divorzio. Ed hanno abolito una trasmissione della serie «Passato e presente » che rievocava l'elaborazione nel 1947 dell'articolo della Costituzione che prevede l'istituto del referendum. La rubrica televisiva «Ore 20 » ha cancellato dai programmi un'inchiesta sull'educazione dei bambini, e ogni altro tema riguardante la famiglia. Dalla prosa radiofonica è stato messo al bando tutto il teatro borghese dell'Ottocento-Novecento, tanto ricco di adultera, intrighi coniugali e amanti nell'armadio; prima fra tutte, la commedia Divorziamo?, che finisce con la decisione dei protagonisti di non divorziare affatto ed è perciò cavallo di battaglia della compagnia D'OrigliaPalmì nel teatrino parrocchiale romano di Borgo Santo Spirito. A « Cararai » è stato troncato un appassionato dibattito con gli ascoltatori sui rapporti prematrimoniali: non l'ha salvato neanche il fatto di occuparsi di faccende precedenti il matrimonio. Dai programmi di prosa televisivi è stato eliminato II cadavere vivente dì Tolstoi, che narra una crisi coniugale; i film da trasmettere al lunedì e mercoledì delle prossime otto settimane sono stati cautamente scelti tra quelli che ignorano i problemi familiari. In un momento importante per l'evoluzione del Paese, il più influente e diffuso mezzo di comunicazione, unica fonte d'informazione per migliaia e migliaia di cittadini, rinuncia a quella che potrebbe essere la sua funzione culturale e civile. Posti per la prima volta (dalla delicatezza della scelta del referendum, dall'attento controllo esercitato dai divorzisti, dagli equilibri di governo) nella necessità di essere obiettivi, i dirigenti radiotelevisivi si impegnano a tacere. Pure gli oppositori ritengono che astenersi dal trattare temi anche lontanamente discutibili non sia la peggiore soluzione, per l'azienda radiotelevisiva che dei rapporti sentimentali o coniugali e dell'etica personale o familiare ha sempre offerto un'immagine tradizionale, statica e conforme alla morale cattolica, una immagine coincidente con quella degli antidivorzisti. Anche gli oppositori riconoscono che, nei programmi culturali e di intrattenimento, la consegna di tacere sembra rigorosamente assegnata e rispettata. Sarebbe una novità, ma non casuale. Il momento è spinoso: alla fine d'aprile, scaduta l'ultima proroga, verrà discusso il rinnovo della concessione alla Rai-tv del suo monopolio; in vista degli accordi di governo per la riforma, l'azienda deve accreditare presso i partiti divorzisti socialista, socialdemocratico e repubblicano un'immagine di sé non troppo faziosa; proclamare la neutralità è per i dirigenti il solo modo di sottrarsi alle contestazioni dall'interno. Astenersi è infine, per dirigenti che non rappresentano la destra democristiana, l'unica maniera per salvaguardare, qualunque sia l'esito del referendum, la propria posizione personale. I vigilanti Ci sarà da fidarsi? « Se ci fidassimo, non sarebbe nato il Comitato unitario di vigilanza », dice il dottor Guido Levi, programmista, segretario della cellula comunista della Rai-tv. Il Comitato, sorto senza rappresentatività né fini politici tra i dipendenti dell'azienda, è sostenuto finora da 1200 firme, per esempio quelle di Raniero La Valle, Giulio Cattaneo, Maurizio Barendson, Massimo Rendina, Mario Pastore, Sergio Telmon, Tito Stagno, Nuccio Fava; si propone di esercitare dall'interno il controllo sui programmi, di denunciare all'esterno le eventuali violazioni all'impegno di neutralità; vuol avere come interlocutori l'on. Delle Fave, la Commissione parlamentare di vigilanza, il Consiglio di azienda e, attraverso i giornali, l'opinione pubblica. « E' vero che, in questo caso, sono state impartite e osservate rigide direttive di astensione, ma la sfiducia nasce dall'esperienza: sappiamo bene quale uso sia sempre stato fatto in passato della programmazione ». Anche in questo caso, c'è almeno un concreto motivo di diffidenza: dell'appello dei « cattolici democratici » che invitava « tutti i cittadini di fede cristiana » a votare « no », come dei moltissimi pronunciamenti di gruppi cattolici contro l'abrogazione della legge Fortuna-Baslini, la Rai-tv non ha mai dato notizia. Se tutto va bene, il referendum, le polemiche e le argomentazioni che esso suscita, le ragioni del « no » e i motivi del «sì» resteranno confinati in un particolare settore del Telegiornale e nelle speciali « Tribune » elettorali, previste in numero di dieci. Rappresentanti dei quattro partiti che formano o appoggiano il governo ne stanno discutendo da più di un mese. Le riunioni però sono state soltanto tre, le discussioni vengono sovente rimandate o vanno per le lunghe: « I nodi da sciogliere e i dissensi da appianare, anche all'interno dei diversi partiti, sono ancora parecchi », dice l'on. Manca. « Inutile inasprirsi nelle riunioni ». Chi partecipa? / problemi, secondo l'abitudine ormai costante di decidere tutto « al vertice », verranno più facilmente risolti in sede di governo o di Parlamento: e sono parecchi. « Chi deve partecipare alle "Tribune"? Secondo la legge, soltanto i partiti e il comitato promotore del referendum. Noi abbiamo proposto anche un confronto tra Gabrio Lombardi e Loris Fortuna, una trasmissione dedicata ai cattolici contrari all'abrogazione della legge di divorzio, un'altra trasmissione dedicata alla Lega italiana del divorzio, ai Comitati civici, al Comitato per la difesa del divorzio. Ma anche qui... chi decide se ad avere diritto di intervento son proprio questi movimenti d'opinione? E se poi sorge un quarto comitato, un quinto? In sostanza, i democristiani intendono soprattutto e ad ogni costo evitare che la voce dei cattolici antiabrogazionisti arrivi dal video; secondo noi, invece, non possono essere assenti, né possono ospitarli i partiti divorzisti, che toglierebbero loro credibilità. La democrazia cristiana, poi, vuole soltanto confronti a due, tra un partito divorzista e uno antidivorzista: in modo da essere quasi onnipresènte e da evitare di comparire affiancata al msi. Ma se con il msi non ci vuole stare, lo dica ». / partiti, dal canto loro, hanno il problema di scegliere efficacemente i propri portavoce: dovrebbero essere spesso donne, sempre gente simpatica, non troppo giovane e neppure troppo vecchia: ma la vanesia ricerca di popolarità dei singoli dirigenti politici e le coatte leggi delle correnti contrastano con le esigenze televisive. Altri problemi presentano le « Cronache del referendum » che, secondo lo. proposta, dovrebbero trasmettere subito prima o subito dopo il Telegiornale, secondo un « tempo di rigaggio » o « minutaggio » « precisamente diviso a metà », tutte le informazioni riguardanti il referendum. Ripresa diretta dei discorsi, o notizie date a commento delle immagini dei comizi? A chi affidarne la redazione? A giornalisti della Rai-tv? E se poi si lasciano influenzare dai timori per la propria carriera futura? A giornalisti esterni? Ma sarebbe, dal punto di vista sindacale, corretto e possibile? Insomma, questi commenti chi li scrive, chi li legge dal video? E in quale ordine? Prima ì divorzisti o prima gli antidivorzisti? E il direttore del Telegiornale, che l'on. Manca definisce « il più fazioso che ci sia mai stato », avrà o no potere d'intervento? Le trappole dei mass media sono tante, tutto sembra molto incerto. Un'unica cosa appare fin d'ora sicura: ammesso che la scelta del referendum appassioni la gente nella vita, sul video si ridurrà al nulla del silenzio o a una burocratica tediosa tetra sfilata delle solite facce e dei soliti discorsi, che ben pochi ascolteranno. Lietta Tornabuoni Milano. Femministe manifestano per il divorzio e la riforma della famiglia (Grazia Neri)

Luoghi citati: Milano, Roma