All'arcivescovo la prima lettera dei banditi Chiesero sei miliardi, mediatore un gesuita di Ezio Mascarino

All'arcivescovo la prima lettera dei banditi Chiesero sei miliardi, mediatore un gesuita La rete mafiosa dell'Anonima sequestri si estendeva da Milano e Torino a Palermo All'arcivescovo la prima lettera dei banditi Chiesero sei miliardi, mediatore un gesuita Mentre le trattative erano in corso i carabinieri (10 gennaio) perquisirono la cascina di Moncalieri per cercare le banconote di Torielli - Allora i rapitori (16 gennaio) trasferirono il prigioniero a Treviglio - L'intermediario sostituito con un religioso di Palermo - Una sola organizzazione per Torielli, Panattoni e Getty Venti giorni dopo il rapimento di Luigi Rossi di Montelera, cioè ai primi di dicembre dell'anno scorso (il sequestro avvenne, com'è noto, il mattino del 14 novembre) i banditi si sono fatti vivi con una lettera spedita dalla Sicilia all'arcivescovo di Torino, in cui si chiedeva di farsi intermediario con la famiglia Montelera. Nella lettera era indicato il riscatto: 6 miliardi. L'indiscrezione è trapelata ieri a Papermo, come ci intorma il nostro corrispondente, insieme ad altri particolari sulle trattative intercorse tra i rapitori e i familiari dell'ostaggio, cioè i (rateili Lorenzo ed Ernesto che hanno tenuto 1 contatti, durante 1 quattro mesi, con i due intermediari: un sacerdote appartenente alla congregazione dei gesuiti, e un religioso di Palermo. Appena ricevuta la lettera — molto lunga, scritta a macchina e con il tipico stile mafioso, di vaga minaccia — la segreteria dell'arcivescovado si mise subito in contatto con la famiglia Montelera che, dopo la telefonata del 14 novembre (« Luigino sta bene, è con noi, non avvisate la polizia, ci rifaremo vivi ») non aveva più ricevuto notizie. Non si sa, è naturale, che cosa sia stato detto in quel colloquio avvenuto nella massima segretezza, né quali decisioni siano state prese. E' certo comunque che nella riunione a villa Lydia, o in quelle successive, fu stabilito di rivolgersi a un religioso per affidargli il compito delicato e pericoloso di far da intermediario tra la famiglia e l'emissario dei rapitori. La scelta cadde su un gesuita, molto noto nella nostra città, amico dei Montelera, il quale accettò senza esitazioni di tenersi in contatto con l'organizzazione. SI fa, In proposito, una seconda Ipotesi. La scelta del sacerdote torinese non sarebbe stata fatta dalla famiglia, ma dagli stessi banditi I quali avrebbero cosi dimostrato di essere al corrente non solo delle condizioni economiche del Montelera, ma anche delle loro conoscenze religiose. Avviate le trattative, il padre gesuita avrebbe ricevuto decine e decine di telefonate, nel suo studio privato, e le poche lettere che 1 rapitori gli spedivano dalla Sicilia e da Torino, con i messaggi autografi dell'ostaggio, costretto a scrivere frasi di circostanza: « Sto bene, saluti a casa, fate in fretta, obbedite a loro », su strisce di sarta con l'intestazione di quotidiani come La Stampa, Il Messaggero, Il Corriere della sera. Pare che i carabinieri abbiano registrato tutte le comunicazioni telefoniche ed ora sarebbero in possesso di un'ulteriore prova contro i fratelli Taormina e Giuseppe Ugone: la voce di uno di loro. I contatti tra la banda e l'intermediario proseguirono felicemente fino a metà gennaio, quando un giornale di Roma pubblicò un articolo che mandò su tutte le furie i rapitori, i quali ebbero il timore che qualcuno, forse 10 stesso intermediario, volesse fare 11 doppio gioco. La notizia, sia pur con molte inesattezze, rivelava che i messaggi di Luigi venivano recapitati alla famiglia su strisce di giornali. « Non ci fidiamo più di lei », avrebbe comunicato un bandito al sacerdote. E 1 contatti caddero. Segui un lungo periodo di silenzio, In cui l'angoscia della famiglia Montelera si mutò in disperazione. Ogni tentativo di riprendere il collegamento con la banda non ottenne risultato. Infine, dopo una ventina di giorni, 11 rapitore che aveva l'incarico di telefonare, si rifece vivo. Non si sa con chi. La speranza tornò nella villa di Pianezza. Il bandito, però, ordinò che l'intermediario fosse sostituito con un altro religioso, il quale non doveva risiedere a Torino, ma in Sicilia, a Palermo. Il sacerdote fu trovato subito e le trattative ripresero con lui, sia per telefono sia per lettera. Ormai si era alla fine di febbraio, le maggiori difficoltà sull'intesa per il prezzo del riscatto erano superate, si entrava ormai nei dettagli pratici del versamento della somma. La cifra « concordata » non è nota, ma è facile presumere che si aggirasse sulla metà di quella iniziale proposta dal banditi. II pagamento del riscatto avrebbe dovuto avvenire a Palermo, tramite 11 sacerdote. Tutto era pronto, o quasi, quando la Guardia di Finanza fece l'Irruzione nella cascina di Treviglio e scopri l'ostaggio. Il voluminoso dossier sul sequestro di Luigi Rossi di Montelera si arricchirà quindi della « corrispondenza » intercorsa tra la banda e i due intermediari, e delle bobine registrate. Perizie calligrafiche, tecniche e foniche dovranno rispondere a numerosi quesiti dei magistrati. Come si è detto, pare che le missive fossero scritte tutte a macchina, in buon italiano. Anche questi sono elementi importanti per mettere definitivamente con le spalle al muro i responsabili. Sergio Ronchetti Il dossier d'accusa contro l'« anonima sequestri » si arricchisce di nuovi elementi. L'inchiesta dei magistrati Turone-Roberto-Sciarafia procede speditamente, si rafforzano le prove a carico dei «clans» Taormina e Ugone. La scoperta di connessioni tra il rapimento dell'industriale Torielli e quello di Montelera e soprattutto l'individuazione delle varie «prigioni», hanno offerto agli inquirenti materiale di notevole interesse. La cella sotterranea a Valle Palma di Moncalieri continua a fornire sorprese. Tutti i pezzi del piano criminoso trovano una perfetta collocazione e riscontro nelle dichiarazioni rilasciate da Rossi di Montelera ai magistrati. Ma la cascina nasconde forse altre cose che potranno servire all'indagine non appena il giudice deciderà di scoperchiare il pavimento della vecchia cucina e il marciapiedi costruito nel cortile da Ugone e dai suoi aiutanti. Lo farà probabilmente dopo aver accompagnato Luigi di Montelera alla fattoria per il riconoscimento della cella e degli oggetti che vi sono stati trovati. Il sopralluogo dovrebbe svolgersi oggi, il dott. Sciarada attende che i colleghi di Bergamo e Milano fissino il giorno e l'ora. Ieri 12 giornata di indagini ha registrato alcune importanti conferme. SI sono avute da nuove visite alla cascina, dal racconto di alcuni testimoni, da una nuova dettagliata descrizione della prigionia fatta da Rossi di Montelera al magistrato. Come si ricorderà il giovane industriale torinese subito dopo il rapimento è stato caricato su un'auto e portato in una località collinare. Rossi di Montelera ha già raccontato il breve viaggio, i viottoli in salita e tortuosi, il buio della cella per circa 20 giorni. Agli inquirenti nei giorni scorsi ha aggiunto altri particolari: « Per le prime due settimane non sono mai stato lasciato solo. Due banditi si alternavano alla guardia, dormivano con me nella stessa cella. Temevano che mi uccìdessi. Ero incatenato a un polso, ma pensavano che potessi sbattere la testa contro il muro ». Per quindici giorni i rapitori gli sono rimasti a fianco. Quando uno si allontanava, comunicavano tra loro con telefoni-giocattolo. Servivano per il cambio della guardia e per segnalare l'eventuale presenza di estranei. I telefoni sono stati trovati ieri. Così come la branda (quattro pezzi di legno sistemati intorno a una rete metallica lunga appena 1,60) e una stufetta elettrica a due elementi. Ma i carabinieri e lo stesso dott. Sciarada hanno scoperto qualcosa di più: una guida telefonica con i numeri di telefono dei Rossi di Montelera segnati parecchie volte con una matita blu e un taccuino con alcuni nomi. Polizia e carabinieri li hanno controllati, sono tutti di appartenenti a cosche mafiose, ex vigilati speciali o a domicilio coatto. Il 10 gennaio scorso i carabinieri di Milano hanno compiuto una perquisizione nella cascina di Giuseppe Ugone. In quei giorni Rossi di Montelera era chiuso nella cella sotterranea vigilato da uno dei banditi. I carabinieri pensavano al denaro del riscatto di Torielli nel quale era implicato Salvatore Ugone, fratello di Giuseppe. Non cercavano una persona, eppure la perquisizione fu estremamente accurata. La cella sfuggi a quei controlli, il conte Rossi di Montelera era praticamente sepolto vivo. L'unico accesso, una botola aperta sul pavimento della cucina, ogni giorno veniva richiuso e coperto con terra battuta. Era impossibile senza sospetti precisi scoprire la prigione. Tuttavia i banditi non hanno voluto correre il rischio di una seconda visita dei carabinieri e alcuni giorni dopo, il 15 o 16 gennaio, trasferirono Rossi di Montelera a Calvenzano di Treviglio. In questa seconda cella sono state trovate due brande: in una era legato 11 prigioniero, nell'altra si riposava il « carceriere ». Chi costruiva queste celle? Le ha fatte tutte Ugone? La moglie ha raccontato che a Palermo 11 marito aveva lavorato per quasi due anni In un cantiere edile. Gli inquirenti pensavano che la « mafia » si fosse servita anche di un gruppo di specialisti. Questa supposizione è stata confermata. I vicini, in particolare Franco Cosola e la sorella, hanno spiegato: « Nel luglio e agosto dello scorso anno sono arrivate parecchie persone. Sono slate ospitate dalla famiglia Ugone. Di giorno giocavano al pallone, alla sera e fino a tarda notte lavoravano nel cortile. Sentivo il rumore della betoniera che impastava cemento ». Anche ieri gli investigatori, i marescialli Savoia, Mattia e Garruzzo con altri sottufficiali e carabinieri, hanno controllato da cima a fondo la fattoria e una casa colonica vicina per scoprire eventuali gallerie comunicanti. Sono stati guidati dalla signora Teresa Fasano, ex proprietaria, che li ha condotti nei sotterranei in collegamento tra loro. Non è emerso nulla d'importante ai fini del¬ l'indagine, ma queste esplorazioni continueranno nei prossimi giorni. Alla stessa ora il dott. Scia ratta si faceva raccontare da Luigi Rossi di Montelera altri particolari della detenzione forzata a I Valle Palma. « Per due mesi — ! ha detto — non sono mai uscito ! da quella specie di " tana ". Non potevo stare del tutto in piedi, il letto era piccolissimo, mangiavo ogni due o tre giorni. Mi trattavano bene, potevo scegliere, ma il cibo non mi veniva mai dato ! con regolarità ». Come respirava In quella piccolissima prigione di cemento? I L'aria giungeva da un'apertura | dissimulata in un canale di scolo che fa parte di una serie di canalizzazioni costruite di proposito per confondere le idee. Ha detto Montelera: « Sentivo scorrere dell'acqua, ma non la veI devo ». Dopo il colloquio con il giovane industriale torinese, il magistrato è tornato, per la seconda volta ieri, alla fattoria di Valle Palma. Nuovi interrogatori ai vicini, e nuovi elementi significativi. Al dott. Sclaraffa premeva raccogliere notizie sul lavori al- ] la cascina, sul movimenti di persone, ottenere indicazioni sui I connotati degli ospiti della famiglia Ugone. Sembra che nei giorni successivi al rapimento, nella fattoria ci fossero parecchie persone. Poi le visite si diradarono. Alla domenica la cascina si animava per l'arrivo di alcune famiglie con bambini. Gli uomini si dedicavano alla cucina (il camino fumava in continuazione e un uomo grasso giungeva con pacchi di viveri), 1 ragazzi salivano sull'altalena sistemata nel prato davanti alla casa. « Ma di solito — notano i vicini — si vedevano due giovani e l'Ugone. Quest'ultimo talvolta se ne andava, i due non si muovevano mai. Inutile tentare di conversare con loro giravano le spalle e rientravano in casa ». Tranquilla oasi per weekend alla domenica, la cascina tornava ad essere spietata prigione. Mentre a Torino, Moncalieri, Bergamo e Milano continuano le indagini, decine di carabinieri, poliziotti e finanzieri sono mobi- litati per la ricerca del proprietario della fattoria, Giuseppe Ugone. Si sta frugando nella sua vita privata, da Palermo giungono rapporti sulle sue conoscenze e abitudini. Si cercano gli elementi che possono avergli dato rifugio, ma sembra impresa difficile. Si sa che è un giocatore accanito, un assiduo frequentatore dei casinò. Il giorno in cui Luigi Montelera fu ritrovato a Calvenzano, Giuseppe Ugone giocava alla « roulette ». Qualcuno lo deve aver avvertito subito, forse uno dei parenti in Lombardia. Nessuno lo ha più visto da giovedì scorso. Eros Mognon Ezio Mascarino Luigi Rossi di Montelera tra la madre Nicoletta e il padre Napoleone, a colloquio con il maresciallo dei carabinieri I magistrati Turone di Milano e Sciarada - Davanti alla cascina di Moncalieri la brandina e la stufa trovate nella prigione Teresa Ugone