I preti nella Resistenza

I preti nella Resistenza UNA PAGINA DA RICORDARE; 160 LASCIARONO LA VITA I preti nella Resistenza Esattamente tre decenni or sono, il 30 gennaio 1944, veniva fucilato a Reggio, assieme ad altri otto resistenti, don Pasquino Borghi, per aver ospitato alleati e partigiani nella sua canonica. Era il primo dei 31 sacerdoti emiliani (su più di 160 in tutta Italia) che sarebbero stati soppressi per mano nazista o fascista, ed il primo dei sei che sarebbero stati decorati con medaglia d'oro al valor militare alla memoria. Gli altri cinque furono: don Giuseppe Morosini, fucilato al Forte Bravetta (Roma) il 3 aprile 1944; don Elio Monari, di Modena, fucilato a Firenze il 23 luglio dello stesso anno; padre Antonio Costa, fucilato il 10 settembre 1944, con altri 9 confratelli, a Massa Carrara; don Giovanni Fornasini, ucciso a Marzabotto il 13 ottobre 1944; don Giovanni Bobbio, fucilato a Chiavari il 3 gennaio 1945. Ma già prima di don Borghi, 24 altri martiri in tonaca nera avevano testimoniato, a prezzo della vita, spesso in modo atroce (come don Giuseppe Bernardi bruciato vivo con altri 50 civili a Boves il 19 settembre 1943 e don Mario Ghibaudo, sgozzato nello stesso luogo ed alla stessa data) la loro opposizione al più forte in nome della giustizia e della carità cristiana. Per la sua formazione religiosa il clero resistente avrebbe continuato fino alla fine in quella lotta non armata che costituisce l'orgoglio e il merito più alto della Resistenza. Merito ed orgoglio consistenti nella strenua ricerca di salvezza per esseri in pericolo, di cui non troviamo traccia nei movimenti di opposizione odierna che pretendono di rifarsi, del tutto impropriamente, alla Resistenza al nazi-fascismo, le cui peculiari caratteristiche e condizioni non si sono più verificate. Se successivamente molti di questi sacerdoti furono costretti ad imbracciare il fucile, tanto che l'Emilia, per esempio, conta ben 88 preti partigiani combattenti, ciò non si deve soltanto al fatto che in questa regione la gente, che ha un forte temperamento ed è ostinatamente ri¬ soluta, in estreme circostanze realizza le sue migliori qualità battendosi, ma perché l'inasprirsi della lotta costrinse molti umili parroci e preti di tutta Italia a seguire i loro giovani sulle montagne, e a condividerne in tutto l'aspra vita, fino al punto di impugnare un'arma. Ci fu però una specie di soccorso che non richiese mai altro che carità ed amore: quello verso gli ebrei, tanto da far pensare che un misterioso presentimento sospingesse questi sacerdoti sulla via del nobilissimo messaggio giovanneo, il quale avrebbe totalmente cambiato i rapporti fra la Chiesa ed Israele. Purtroppo oggi dobbiamo constatare, con dolore, che taluno sembra essersi dimenticato di tale messaggio. Non tutti coloro che soccorsero degli israeliti finirono come don Aldo Mei, l'angelico prete toscano fucilato per aver ospitato un ebreo, che lasciò scritto: « Muoio per aver amato come mi è stato possibile... Non ho voluto vivere che per l'Amore... L'Amore è Dio e non muore... ». Altri riuscirono a portare a salvamento i loro protetti ed a salvarsi essi pure, come il gioviale don Dante Sala di Carpi, che accompagnò personalmente al confine svizzero 105 israeliti, fino a che venne arrestato per questo a Como e là processato, sfuggendo per miracolo alla condanna capitale. Cosa che gli consenti di riprendere la sua resistenza al fascismo. Spesso, sacerdoti uccisi in terribili eccidi assieme ai loro parrocchiani possono considerarsi vittime innocenti, sebbene molti di loro nobilitassero la loro fine, già tanto deplorevole che suona terribile condanna verso gli sterminatori, con l'offerta della loro vita in luogo di quella di altri. Così fu di don Alcide Lazzari di Civitella della Chiana, o don Concezio Chiaretti di Leonessa (Rieti), o don Ferrante Bagiardi di Castelnuovo dei Sabbioni (Arezzo), o don Innocenzo Lazzari, parroco di Farnocchia di Stazzema (Lucca), ed altri numerosi che, quando non poterono far altro, diedero ai loro compagni di marti¬ rio il conforto dell'assistenza religiosa che nessuno rifiuta sul punto estremo della vita, in circostanze tanto tragiche. Ma altri numerosissimi preti appartennero nettamente alla Resistenza più consapevole, e parecchi di essi troviamo, alla vigilia di partire per i terribili concentramenti nazisti, nel modenese campo di Fossoli, tristemente noto come «anticamera dei campi di sterminio». Quivi transitarono, lasciandoci memorie drammatiche, il livornese don Roberto Angeli, il milanese don Paolo Liggeri, il modenese don Sante Bartolai, che vi trovarono numerosi confratelli: don Crovetti, don Grazioli, don Tavasci, don Neviani, mons. Elli, don Celli e 16 certosini provenienti da Farneta di Lucca, nel cui cenobio, che ha dato 12 martiri, la più larga assistenza veniva offerta a perseguitati ed a partigiani. E coloro che, liberi ar.cora, proseguivano la loro opposizione fra i partigiani, perché identificati e ricercati dalle polizie politiche nazifasciste, assumevano essi pure nomi di copertura per non farsi riconoscere. E non è fuor di luogo pensare che questi preti, quasi tutti giovani, si divertirono a scegliersi nomi bizzarri, come Merlin Cocai, Domino Nero, Ignis, Stelvio, o rievocativi, come Albertario, quando non erano più semplici come Candido, Tito, Luigi, ecc. «Nomi coi quali, non se stessi chiamarono, ma grandi speranze, e nascosero un grande coraggio... una primavera di dignità ebbero quei nomi ». dice un poeta. Certo, come non tutti gli italiani resistettero, non tutti i preti seppero o vollero fare una scelta netta. Non tutti misero a repentaglio la loro vita per « quel grande, indifferenziato senso omerico del sacro diritto dell'ospite che, se ha le cose contro di sé, deve essere protetto », quindi a un don Borghi, a un don Mei fa deplorevole riscontro quel parroco che scacciò, minacciando di denunciarli, dei prigionieri alleati dispersi sull'Appennino toscano, i quali lo ripagaro¬ no denunciando l'episodio nelle loro memorie. E non accennerò più dello stretto necessario a don Calcagno, autentico deviazionista cattolico, ai suoi collaboratori di Crociata italica, per la verità espulsi dalla Chiesa assieme allo spregevole padre Troia, allegro compagno dei torturatori di Villa Triste, ove perse la sua ammirevole vita don Elio Monari. Duole poi apprendere, anche se meno danno materiale provocò, del miope, vecchio parroco che per un formale ossequio a norme inerti, senza capire ciò che si agitava intorno a lui, rifiutò la sepoltura nel camposanto della sua parrocchia a Franco Cesana, il più giovane caduto partigiano d'Italia, di nemmeno 13 anni, perché ebreo. Per chiudere con un esempio confortante, ricorderò don Bobbio, uno dei tanti che « amarono la giustizia ed odiarono l'iniquità, senza vergognarsi della legge di Dio davanti ai re ». Egli, ai suoi carnefici che gli chiedevano se volesse pregare prima di morire, rispose: « Sono a posto con la mia coscienza, ma pregherò per voi ». Di fronte a tanta dolcezza tornano alla memoria le parole scritte, sul cenotafio di Giuliano Benassi, un ragazzo mai più tornato dai campi di annientamento, parole che esprimono lo spirito più alto e nobile dell'intera resistenza non armata, con antiche e sempre palpitanti espressioni: « ...passa fra patimenti ed orrori, umile nell'offerta, fermo nel sacrificio, chi all'odio risponde con amore, e la libertà possiede e sopra ogni altra cosa ama e difende, mai consentendo a perdere, per conservare la vita, l'eterna ragione del vivere ». Uva Vaccari