Sono giunti al Nord come confinati hanno creato l'anonima sequestri

Sono giunti al Nord come confinati hanno creato l'anonima sequestri Sono giunti al Nord come confinati hanno creato l'anonima sequestri La mafia ha allungato le mani nell'Italia settentrionale; una macchina che riesce a estorcere somme enormi - Chi è il cervello? - Liggio? Oppure i "boss" fanno agire i "soldati" spediti dal Sud a soggiornare in Valle Padana? (Dal nostro inviato speciale) Milano, 15 marzo. La matrice dell'anonima sequestri è chiara. Il rapimento di Luigi Rossi di Montelera, di Torielli, del diciassettenne Bolis, di Baroni è opera di «gente di panza». La mafia ha allungato le radici al Nord, le sue succursali trasferite in Lombardia e Piemonte. Il sensazionale ritrovamento del patrizio torinese nel sotterraneo di una cascina a tre chilometri da Treviglio è un grosso colpo all'organizzazione. Uno degli artigli è stato troncato, nella rete sono per ora caduti soltanto i fratelli Taormina. Sono i «soldati» di una famiglia mafiosa che muove la macchina del crimine. Una macchina che riesce ad estorcere somme enormi: 1 miliardo 250 milioni per Torielli, 1 miliardo 700 milioni per Getty. E, nelle intenzioni, 3-4 miliardi per Rossi di Montelera. C'è un cervello che aziona i fili? E' Luciano Liggio, l'astuto inafferrabile gangster? O sono gli esponenti della nuova mafia trapiantati nelle aree industriali del Nord con l'appoggio dei «vigilati speciali»? O è il trust di «Cosa nostra», espressione dell'alta delinquenza americana, che ha scoperto nel rapimento un nuovo filone redditizio dopo l'èra dei racket e della droga? E' anche questa un'ipotesi non del tutto trascurabile se è vero che uno dei Taormina aveva legami con italo-americani e pare sia ora fuggito negli Stati Uniti. L'anonima sequestri dopo lo smacco di Treviglio è in allarme. L'allucinante serie di rapimenti si è interrotta, passerà forse del tempo prima che riprenda la sfida alla legge. «E' il più importante successo di questi ultimi 20 anni — dicono al Comando della Guardia di Finanza e alla Criminalpol — la nostra convinzione che si trattasse di una sola banda è confermata». Il ritrovamento del conte Rossi di Montelera non è stato frutto del caso. Magistrati, polizia e finanzieri hanno compiuto pazienti e metodiche indagini. Il sottufficiale della Finanza che ha spalancato la botola del sotterraneo non c'è arrivato per chiaroveggenza o per una «soffiata». Torielli, poco dopo il rilascio, aveva raccontato: «Avvertivo odore di stallatico e sentivo dei muggiti». Si cercava la fattoria su un'area di 20-30 chilometri intorno a Bergamo. E' stata trovata ieri. La scoperta di una cella in muratura con due brande fissate a una base di cemento dimostra l'esistenza di un piano accurato e preciso, il progetto di altri sequestri. Com'è nato questo fenomeno di chiara impronta mafiosa? Gli inquirenti ritengono che le basi siano state gettate alcuni anni fa dai «vigilati speciali». Dice il dottor Sgarra, capo della Criminalpol del Nord Italia: «Non c'è dubbio che i più clamorosi sequestri siano stati commissionati dai "panza tosta". Ci sono due metodi di agire. Uno è quello delle cosche organizzate che impegnano grossi capitali e "manovalanza" efficiente e fedele. Torielli e Montelera sono esempi sintomatici. E ci sono gli apprendisti, i criminali balordi che si inseriscono nel gioco con mosse imprevedibili, che trasportano la loro vittima in un furgone da un capo all'altro della città in attesa del riscatto. Il caso Carello è indicativo». Avviene così anche per le rapine. All'inizio episodi sporadici, compiuti da delinquenti decisi ed esperti. Poi la proliferazione e l'avvento dei gruppi isolati se non addirittura di «solisti». Montelera quindi, come Torielli, è stato obiettivo della prospera industria del rapimento. «E' una specialità dei calabresi e siciliani — afferma Sgarra — il marchio è inconfondibile». Alcuni inquirenti pensano che sia difficile bloccare questo tipo di banditismo. «Forse è troppo tardi per fermarli, la rete è diffusa, sono ormai aperte varie "agenzie". E' stato un errore mandare a domicilio coatto nel Nord i più pericolosi membri della mafia. Dovevano inviarli in Lucania, nelle isole, nei paesi di pescatori o di montagna, non nelle grandi città-dormitorio della Lombardia». Il problema è stato impostato frettolosamente e risolto male. La carenza della legge ha fatto il resto. Dicono alla polizia: «Siamo dei grandi teorici, le leggi non hanno concreta applicazione. Un mafioso sottoposto a soggiorno obbligato può collezionare anche 20-30 contravvenzioni per inosservanza. Va e viene liberamente, lo denunciamo e lui se la cava, dopo un anno o due, con una multa. Non viene arrestato e messo in carcere, può continuare tranquillamente a spostarsi, a incontrare vecchi "complici" e boss. ppvcpoi può chiedere trasferimenti per motivi di salute che gli vengono puntualmente concessi». Si riapre negli ambienti della polizia e carabinieri la piaga del divieto di interrogare il fermato per sospetto di reato o l'arrestato in flagranza. Dice un ufficiale: «S'è voluto eliminare il rischio di abusi da parte delle forze dell'ordine? Nulla da eccepire. Ma che illegalità sarebbe la nostra se interroghiamo un bandito trovato con la lupara in mano?». Il poliziotto si accalora: «Quanti sottufficiali ci sono a Torino? Diciamo 50 tra la polizia e 50 tra i carabinieri. Perché sprecare la loro esperienza, le loro conoscenze nel¬ l'ambiente della malavita? Perché non sfruttare l'occasione dell'arresto a tamburo battente? Nei casi di sospetta o palese appartenenza a cosche mafiose la collaborazione di questi poliziotti è indispensabile. Il magistrato, uomo sereno e distaccato, poteva rifinire il nostro grezzo lavoro e porre riparo a eventuali errori. Con la mafia non vediamo altro modo d'agire». Lo sfogo non attenua l'impegno di polizia e carabinieri che ora finalmente hanno aperto una breccia nell'organizzazione criminale. Un centinaio sono mobilitati nella lotta all'anonima sequestri. Eros Mognon