Il pm chiede quattro ergastoli per la banda del "22 ottobre" di Francesco Fornari

Il pm chiede quattro ergastoli per la banda del "22 ottobre" Rapirono Gadolla e uccisero il fattorino Floris Il pm chiede quattro ergastoli per la banda del "22 ottobre" E' il processo di appello - In primo grado, solo Mario Rossi fu condannato alla massima pena - La vicenda di quello che pretendeva di essere un "esercito rivoluzionario" (Dal nostro inviato speciale) Genova, 14 marzo. Da oltre un mese il processo di appello contro la banda «22 Ottobre» si trascina stancamente nell'aula della Corte di Assise di Genova. Quando, all'inizio di ottobre del '72, in questa stessa sede si era iniziato il dibattimento di promo grado, il tribunale era presidiato come una fortezza. Cordoni di agenti e carabinieri sulla piazza, lungo le scalinate, nei corridoi, all'interno del salone di palazzo Ducale. La folla di assiepava fin dalle prime ore del mattino davanti ai portoni ancora chiusi del tribunale. L'attesa era enorme, l'atmosfera eccitata. Sul banco degli imputati i «tupamaros» della Val Bisagno, accusati del rapimento di Sergio Gadolla, dell'uccisione del fattorino delle case popolari Alessandro Floris, di vari attentati e delle farneticanti trasmissioni della clandestina radio Gap, guardavano soddisfatti la marea degli spettatori che si accalcava in fondo all'aula, trattenuta dai carabinieri e alzavano i polsi rinchiusi nei ferri in segno di spavaldo saluto. Quel processo, iniziatosi a fatica dopo una serie di rinvii causati dalla rinuncia di alcuni giudici popolari (allora si disse che questi signori avevano rifiutato l'incarico per timore di rappresaglie) si era concluso sette mesi dopo con pesanti condanne: l'ergastolo per Mario Rossi, «l'orfano di Stalin» che sognava la rivoluzione ed aveva concluso la sua carriera di «tupamaro» con una rapina e un omicidio; 54 anni a Giuseppe Battaglia, il basista della rapina nella quale il suo capo assassinò il Floris; 44 anni a Gianfranco Astara, che fece i nomi dei complici alla polizia e con le sue dichiarazioni mandò in carcere l'intera banda «22 Ottobre»; 43 a Rinaldo Fiorani; 39 ad Augusto Viel; 31 ad Adolfo Sanguineti; 20 a Diego Vandelli, un tipo dalle troppe armi (al momento dell'arresto gli trovarono in casa sei pistole ed un mitra) e dalle troppe tessere (anche quella del msi), indicato come l'organizzatore del rapimento Gadolla. Gli altri imputati (in totale erano 22) erano stati condannati a pene varianti da un mese a 25 anni. Alla lettura della sentenza, emessa dopo 27 ore di camera di consiglio, gli imputati avevano avuto differenti reazioni: collera, sarcasmo, indifferenza. Mario Rossi aveva compiuto ogni sforzo per mantenersi calmo, fedele alla parte di «duro» da lui recitata durante tutto il processo. Sanguineti aveva pianto disperato, Vandelli aveva tenuto fede al suo cliché di «bandito gentiluomo», Gianfranco Astara aveva inveito contro i giudici. Il pubblico, già molto ridotto perché durante i sette mesi l'interesse era andato sempre più attenuandosi, era sfollato in silenzio, senza commentare. Su Mario Rossi e la sua banda di «tupamaros» era già sceso il velo dell'oblio. Per questo il 2 febbraio di quest'anno, alla prima udienza del processo d'appello, l'aula del tribunale non era più affollata come in quel lontano giorno dell'ottobre di tre anni fa. Rossi, che non ha ancora rinunciato alla folta barba ed alla zazzera incolta, si è ritrovato di nuovo accanto ai suoi compani, alle reclute di quel suo vagheggiato esercito rivoluzionario che avrebbe dovuto «raddrizzare» le sorti d'Italia. Entrando nell'aula forse ha cercato di riconoscere fra il pubblico gli amici di un tempo, quelli che durante il primo processo ad ogni udienza lo accoglievano agitando il pugno chiuso e scandendo slogan. Si è trovato invece di fronte a poche persone: anche i carabinieri erano ridotti di numero. Ciò gli ha fatto comprendere, forse, di aver perso la battaglia. Non quella legale, per la quale i suoi difensori si stanno battendo e che è ancora tutta da discutere, ma un'altra molto più importante per i sogni ambiziosi di questo «tupamaro» all'italiana che si era illuso di porsi come «avanguardia» degli sfruttati, che credeva nella violenza come strumento. Quanto sarà rimasto in lui di quella vecchia rabbia che dal carcere di La Spezia gli aveva fatto scrivere: «Ho capito tardi che i Gap, oltre a far saltare in aria qualche finanziatore fascista ed altre belle azioni, avrebbero dovuto liberare dei prigionieri e giustiziare i delatori e sparare in bocca a dei porci, il che non è stalo fatto per colpa mia». Molto del suo ardore donchisciottesco di allora si è attenuato. Si è limitato a rispondere alle domande del presidente senza abbandonarsi alle deliranti dichiarazioni con le quali aveva infiorato il primo processo. Un unico guizzo di ribellione, quando ha detto che: «un giorno, quando si sarà placato tutto questo clamore, cercherò di mettermi in contatto con la famiglia del Floris per spiegare quello che è accaduto». Quasi tutti gli appartenenti a questa banda di «disadattati» hanno perso lo smalto dei tempi migliori. Vandelli, il «bandito» gentiluomo» ha pianto mentre il presidente lo interrogava, cercando di sminuire le proprie responsabilità. E naturalmente, non ha rivelato che fine hanno fatto i 100 milioni, la parte più grossa del riscatto pagato per la liberazione di Gadolla, che aveva portato con sé abban¬ donando il Rossi e tutti i componenti del «22 Ottobre», diventando in tal modo l'artefice numero uno dello smembramento della banda che dura ancora cinque mesi e poi cade sul cadavere del Floris. I fantasmi di quelle giornate, che vanno dall'ottobre '70 al marzo '71, sono stati rievocati in questi giorni nell'aula della Corte di Assise. Il rapimento del figlio della vedova più ricca di Genova gli attentati dinamitardi, le trasmissioni clandestine di radio Gap con i deliranti appelli alla rivolta, lo scippo al fattorino delle case popolari che si conclude col colpo di pistola sparato a bruciapelo contro Ales¬ sandro Floris sono episodi svuotati ormai di ogni interesse emotivo. Come le figure dei protagonisti che sembrano avvertire il vuoto che li circonda. Al termine della requisitoria, il p.m. ha chiesto per quattro degli imputati (Rossi, Battaglia, Fiorani e Viel) la condanna a vita. Nel salone di Palazzo Ducale le poche persone presenti non hanno fiatato. Adesso gli avvocati combattono la loro battagliaa e cercano di «rosicchiare» qualche anno alla precedente sentenza sfruttando ogni possibile interpretazione del codice. Francesco Fornari

Luoghi citati: Genova, Italia, La Spezia