Il professionista Cellini
Il professionista Cellini Nell'autoritratto si traveste da eroe Il professionista Cellini Benvenuto Cellini: « La vita », a cura di Guido Davico Bonino. Ed. Einaudi, pag. 516, lire 4000. Fra tutte le opere « irregolari » della letteratura italiana la Vita del Cellini è stata quella che ha conosciuto maggiore fortuna, sia per l'apparente antiletterarietà entro una storia letteraria per lo più dominata dalla preoccupazione di osservare tutte le regole dello scrivere, in modo formalmente impeccabile, sia per la varietà e la singolarità dei casi narrati, sia infine per l'eccezionalità del protagonista narrante, le cui avventure sembrano sempre sospese fra mistificazione e grandezza eroica. La nuova edizione che della Vita dà ora Guido Davico Bonino si raccomanda particolarmente per l'introduzione dello stesso Davico, che rappresenta quanto di più acuto e valido si sia scritto finora sull'opera del Cellini. Il punto di partenza dell'interpretazione della Vita è dato dall'osservazione che l'autobio- , grafia celliniana ha all'origi1 ne uno stato di sofferenza: ed è quella dell'artista che sco pre come l'opera d'arte sempre più stia scadendo a merce, e avverte, quindi, la propria alienazione dai prodotti Ifesa artistici che egli costruisce, ma ai quali è ormai estraneo. Nasce di qui l'insistenza del Cellini sui rapporti con i sovrani che sono suoi committenti: le promesse di questi e le delusioni che seguono, le lodi e gli improvvisi capricci, che si risolvono in malcontento e, infine, nella cacciata o nella fuga dell'artista (quando non gli capiti la prigione, come a Roma). I problemi economici e gli scontri con gli artisti rivali divengono un momento essenziale nel meccanismo dei casi della Vita celliniana, a indicare come, ormai, ci si trovi di fronte a una concezione dell'arte come « professione economica ». Il Cellini reagisce a questa condizione precaria e diminuita attraverso una tensione narcisistica, che si ribella ai condizionamenti, e costruisce mirabilmente la figura dell'artista eroe, personaggio ideale e sublime, quale si manifesta soprattutto in tre episodi, il Sacco di Roma, la fuga da Castel Sant'Angelo e la fusione del Perseo. Gli eventi vengono così deformati dal narratore da apparire tutti in funzione dell'epifania eroica del protagonista, che vi campeggia solitario nella gloria come nella disgrazia. La deformazione eroica del reale rappresenta l'esito più significativo della letteratura celliniana: e giustamente Davico indica come la lunga questione intorno allo stile (spontaneo o calcolato) del Cellini non abbia gran senso, poiché ci si trova piuttosto di fronte a una strategia di costruzione dell'io ideale che, di volta in volta, risponde a impulsi diversi, come sogno, appagamento a occhi aperti, meccanismo di diribellione ecc. Nell'opera del Cellini, insomma, si attua per la prima volta un tipo di rappresentazione che passa continuamente dal livello più sublime a quello più basso, dalla rovina al trionfo, dall'esaltazione della gloria alla depressione del carcere o del discacciamento. L'eroe è soggetto all'umiliazione anche più amara e volgare: la tragicità gli si presenta come trappola che, di continuo, la realtà gli prepara davanti, e nella quale egli cade inevitabilmente, sia pure sempre protestandovi in qualche modo la propria superiorità e il proprio valore. E' la lotta dell'eroe con la fortuna, che, per il Cellini, si incarna nel capriccio del principe o nella ma¬ lattia o nella durezza e nella sordità della materia (come nella fusione del Perseo): quella stessa fortuna che già il Machiavelli aveva raffigurato come l'opposizione insuperabile della realtà meschina e volgare al progetto dell'eroe politico. Nella Vita la vicenda di questa lotta è meno rigida, concede successi, trionfi, esaltazioni: ma al prezzo, appunto, di umiliazioni profonde, che il principe machiavelliano mai avrebbe accettato, preferendo piuttosto la morte. G. Bàrberi Squarotti
Luoghi citati: Castel Sant'angelo, Roma
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