L'industria dei rapimenti ha la base in Lombardia? di Omero MarracciniLuigi Rossi
L'industria dei rapimenti ha la base in Lombardia? L'industria dei rapimenti ha la base in Lombardia? (Segue dalla 1" pagina) spettata vengono catturate. Si ha l'impressione che ^(organizzazione» si serva, caso per caso degli elenchi delle imposte, per colpire sul sicuro. Il crimine, che assume caratteristiche di «industria» di fronte alla quale la società sembra impotente, prospera dunque in un ambiente ed in un tipo di società nuova, quella settentrionale e sembrerebbe — significativo il luogo dove è stato trovato Rossi di Montelera — che gli organizzatori abbiano scelto una ben precisa zona da cui muovere in sicurezza: è quella megalopoli, con grossi fenomeni di immigrazione nel quadrilatero Bergamo, Monza, Como, Milano, e la stessa Brianza sembra il nuovo Eden della malavita. L'elefantiasi dei comuni ha favorito il grave fenomeno della criminalità; i mafiosi inviati al soggiorno obbligato ricostituiscono, in queste zone, le loro « famiglie ». Siamo in un'area metropolitana nella quale ribollono i malesseri dell'intera società. Le bande di giovani sono la linfa vitale di organizzazioni ben collaudate; gli apprendi- sti del delitto della nuova generazione qui si amalgamano con elementi tradizionalmente pericolosi. Le cronache degli ultimi mesi parlano con troppa frequenza di rapimenti: l'industriale Torielli, di Vigevano, poi Mirko Panattoni, di Bergamo, rimasto per 17 giorni in balia dei banditi (il padre ha esaurito ogni sostanza per riaverlo); Pierangelo Bolis, 17 anni, di Ponte San Pietro, liberato dopo 22 giorni di prigionia. La famiglia ha sacrificato ogni avere per pagare la sua liberazione. Per questi due ultimi episodi soprattutto si è commossa l'opinione pubblica: rapire un ragazzo, un bambino, è ben più facile che con un adulto, eppure anche stavolta la « prassi » è quella di sempre: pagare, pagare per la salvezza di una vite, umana. Il delitto così vile, e così portato a termine, soprattutto alla luce delle ultime due « liberazioni », sembra dunque confermare l'esistenza di una centrale criminale che dalla Lombardia allunga i tentacoli nelle regioni limitrofe, mediante complicità locali insospettabili. Secondo il ministero dell'Interno, la gang dei rapimenti sarebbe diretta da Liggio che tirerebbe le fila dell'organizzazione da una località della Svizzera. La società è dunque disarmata di fronte al sequestro? L'esperienza e la casistica sembrano rispondere di sì. C'è chi sostiene che la legge deve fermarsi, davanti alla disperata richiesta di coloro ai quali preme la vita di un congiunto. Eppure la società stessa, con le sue leggi, a questo punto, ha il dovere di intervenire perché è proprio da questi « silenzi » che la criminalità si alimenta, sapendo di muoversi su un terreno sicuro. Oggi, chi commette un delitto di estorsione è punito con un minimo di 8 ed un massimo di 18 anni. C'è chi sostiene l'esigenza di pene più severe, più drastiche. Qualcuno afferma anche: « Non si dovrebbe pagare ». L'immediata collaborazione con la polizia potrebbe infatti giovare alle indagini (i rapitori contano sempre sulla disperazione del primo momento, su quella sorta di « stop » che consente loro di raggiungere il luogo sicuro per la prigionia del catturato), ma chi avrà il coraggio, sapendo il figlio o il padre in pericolo di vita, di dire per la prima volta « no »? Il mondo intero ha discusso sul comportamento del miliardario Getty: quando il nipote, Paul III fu rapito a Roma, disse: « Non pagherò un penny, darei un cattivo esempio! ». Poi fu recapitato l'orecchio del ragazzo e allora anche lui, il gelido uomo, spietato negli affari, si è sciolto, ha contribuito al riscatto. Omero Marraccini Luigi Rossi di Montelera
Persone citate: Getty, Liggio, Mirko Panattoni, Pierangelo Bolis, Rossi, Torielli
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