L'ostinato rifiuto della storia

L'ostinato rifiuto della storia L'ostinato rifiuto della storia Questa la loro filosofìa da millenni; ma oggi prendono forse coscienza che gli eventi non si possono eludere Nuova Delhi, marzo. Sono un viaggiatore che ormai più di una volta ha percorso un lungo itinerario attraverso l'India. E l'ha vista mutare, trasformarsi — in questi ultimi anni — in quella contraddittorietà che è tipica di tutti i Paesi del Terzo mondo che cercano disordinatamente d'inseguire i miti della tecnologia e del consumismo. Anni nei quali drammaticamente si sono acuiti i contrasti stridenti fra villaggio e metropoli, fra agricoltura stentata ed arcaica e industrie pesanti, in un contesto di popolazioni di lingua e tradizioni diverse, tra le quali coesistono tribù ancora « primitive » nel senso letterale della parola, rimaste all'ultima fase dell'età della pietra, e società borghesi e urbane di livello internazionale che hanno espresso fisici nucleari di rinomanza mondiale e premi Nobel per la letteratura e la matematica. Contrasti resi ancor più acuti da quelle contraddizioni che da sempre caratterizzano l'India: ad esempio, la rinuncia, ma anche la violenta partecipazione, alle passioni del mondo; la profonda umiltà ma anche l'orgoglio cieco di casta; la sensualità più sfrenata e le mortificazioni più disumane. E' il mondo delle religioni senza Dio e dell'induismo che onora trenta milioni di dèi proclamandosi « credo monoteistico »; è il Paese del buddismo che qui nasce e qui non esiste più; è la terra della compassione universale ma anche dell'assoluta indifferenza per il dolore proprio e altrui. Un mondo ove s'incontrano in una misura impensabile asceti veri e ciarlatani; immense miserie e ancor oggi, malgrado le tasse e le riforme, ricchezze favolose. Chi voglia scrivere note di viaggio sull'India, deve subito al suo lettore un atto di totale umiltà; deve confes-, sare che è impossibile raggiungere una verità che possa spiegare i suoi contrasti paradossali, storici, sociali, politici, ed anche geografici; per questo l'India, che pur con tanta facilità accetta i | suoi visitatori e li convince, in ultima analisi riesce a non svelarsi, nascondendosi proprio al di là di questa cortina di contraddizioni. / falsi miti Potrebbe essere d'aiuto, per superare questo stato d'animo, lo scoprire che l'umiliante e solitaria paura di « non capire » è stata da tempo, da sempre, quella di tutti coloro che dall'Occidente sono approdati a queste terre. Paura che i viaggiatori hanno camuffato e contrabbandato sotto molteplici aspetti; che ha influenzato le loro relazioni di viaggio; che ha contribuito a creare dell'India un'immagine molte volte distorta. Una di queste è il mito dell'India « favolosa »: dagli antichi greci ad oggi si è formata in Occidente e poi accresciuta, mantenuta, una immagine dell'India come di un Paese di fiaba e di magia. E' favola viva anche in questi giorni: l'alimentano gli hippies provenienti da tutta Europa e dall'America del Nord, che qui credono di trovare la vita senza responsabilità e senza angosce che essi ipotizzano. I greci di ventidue secoli fa furono i primi a creare questa favola, ponendo in India la sede del mondo romantico degli uttakuru, « gli uomini felici »; li seguirono poi i geografi alessandrini, i viaggiatori medioevali (arabi come Ibn Battuta o italiani come Marco Polo), fino agli autori delle fantasie misteriosofiche del secolo scorso e a quelle fantascientifiche di oggi. A tutti costoro, assieme ai romanzieri più recenti, quelli dei nostri padri, dobbiamo quest'immagine dell'India favolosa; immagine falsa, radicata non da secoli ma da millenni; e che nasce appunto dall'impossibilità di capire sino in fondo questo Paese e dall'ingenuo tentativo di sostituire l'incomprensione con una spiegazione fantastica, globale o parziale. In realtà, occorre invece viaggiare attraverso questo Paese cercando di comprendere senza fantasticare, ancorandosi alla realtà, a quanto ci suggeriscono l'India e gli indiani che ogni viaggiatore, durante il suo itinerario, avrà sotto gli occhi ininterrottamente. E non solo l'India e gli indiani nostri contemporanei; ma quelli di ogni epoca, anche la più remota, dato che in nessun caso se non viaggiando in un Paese come questo ci si sente protagonisti di un viaggio nella storia. Ma è proprio sulla presenza della storia che le idee di un occidentale in India possono confondersi e annebbiarsi. In India si rifiuta la storia; il loro passato, gli indiani paiono volerlo ignorare totalmente; anzi si direbbe che ne rifiutino persino la nozione; la storia è qualcosa d'inutile, visto che per loro tutte le vicende umane, dalle origini ad oggi, continuano a ripetersi senza sosta entro lo scenario di un tempo presente, eterno ed immutabile. Ne ho parlato con una delle più note studiose di storia indiana, la professoressa Thapar, autrice di numerosi volumi in lingua inglese dedicati alle grandi civiltà passate del suo Paese. L'ho incontrata nella sua casa di Delhi e le ho detto dello sgomento spirituale di un europeo che sente in India una presenza così viva della storia, contraddetta però da un tanto evidente disinteresse di tutti per lo studio, o comunque per l'esperienza del passato. « E' vero — mi ha risposto — e infatti molti autori europei, americani e anche indiani hanno cercato dì spiegarsi perché l'India del passato, tanto ricca di testi filosofici e religiosi, ci abbia lasciato, invece, così modeste opere a carattere storico. In realtà noi hindù non ci siamo mai interessati alla storia. Anzi, inconsciamente l'abbiamo sempre temuta, considerandola un allontanamento peccaminoso dai perfetti modelli mitici iniziali. Vi citerò un esempio dal quale comprenderete meglio quanto sto dicendo: pensate che un nostro autore dell'alto medioevo elenca in una sua opera sovrani e dinastie che avevano regnato sull'India centrale e conclude il suo testo con queste parole: "Quanti re che avevano stabilito nei loro fragili corpi il dominio su queste terre se ne sono andati. Quelli che li precedettero e altri ancora debbono venire, se ne sono andati o se ne andranno... Sembra che il sole rida, nel vedere questi sovrani che vanamente si agitano in conquiste ». Gli altri sanno « E' una citazione che mi sembra sottolinei chiaramente quanto presso di noi si sia sempre considerata l'inutilità di uno studio che si occupa di ima materia così vana; una citazione che rispecchia fedelmente il disprezzo dei nostri autori per le vicende del loro Paese; al punto che noi indiani dobbiamo riferirci ai greci, ai romani, ai persiani, agli arabi, ai cinesi, agli europei (ai popoli, insomma, che vennero in contatto con il nostro Paese, e scrissero di fatti, vicende, personaggi del nostro passato), per poter conoscere con esattezza storica e non con approssimazione poetica le vicende del tempo passato che ci riguardano ». Rifiuto della storia, dunque. E invece anche per l'India, anno per anno, millennio per millennio, la storia ha premuto da tutti i lati. Non basta volgerle le spalle e sprofondare negli abissi divini del proprio io per sfuggire alla sua presa... E la storia preme dall'esterno e all'interno dell'India oggi più di ieri: le folle si agitano per dare un senso alla loro vita, per trasformarsi da oggetti in soggetti; scioperi, hartal, manifestazioni pacifiche, cortei violenti, scontri politici, e guerre. Forse è proprio questa la prima sensazione da annotare osservando l'India di oggi: l'immenso Paese ha bisogno, ora più che mai, di prendere coscienza della sua funzione storica, della sua posizione — ora delicatissima — di frontiera tra Oriente e Occidente. Che essi vogliano o no ammetterlo, la storia ha inciso, ben più di quanto essi stessi non credano, sulla mentalità degli indiani. Dagli invasori arii, che portarono la religione dei Veda, intorno alla quale si organizzò la religiosità del Paese; ai greci, ai musulmani che distrussero per riedificare nuovi orizzonti riaffermando la loro fede nell'unicità di Dio; e per finire, agli inglesi, responsabili della nascita d'una India « moderna » e, per contrasto, primi a stimolare gli indiani a riscoprire la grandezza della loro tradizione: tutto ha lasciato un segno preciso. Con questa particolarità: che un'esperienza non ha mai completamente cancellato la precedente, ma l'ha assorbita e facta propria. Per questo il passato sembra essere sempre vivo nel presente; e questo, mi sembra, spiega almeno in parte il rifiuto dell'indiano di conoscere la storia dei tempi antichi: non è tutto forse presente e attuale nell'oggi che si consuma in ogni più diversa esperienza? Folco Quilici

Persone citate: Folco Quilici