I prezzi dell'oro nero in ribasso di Sandro Viola

I prezzi dell'oro nero in ribasso I prezzi dell'oro nero in ribasso La riunione dei Paesi arabi produttori di petrolio che si apre stamane a Tripoli ha avuto una gestazione estremamente faticosa, che basterebbe da sola a indicarne l'importanza. Fissata per il 13 febbraio a Tripoli, essa venne cancellata all'ultimo momento, con forte disappunto dei dirigenti libici, da una decisione presa dai Capi di Stato di Egitto, Arabia Saudita, Kuwait, Siria e Algeria, che s'erano riuniti apposta e in tutta fretta ad Algeri. Doveva poi tenersi, sempre a Tripoli, domenica scorsa, quando si seppe che era stata invece spostata al Cairo. Nella capitale egiziana erano infatti giunti i ministri di cinque Paesi del «piccolo cartello» petrolifero (Arabia Saudita, Kuwait, Abu Dhabì, Katar e Bahrein), mentre Al Ahram dava per sicuro l'inizio dei lavori. Ma con un altro colpo di scena e parecchio trambusto, la riunione è stata infine fissata per oggi in Libia. L'importanza della conferenza è, almeno a prima vista, soprattutto politica. Si tratta di vedere se il «piccolo cartello» è disposto a togliere ^embargo che — sia pure in maniera più formale che sostanziale — viene ancora mantenuto contro gli Stati Uniti. Washington tiene molto, per una serie di ragioni (non ultima il suo difficile dialogo con gli europei a proposito dei rapporti col mondo arabo), ad un gesto che riconosca i suoi sforzi di mediazione per un regolamento della crisi in Medio Oriente. E nel cartello arabo esiste ormai, su questo punto, una frattura. Con Washington sono l'Egitto, l'Arabia Saudita e i Paesi arabi del Golfo che nelle decisioni importanti (magari facendo fare un po' di fronda ai loro giornali) si accodano sempre alla posizione di re Feisal. Contro la levata dell'embargo sono invece la Siria (che chiede ai suoi partners di non deporre l'varma petrolio» fino a quando non vi sarà stato il disimpegno militare anche sul Golan), la Libia e l'Algeria. Da un punto di vista puramente politico, quindi, la riunione di Tripoli costituisce un test molto significativo. Intanto, si sta assistendo a un nuovo, brusco scarto del presidente Gheddafi, l'altro giorno al Cairo a riaffermare (dopo mesi di tensione) il suo attaccamento all'Egitto, e oggi di nuovo in posizione polemica verso Sadat. Poi si tratta di verificare se dura o no il prestigio che il Presidente egiziano si era acquistato con la guerra di ottobre. Al Cairo si comincia, a questo proposito, ad essere un po' nervosi. Il disimpegno sul Golan non è più a portata di mano come sembrava, mentre gli sviluppi del «Watergate» (ed i dubbi comunicati dai sovietici sulla tenuta di Nixon) gettano un'ombra preoccupante sulla validità del rapporto, forse un po' troppo stretto, stabilito da Sadat col suo «fratello Kissinger». Eppure, la vera importanza della conferenza di Tripoli non è rappresentata dalle sue implicazioni politiche. Il problema della levata dell'embargo agli Stati Uniti è infatti connesso a quello dei prezzi, di cui si discuterà all'interno dell'Opec (il cartello che riunisce tutti i Paesi petroliferi del mondo) sabato prossimo a Vienna. Perché la fine delle restrizioni, il definitivo ritorno dei Paesi arabi ai livelli di produzione del settembre '73 (o addirittura un loro aumento «calcolato») non potranno non provocare un contraccolpo, una spinta verso il basso, sui prezzi attuali del greggio. Le aste che si sono tenute negli ultimi quindici giorni, una a Kuwait e l'altra ad Abu Dhabi, hanno confermato la tendenza al ribasso emersa verso la fine di gennaio. La prima ha visto offerte che non superavano i dieci dollari a barile, nella seconda l'offerta si aggirava attorno ai nove dollari. Siamo un bel po' sotto, quindi, non solo alle richieste di dicembre e gennaio (16-17 dollari), ma anche al posted price dì Teheran (11,54). Il tutto mentre l'Arabia Saudita, coi suoi 2,7 miliardi di barili all'anno e riserve per oltre vent'anni. è sempre più drastica nell'affermare che i prezzi attuali sono eccessivi e che bisognerà ridurli. Sandro Viola

Persone citate: Gheddafi, Golan, Kissinger, Nixon, Sadat