Processo all'anarchico: la perizia non spiega come morì il missino
Processo all'anarchico: la perizia non spiega come morì il missino Restano aperte tutte le ipotesi sul delitto di Salerno Processo all'anarchico: la perizia non spiega come morì il missino Non è ancora chiaro se il coltello con cui fu colpito il neo-fascista era o no dei giovane imputato - Denunciata la morte di un detenuto in seguito a percosse: aperta un'inchiesta (Dal nostro inviato speciale) Salerno, 12 marzo. Il coltello con cui fu ucciso Carlo Faldella potrebbe essere quello trovato sul luogo del delitto la sera del 7 luglio 1972 al termine della rapidissima e drammatica rissa fra fascisti e anarchici. I medici legali di Napoli Carlo Romano e Alfredo Paolella hanno raggiunto il convincimento quasi assoluto: la certezza, cioè, che il vicepresidente del Fuan salernitano fu colpito al cuore con un coltello monotagliente. L'arma che l'assassino lasciò sull'asfalto ha una lama affilata soltanto da un lato. Ricostruire nei dettagli quello che avvenne in via Velia in una sera d'estate di due anni or sono non è semplice seppur indispensabile per chi deve dire se Giovanni Marini ha ucciso il suo avversario politico volontariamente, se lo ha ucciso per difendersi, se lo ha ucciso perché provocato 0 addirittura, come sostiene, non ha ucciso ed è vittima di un errore giudiziario. Ma i testimoni sono pochi e tutti troppo interessati ad accusarsi e a scagionarsi reciprocamente; gli elementi a disposizione molto scarsi. La corte d'assise si è di conseguenza rivolta ai tecnici, I giudici volevano sapere se controllando e raffrontando le lesioni riscontrate su tutti i partecipanti alla rissa (Carlo Faldella, Giovanni Alfiniti di parte missina; Franco Mastrogiovanni e Giovanni Marini di parte anarchica) si potesse stabilire se fossero state provocate dalla stessa arma. 1 medici legali hanno deluso la loro legittima curiosità: non è possibile fare un accertamento del genere. E' possibile soltanto dire che il colpo mortale fu inferto da una lama monotagliente, mentre Giovanni Marini sostiene (ed è tornato a ripeterlo oggi alla corte) che il suo coltello era bitagliente, e con una lama lunga appena cinque-sei centimetri. E' possibile anche — hanno sottolineato i medici legali — escludere che Carlo Faldella, sbilanciato e ferito, sia caduto in avanti finendo per infilarsi sul coltello del suo avversario. E' possibile infine escludere che, durante la rissa, Giovanni Marini si sia prodotto una leggera ferita al polso sinistro. Allora? Allora si è pratica- mente al punto di partenza o quasi. I chiarimenti dei periti non hanno chiarito nulla, come spesso accade; i consulenti della difesa, e in particolare il prof. Giulio Maccacaro, hanno criticato i risultati dei medici legali napoletani insinuando il dubbio, atroce, che forse Carlo Faldella avrebbe potuto sopravvivere se in ospedale, dove fu immediatamente ricoverato, i chirurghi avessero compiuto un intervento diverso. Ma quella di via Velia fu una rissa originata soltanto da motivi politici? Fu soltanto un rancore politico che mise fascisti e anarchici gli uni di fronte agli altri? O, in questa storia, sarebbe opportuno cercare qualche altro movente: per esempio, la gelosia? Al presidente della corte d'assise dottor Fiengo sembra essere sorto un sospetto e ha voluto sgomberare il campo da qualsiasi dubbio: se cioè i quattro giovani (gli anarchici Marini e Mastrogiovanni da un lato, Faldella e Alfiniti dall'altro) avessero impugnato i coltelli per una questione di donne. Le tracce di questa eventuale causale non esistono negli atti del processo. Ma il padre di Carlo Faldella, in una intervista concessa una settimana dopo il delitto, parlò di «regolamento di conti». Perché mai? Che cosa intendeva dire? Michele Faldella è un insegnante di lettere. Ha parlato con un giornalista di un eventuale, possibile regolamento di conti soltanto perché questa ipotesi — dice — gli fu accennata da qualcuno di cui più non ricorda la identità. Ma allora — gli ha fatto osservare il presidente — perché in quel momento lei non ebbe la curiosità di chiedere un chiarimento maggiore? «Ma — ha replicato Michele Faldella — si tratta di un'ipotesi assurda, perché Marini e mio figlio non si conoscevano». «Ovvero — ha rettificato di li a poco — si erano incontrati soltanto una volta, quando cioè vennero alle mani durante la campagna elettorale nel 'maggio 1972». Oggi Giovanni Marini ha denunciato che in carcere è morto un detenuto di cinquantanni: Carlo Sorrentino, ammalato d'asma. Faceva parte del gruppo di coloro che nei giorni scorsi avevano attuato lo sciopero della fame. «Gli agenti — ha detto Marini — lo hanno picchiato. 10 denuncio che della morte di Sorrentino sono responsabili 11 'medico e il direttore del carcere». Il p.m. ha replicato spiegando che è stata iniziata un'inchiesta. Guido Guidi li ir •>• v, Salerno. Giovanni Marini durante l'udienza in corte d'assise (foto Uliano Lucas)
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