Spettacolo o guerriglia? di Giovanni Arpino

Spettacolo o guerriglia? Spettacolo o guerriglia? La trascorsa domenica di sport, illustrata da un Gros e da un Thoeni, da un Agostini, da un Merckx e da risultati importanti per il mondo calcistico, si è ridotta a un giorno di vergogna civile. Perché solo in vergogna e collettivo avvilimento finiscono le rabbie, gli atti teppistici, le provocazioni e i disordini. Non si ha più voglia, non è più lecito parlare di un « penalty » sbagliato o negato, di un gol messo o no a segno, quando la nevrosi di massa scatena incidenti che coinvolgono migliaia di persone, mutano il volto di intere zone urbane, producono feriti e danni. E sarebbe ignobile consolarsi con le risse e gli arresti che hanno inincorniciato, pochi giorni fa, 10 stadio inglese di Newcastle durante una partita di Coppa. Nel mondo dello sport, 11 male si moltiplica da un luogo all'altro per mimetismo e condanna tutti, anziché creare un ipocrita e criminale « mezzo gaudio ». Napoli non sa più come proteggersi dalle orde dei suoi bagarini, che ormai assaltano il San Paolo con la pretesa di chissà quale autorizzazione a esercitare il loro « diritto di I tangente ». A Genova i proclami sconsiderati di Berrino, presidente del vecchio e glorioso Zena, hanno eccitato le frange già infiammate della tifoseria rossoblu. A Torino, la guerriglia dopo la partita ha superato di gran lunga l'occasione iniziale, cioè l'operato dell'arbitro Giunti. Non c'è «fischietto » che meriti tanto di cronaca nera. Basta subirlo, magari sbeffeggiarlo, com'è tradizione, basta giudicarlo poi nelle sedi adatte. Ma i bastoni, le pietre, le cosiddette « armi improprie » — prontissime ad apparire —appartengono a una diversa concezione mentale, a trame e manovre che lo sport respinge, che gli stessi tifosi sono chiamati a condannare. Chiunque apprezza ancora 10 spettacolo agonistico sia, da oggi, sul « chi vive », non tolleri gli abusi e l'isterica ferocia che vogliono strumentalizzare una partita — un gioco, perché sempre lo è, vada bene o vada male — per trasformarla in un terreno di lotta eversiva. Già ieri abbiamo invocato provvedimenti immediati, severi: vada pure a riflettere nel deserto il signor Giunti, che non serve il football e la sua Can (svegliatasi nella cuccia), ma vengano subito individuate le fila che hanno sconvolto il pomeriggio torinese. Piovano le punizioni adeguate, non ultima per il citato Serrino genovese, che non è un capotribù tifoso ma un presidente di club con le micce in tasca. In quanto all'ingegner Ferlaino, che fa di tutto per tutelare la sua società ma non e mai riuscito — malgrado mille tentativi — a sconliggere 11 potentissimo bagarinaggio partenopeo, auguriamogli nuove fantasie: o il 7 aprile, giorno di Napoli-Lazio, si giocherà entro un rettangolo di carri armati. Ripieghiamo adesso, con nessuna allegria, sul nostro I calcio giocato. Parla per tutti la classifica. La zona-scudetto pare essersi ridotta a un « tris » formato da Lazio, Napoli, Juventus, ultima tra le « grandi » tradizionali a resistere al vento del Sud. Mestamente, Rivera dice: adesso possiamo giocare tranquilli. Ci sia consentita la domanda: a che cosa? Ride Sormani, ex-rossonero, eversore del Milan. Essendo anche un ex-azzurro, medita di ripetersi domenica contro il Napoli di Vinicio? La critica meneghina esalta Boninsegna, anche se la sua Inter è a sette punti dalla Lazio, e piange sul Milan: come sempre esagerando nei trionfalismi a rotazione con cori funebri. L'aritmetica non assegna ancora il titolo ai biancocelesti, anche se li indica come i pretendenti più autorevoli. Le gare di domenica ventura cederanno forse un lembo prezioso dell'ultima |verità Un'indicazione è già venuta fuori: lo scudetto si vince resistendo alle '• grandi » ma superando le cosiddette « piccole » sui loro campi. Come è riuscito alla Lazio quando viaggiò a Verona e a Foggia, come è capitato alla Juve nel frastuono di Marassi. Ogni squadra ha problemi di inquadramento, perde e recupera uomini, cerca di risparmiarsi nell'arco dei novanta minuti, rimanda a domani la possibilità di uno sforzo ulteriore. Possono giocare spendendo il massimo un Bologna, un Torino, che non hanno problemi di graduatoria. Ora la zona di centroclassifica si infittirà, ma nessuno vorrà mai cedere nulla gratuitamente ai massimi reggitori che navigano in testa. Mazzola rientrerà o meno nell'Inter che fu sua? Rivera ha le forze per superare il turno di Coppa e poi la trasferta sul campo minato della Juventus? E la stessa Juve, recuperando Capello, troverà un ruolo per il giovane Viola, dimostratosi pedina utilissima? Mancano solo più dieci domeniche alla fine, ma gli interrogativi grandinano. E solo con presunzione si può rispondergli, in questo voltar di stagione che può approdare a climi molli mentre gli scontri si faranno decisivi. Chi aveva troppi problemi di saldatura tra reparto e reparto — dal Milan al Torino alla Fiorentina stessa — ha via via perso il passo. Chi vivacchiava sui ricordi ha dovuto stringere le mascelle, dalla Juventus all'Inter. Non attraversiamo una fase di football incantatore, questo è certo, ma di fascino agonistico sì. Forse anche a pregiudizio di qualche uomo da « mondiali». Dalle battaglie si esce stanchi e frastornati, per ciò che è stato di calcio e per il troppo che appartiene solo ai calcioni e alle follìe: vedi la Juventus reduce da Genova, vedi il Torino che la Sampdoria intriga e affatica al di là delle « bufale » arbitrali. Se si pretende football, si cerchi d'osservarlo anche in filigrana, controluce. 0 si capirà ben no'jo di quest'annata « diversa ». E intanto medita Fabbri, chiamato a lavorar sodo, sperano Vycpalsk e Vinicio, un Maestrelli con l'iniziale già maiuscola è atteso a San Siro da un Masiero con l'iniziale ancora minuscola. Tra i due, un'altra « emme » che spunta. E' quella di Mazzola, che rivuole gloria. Chinaglia permettendo. Giovanni Arpino