Un ingegnere inquieto nel cinema ungherese di Stefano Reggiani

Un ingegnere inquieto nel cinema ungherese Il film d'autore in rassegna a Sanremo Un ingegnere inquieto nel cinema ungherese L'opera di Bacso - "Altri seguiranno" di Agosti: documenti sulla Grecia (Dal nostro inviato speciale) Sanremo, 11 marzo. Storia e politica nei primi film della Mostra internazionale del cinema d'autore: gli inganni e le promesse di ieri, la violenza e le illusioni di oggi, secondo la formula di serena disperazione che sembra propria di molti registi contemporanei. La manifestazione, aperta domenica a Sanremo, non segue tuttavia un filo logico, se si toglie la retrospettiva: è un gran mazzo di fiori che vogliono essere odorati uno per volta. Il critico coglie le affinità, ma ha il dovere di tenere separati i profumi. Tanto più che le pellicole sono un'alluvione: quarantuno, un numero sufficiente ad impegnare un Festival di tre settimane. Dobbiamo essere grati a Peter Bacso? L'autore ungherese insegue un suo rovello drammatico dentro la società comunista: tratta la realtà come una ciambella e la taglia in esili fette, per recuperare la natura composita dell'impasto. Il risultato apparente è una denuncia delle contraddizioni e delle ineguaglianze di classe in Ungheria, il motivo più tormentoso e più profondo tocca i privilegi dell'individuo in un ingranaggio burocratico. Bacso, per dirla in modo grossolano, ha una dolorosa nostalgia dell'eroe borghese. Nel film che si vide tre anni fa a Sanremo «Rompere il cerchio», c'era un giovane operaio prima sedotto da un matrimonio con una ragazza ricca, poi attratto dalla possibilità di affermarsi autonomamente nel lavoro attraverso la tecnologia. In «Terzo slancio», presentato oggi al Festival sanremese, un ingegnere rifiuta la carica di direttore generale, dà le dimissioni dalla fabbrica e torna al suo vecchio lavoro di saldatore. Troverà poca comprensione tra i suoi nuovi compagni, che lo giudicano un bizzarro di passaggio, un apostata ambiguo della sua classe, e pochissima solidarietà nella moglie, la quale ha fatto l'abitudine a una vita relativamente agiata, alla bella casa, alle compere dispendiose nei supermercati. C'è solo una ragazzina distributrice di giornali che gli dà coraggio con lunghi colloqui all'alba, mentre i quartieri ricchi di Budapest sono addormentati. Alla fine, poiché non si diventa ingegneri per nulla, al transfuga offrono la direzione di un cantiere. Dovrà rifiutarsi? Dovrà riprendere la carriera? La dolce giornalaia lo mette di fronte alle sue responsabilità, al terzo slancio, il più difficile e risolutivo. Naturalmente Bacso non ci informa sulle conclusioni: siano operai o ingegneri, i suoi personaggi sono sempre soli con se stessi e da soli devono decidere. Sofferta, ambigua, tormentata, la testimonianza dell'ungherese dovrebbe uscire dai Festival ed essere proposta al pubblico normale: fornirebbe ottimi spunti di dibattito, anche a coloro che sono cristallizzati in pregiudizi, negativi e positivi, sulle società dell'Est europeo. Un finlandese, Jotaarkka Pennanen ama la storia passata per inquietudine della presente. In Gli omicidi di Mommila rievoca un episodio del 1917 nel suo Paese: l'uccisione di un possidente agricolo da parte di un gruppo di marinai rivoluzionari. La vicenda si svolge parallelamente alla Rivoluzione d'ottobre in Russia, ma le ambizioni di Pennanen non sono di natura apologetica o celebrativa. I marinai, egli dice, «non sono un sìmbolo della rivoluzione» e l'uccisione del possidente Kordelin ha un valore emblematico solo per le «persone di riguardo». L'autore sente il fascino discreto della residenza di campagna di Kordelin e dei riti che vi si svolgono, riunisce i suoi personaggi a tavola, come farebbe Bufiuel, indugia sul protagonista per scoprire la natura doppia della sua «simpatia». Il possidente, secondo il regista, ripropone le contraddizioni del Puntila di Brecht: cordiale e ama¬ b bile in privato, inevitabilmente sfruttatore nel suo ruolo pubblico. Non è facile decidere in che misura la «simpatia» per Kordelin abbia sopraffatto la volontà analitica di Pennanen. Il regista più dei fatti ama comunque il loro teatro sanguinoso, il loro inseguirsi e diventare scena: l'arrivo dei marinai, la rivolta silenziosa dei servi, i pranzi nella villa sono fondali di una recita che ha conquistato il suo brechtiano allestitore. In Altri seguiranno, il regista Silvano Agosti (Il giardino delle delizie) ha raccolto per la televisione svedese una serie di documenti in Grecia dopo l'amnistia del '73 e la scarcerazione di numerosi resistenti. Al silenzio impaurito e diffidente dei cittadini interrogati per la strada con una domanda troppo brusca («Che cosa pensa del caso Panagulis e della democrazia in Grecia?»), fa riscontro la cal¬ no he ron. oiiei sa a he hgidito na ia la eto nn ca ain l¬ ma fede di Panagulis e dei suoi compagni. Nelle dichiarazioni prende un rilievo crudele l'uso della tortura da parte del regime. Non sono, è vero, cose nuove, ma nel film hanno l'impatto diretto di una comunicazione. Il film sovietico La supplica, prodotto nella Repubblica georgiana, illustra un'opera del poeta ottocentesco Vaja Psciavela. Nelle immagini ariose e colte del regista Abuladse si avverte un brivido di compiacenza nazionalistica, piuttosto che un'adesione ai temi lirici del bene, del male e della speranza. Il pubblico forse gradirà di più la retrospettiva sul cinema sovietico degli Anni Venti e Trenta che presenta piccoli capolavori di quotidianità, conosciuti da pochi, come i nomi dei registi, un tempo accusati di disimpegno ideologico (Room, Barnet, Protazanov, Preobrazenska). Stefano Reggiani

Luoghi citati: Budapest, Grecia, Russia, Sanremo, Ungheria