Partiti e soldi in America di Vittorio Zucconi

Partiti e soldi in America SOPRA UN ARTICOLO DI MONTANELLI Partiti e soldi in America Lo scandalo Watergate dimostra ampiamente che non siamo noi ad avere certi primati negativi Caro Direttore, leggo in ritardo per le stravolte comunicazioni postali Italia-Usa, ma con il consueto piacere, un « controcorrente » di Montanelli sullo scandalo dei finanziamenti ai partiti italiani. Poiché, a sostegno delle sue argomentazioni. Montanelli cita l'esempio delle «vere, grandi democrazie» fra le quali mi pare egli alluda agli Stati Uniti, vorrei aggiungere qualche dato al dibattito, così incandescente in Italia e dunque non privo, come ammonisce lo stesso Montanelli, di tentazioni qualunquistiche. Giustamente Montanelli osserva che ben pochi Paesi democratici al mondo conoscono l'elefantiasi burocratica dei nostri partiti e, se leggo correttamente, egli stabilisce un parallelo fra apparato e spese: tanto più grande il primo, tanto maggiori le seconde. Infatti, dice ancora Montanelli, dove la burocrazia è volontaria, ridotta e confinata alle vigilie elettorali, il problema dei finanziamenti non raggiunge l'acutezza dell'Italia. E, conclude, « le cronache non se ne occupano ». Costretto, dal mio lavoro di corrispondente della Stampa negli Usa, a leggere quotidianamente le « cronache » americane, ho avuto una diversa impressione e informazioni altrettanto diverse che forse possono giovare al dibattito. Lo scandalo dei finanziamenti ai candidati elettorali, sia diretti, sia attraverso i partiti, turba profondamente gli americani e in particolare i fondi raccolti da Nixon sono uno dei più gravi capitoli del cosiddetto « scandalo Watergate », giudicato dai « politologi » assai più inquietante della grottesca vicenda di bobine sparite e testimoni messi a tacere. E il fatto che molti soldi siano stati ottenuti da poche persone, anziché da molti funzionari come in Italia, non mi pare modifichi la sostanza dello scandalo. L'attenzione sul problema del rapporto partiti-quattrini è incandescente al punto che sette Stati (dei 50 che formano gli Usa) hanno già modificato le loro leggi al riguardo, mentre il senatore Kennedy, che ha la fortuna di non avere grossi problemi finanziari, conduce una campagna in Parlamento per nuove, più restrittive norme sulla campagna presidenziale. La pressione per una riforma si è fatta tale che lo stesso Nixon ha dovuto recepirla, in un progetto di legge annunciato in dettaglio venerdì 8 marzo. Per quanto timido, tale progetto (che esclude, contrariamente alle tesi Kennedy, forme di finanziamento pubblico) fissa a 3000 dollari, circa due milioni di lire, i contributi massimi che devono essere sotto forma di assegni personali e non di società. La questione non è affatto circoscritta al caso Nixon: sere fa, parlando alla tv, un celebre giornalista inglese di nascita, ma che ha scelto per ammirazione la cittadinanza americana (Alistair Cook) diceva che lo scandalo dei finanziamenti elettorali è «americano come la torta di mele della nonna ». Noi diremmo « italiano come gli spaghetti». Ma comunque la si cucini, questa minestra dei finanziamenti ai partiti è indigesta al1 piccole e fragili democrazie quanto alle loro sorelle maggiori. Per la sola campagna presidenziale del '72 (quella di Watergate) i volontari del « Comitato per la rielezione di Nixon », fra cui un ministro della Giustizia oggi sotto due processi, raccolsero oltre 100 miliardi di lire in meno di 6 mesi. Gli uomini di McGovern, costretti a « vendere » un sicuro perdente, dovettero accontentarsi di 30 miliardi. Un'altra ventina di miliardi furono distribuiti fra i candidati alle pre-elezioni, Humphrey, Muskie, Wallace, Mills ecc. E queste cifre, raccolte dai giornali, per nulla indifferenti, sono, mi dicono, largamente inferiori alla realtà. Non è necessario un apparato mastodontico per rastrellare fondi, dunque, bastano volontari decisi e, soprattutto, i canali giusti. Proprio per proseguire nelle analogie con l'Italia ed essere in qualche modo utile al dibattito sul finanziamento aggiungo che i maggiori contribuenti in favore di Nixon furono i petrolieri, Exxon, Gulf, Mobil, Texaco, ecc., che finanziarono il ] presidente uscente con inaudita larghezza (decine di miliardi di lire) e in spregio alla legge che vieta, dal '72, i contributi di società. Tutte le compagnie coinvolte si sono già confessate « colpevoli » davanti al giudice (dunque, questo che cito è un fatto certo), ma gli assegni corrono egualmente. Con la firma del presidente della società che contribuisce « a titolo personale». Insomma, caro Direttore, non vantiamoci di primati negativi che non abbiamo, visto che altri, e reali, non ci mancano. Fra l'altro, a proposito di grandi democrazie, vorrei ricordare ancora il caso della Svezia dove il finanziamento forzato dei partiti, attraverso l'iscrizione al sindacato, non è un esempio da imitare, come scoprii in un viaggio di servizio per le elezioni. Nella stessa America, il problema non è affatto confinato alle « presidenziali » ma si estende alle centinaia di elezioni locali, dallo sceriffo al senatore, che quotidianamente portano qualche americano a votare. E' vero che questo Paese si può permettere lussi rovinosi per l'Italia, ma il problema morale, che mi pare abbia mosso Montanelli, non muta in rapporto al prodotto nazionale lordo. E c'è sempre il pericolo che qualcuno, interpretando erroneamente l'analisi di Montanelli e facendo confronti grossolani con altri Paesi, sia tentato di risolvere l'equazione partiti-finanziamenti soffocando i partiti. Come insegna l'America con la sua rivolta legalitaria di Watergate, e come questo giornale sostiene, è sempre meglio una democrazia spendacciona che una tirannide parsimoniosa. Vittorio Zucconi Nixon, di Levine (Copyright N.Y. Rcview of Books. Opera Mundi c per l'Italia La Slampa)