L'anarchico: "Non ho ucciso io il missino perché il mio coltello era troppo piccolo,,

L'anarchico: "Non ho ucciso io il missino perché il mio coltello era troppo piccolo,, Prosegue in clima di tensione il processo in corte d'assise a Salerno L'anarchico: "Non ho ucciso io il missino perché il mio coltello era troppo piccolo,, L'arma ha un ruolo importante ai fini del dibattimento, ma non è stata trovata tra i corpi del reato a Palazzo di Giustizia - La lama sarebbe troppo corta per provocare ferite simili a quelle inferte alla vittima, un neofascista di 19 anni (Dal nostro inviato speciale) Salerno, 1 marzo. Giovanni Marini nega di avere ucciso Carlo Faldella: neanche per legittima difesa. Intervenne, questo lo ammette, per aiutare un compagno anarchico aggredito dai fascisti: ma ha la certezza, aggiunge, di aver soltanto graffiato qualcuno degli avversari nella peggiore delle ipotesi. La prova? Una, secondo lui, ma determinante: il suo coltello infatti aveva una lama che non era più lunga di 5 o 6 centimetri. Con un'arma del genere è impossibile provocare quelle ferite per cui il diciannovenne vicepresidente del Fuan salernitano sopravvisse appena tre ore dopo essere stato colpito al cuore la notte del 7 luglio 1972. Il coltello con cui è stato compiuto il delitto in questa storia ha assunto così un ruolo importante: quasi definitivo. Ma chi ha visto mai questo coltello? Si sa che subito dopo la rissa tra anarchici e missini, alle spalle del lungomare, alla polizia ne fu consenato uno che Giovanni Alfinito, un missino coinvolto nello scontro, sostiene di avere trovato per terra. Dovrebbe essere stato conservato tra i corpi di reato: ma inutilmente, oggi, un cancelliere è andato a cercarlo. Dopo un'ora di indagini vi ha rinunciato: spera di essere più fortunato domani, con calma. Sembra che nel palazzo di giustizia a Salerno l'organizzazione non sia tra le più perfette. Questo tipo di ricerche, al primo tentativo, finisce sempre col dare un risultato negativo: sorprendente, dicono coloro che hanno una notevole esperienza di queste cose, sarebbe stato se fosse avvenuto il contrario. Nell'attesa che si possa controllare un'affermazione così importante come quella fatta oggi da Giovanni Marini, i giudici della Corte d'assise si sono limitati a conoscere meglio il personaggio: composto, intelligente, interessante, tutto compreso del ruolo che la sorte gli ha affidato da interpretare. Il clima, intorno a lui, è sempre teso: meno di ie¬ ri, comunque, sì da pensare che il peggio è stato scongiurato. I missini, dopo l'incidente di ieri (aggressione a due fotografi comunisti e tra gli aggressori si dice che vi fosse il fratello di Carlo Faldella), si sono chetati quasi avessero obbedito ad un ordine preciso di evitare gazzarre; gli anarchici si sono limitati a loro volta a gridare che Marini deve essere liberato subito. Giovanni Marini ha 32 anni, è nato in un paesino (Sacco) della Campania, ha frequentato l'università (facoltà di filosofia) senza arrivare alla laurea, è anarchico da sempre. Non ha voluto essere liberato dai ferri ai polsi durante l'interrogatorio. «Sarebbe un'ipocrisia — ha spiegato — perché io sono stato legato al letto di forza nel carcere di Caltanissetta e questo con la collaborazione della procura». Il pubblico ministero non si è lasciato sfuggire la battuta e ha voluto che la frase venisse inserita a verbale e il verbale trasmesso al suo ufficio per un'eventuale azione penale. «Guardi, presidente — ha aggiunto Marini — che io non ce l'ho con lei come persona, ma soltanto perché lei è uno strumento della giustizia di classe, del codice Rocco, del codice fascista. Io, come anarchico, rifiuto di essere giudicato dal codice Rocco Mussolini - De Marsico che è qui tra i mei accusatori come avvocato di parte civile. Accetto l'interrogatorio soltanto perché in istruttoria il giudice non si preoccupò di cercare la verità, ma di confezionare un mostro per i fascisti, per i padroni e per la borg' : sia di Salerno». La versione di Marini è semplice: a Salerno i fascisti, «finanziati dai padroni locali», hanno sempre organizzato aggressioni alle sedi dei partiti democratici; poi, se la presero con lui che stava indagando sulla morte di cinque anarchici in Calabria, con la conseguenza che fu costretto a lasciare Salerno per un paio di settimane. Fu al suo ritorno che acquistò un coltello: per difendersi e non per offendere. La sera del 7 luglio 1972, Giovanni Marini passeggiava per il lungomare insieme con alcuni amici quando incontrò Carlo Faldella che gli dette una «spallata» (il professor De Marsico ha esibito un certificato medico dal quale, però, risulta che il giovane missino era quasi cieco). «Ma io — ha aggiunto Marini — non raccolsi la provocazione. Anzi, quando più tardi tornai ad incontrarlo, abbassai lo sguardo per non vedere il suo sorriso di scherno. Fatti pochi passi ancora, mi resi conto che un mio compagno. Franco Mastrogiovanni. era stato aggredito e ferito. Tornai indietro, cavai di tasca il coltello e presi ad agitarlo da sinistra verso destra, dall'alto in basso per evitare che i fascisti si accanissero su di lui ». Che cosa accadde poi Marini non lo sa: vide Faldella indietreggiare e cadere, lui se ne andò via tranquillo convinto di avergli procurato soltanto qualche graffio. Qui è ve¬ nuta fuori la necessità di controllare la grandezza, la lunghezza, la pericolosità del coltello. Ma l'arma non s'è trovata: si spera che da oggi a lunedì, quando sarà ripreso il processo, l'indagine nell'ufficio dei corpi di reato dia un risultato migliore. Guido Guidi Giovanni Marini

Luoghi citati: Calabria, Caltanissetta, Campania, Salerno