"Chénier,, con sobrietà di Massimo Mila

"Chénier,, con sobrietà L'opera rappresentata al Regio dopo 13 anni "Chénier,, con sobrietà Una buona esecuzione del melodramma di Giordano, diretta da Nino Sanzogno, protagonista Carlo Bergonzi, con Aldo Protti e Rita Orlandi, regia di Marco Parodi Perché l'Andrea Chénier, massima riuscita di Umberto Giordano e una delle vette del melodramma verista, è considerato dalla critica con certe riserve, di cui si accorano, o si indignano, i suoi entusiastici fautori? Onestamente, non sarebbe giusto accusarlo di volgarità o di cattivo gusto, come talvolta accade di leggere. Certo, non manca di enfasi, e soprattutto d'una grande abilità negli effetti, ma raramente vi mette a disagio per improvvida insistenza sugli effetti stessi: il senso della misura c'è, forse più che in Puccini, il quale viene generalmente stimato superiore a Giordano per finezza di mano e di gusto. La lezione strumentale del dramma wagneriano è assimilata con una certa autonomia, senza quelle pedisseque imitazioni che abbiamo sentito, per esempio, nella Francesca da Rimini. Il limite deWAiìdrca Chénier è, per così dire, il rovescio intrinseco delle sue qualità: l'immedesimazione della musica con l'azione è spinta così avanti, che alla musica stessa resta poco spazio per sé. Quel difficilissimo punto d'equiIib:'io tra musica e dramma, in cui consiste la perfezione dell'opera lirica, e che nel melodramma serio del Settecento, fino a Rossini incluso, era rotto a favore della musica, ora, in questi abilissimi narratori musicali di trame drammatiche, trabocca invece dall'altra parte. L'azione vi afferra, e vi afferra attraverso la musica, ma la sete di musica, per chi ce l'ha, non viene interamente soddisfatta: invano cerchereste quella perfezione di fo:>me musicali che è la gloria del Barbiere di Siviglia, del Don Giovanni, del Ballo in maschera o della Walkiria. Le idee musicali, le invenzioni sono spesso buone e reali, ma restano allo stato di spunti: o vengono ripetute, fino all'ossessione, come avviene per il tragico tema finale della morte affrontata in comune dai due amanti uniti nel sacrificio supremo, oppure si sperdono e si sminuzzano nel torrente degli eventi. L'opera è tuttora pienamente inserita nel gusto popolare, e non è perciò di difficile realizzazione, pur di non lesinare nei mezzi. 11 Regio ha messo insieme una compagnia di tutto rispetto, con una certa prevalenza delle parti maschili, che del resto è implicita nella natura dello spartito. Il tenore Bergonzi è parso in ottima forma, nel pieno possesso di quelle qualità vocali che ne fanno un idolo delle platee. Non staremo a ripetere l'elogio di una voce che non è solo squillante negli acuti, duttile e abbastanza limpida, ma, soprattutto, è mobile e varia nell'espressione, più di quanto lo sia il gioco dell'attore. Gran merito di Bergonzi è che di questi mezzi naturali si serve con sebrietà: è stato molto applaudito, anche a scena aperta, ma avrebbe potuto riscuotere il triplo di applausi, se avesse fatto il gigione. Personalmente gli siamo grati di averci risparmiato quelle situazioni penose di indecenza che quest'opera può produrre quando viene abusata dalla vanità dei cantanti. Bravissimo pure il braitono Aldo Protti, che è approdato a una stagione di piena maturità artistica e interpretativa: come Gerard, riconferma quella capacità di scolpire un personaggio che abbiamo recentemente apprezzato nel suo Gianciotto. Il soprano Rita Orlandi Malaspina è una bella voce, pura, inalterabile, qualunque cosa accada alla povera Maddalena di Coigny. Laura Zanini impersona con vivacità la mulatta Bersi, e Luisella Ciaffi scolpisce una vigorosa Madelon, con una cla^icità da stampa popolare. Fra i numerosi comprimari Massimiliano Mala- seplcaac spina c Angelo Marchiandi emergono per l'importanza delle parti (rispettivamente Roucher, l'amico fedele del poeta, e l'Incredibile che fa da informatore a Gerard), ma tutti, macchiette aristocratiche del primo atto e popolari del secondo e terzo, contribuiscono alla buona riu¬ scita dello spettacolo: Giuse Gerbino, Bruno Grelln, Angelo Nosotti, Teodoro Rovetta. Luigi Pontiggia. Luigi Risani, Augusto Frati, Gianni Brunclli. Anche il coro, istruito da Tullio Boni, ha funzionalo bene e la direzione di Nino Sanzogno ha riunito felicemente esperienza di mestiere con finezza di gusto: ad essa si deve, e al garbo dei cantanti, se per la prima volta abbiamo sentito l'Andrea Chénier senza oltraggiose offese al buon gusto. Tradizionali, senza ghiribizzi, ma efficaci le scene di Peter Halle la regìa di Marco Parodi. Lr. coreografia di Susanna Egri sul coro «Pastorelle addio» è affidata all'esecuzione di Giuseppe Carbone, Marilena Bonardi e Marita Marchioretto. Lodevole lo sforzo di coinvolgere il palcoscenico nel minuetto in casa della Contessa di Coigny. Ottimo successo, che si protrai:.! e magari aumenterà nella lunga serie di repliche. Massimo Mila

Luoghi citati: Rimini, Siviglia