L'ideologia indulgente di Alberto Ronchey

L'ideologia indulgente L'ideologia indulgente Varie ideologie si contendono il terreno, lungo e stretto, « dove gli italiani vivono accampati », tra l'Ovest e l'Est, l'Europa e il Nord Africa. Ma prevale nei fatti una sola ideologia, indigena benché influenzata dagli echi esterni. E' l'ideologia dell'indulgenza (o della facilità, o dell'immunità). Nella sfera politica, l'indulgenza ha per oggetto i partiti intesi come strutture protettive (apparati-clientele). Nella sfera sindacale, mescola insieme leggende socialiste orientali e litigiosità corporative occidentali, poiché è bene concedersi tutto. Nell'economia, traducendo senza scrupoli il grande Keynes, la teoria del deficit budgeting diviene un perenne invito al debito pubblico e privato, senza più responsabili né responsabilità. Nell'educazione, interpretando Dewey e Spock e Marcuse con lo zelo delle ore di supplenza e le sprezzature degli agitatori studenteschi, prevale una permissività corale di fondo morbido e mediterraneo: il paradeisos in cui l'uomo era innocente (« che è appunto ciò che l'uomo non dev'essere », eccepiva un tempo Hegel). Nella sfera sociologica e in quella penale, non pochi e tenaci affermano che la colpa o non esiste o è di tutti, il « criminale » è vittima d'un male individuale se non collettivo; ma subito alcuni psichiatri aggiungono che neppure i pazzi esistono. Tale è l'ideologia. Tutto questo è prova d'una fertile versatilità intellettuale, ma si traduce in un gran traffico d'indulgenze. Ora accade che la maggioranza, poiché sembra subire simili concezio ni, finisce per dimostrare la verità dell'ideologia: davvero, a questo punto, o tutti colpevoli o nessun colpevole. La profezia realizza se stessa e sfocia nell'indulgenza plenaria. La fatalistica fiducia che sia possibile vivere sui debiti, senza limiti, è maomettana o keynesiana? « L'analisi keynesiana — avvertiva già il Samuelson — ha cominciato a penetrare nei libri di testo elementari; ora, una volta penetrata qui, come ognuno sa, un'idea, buona o cattiva che sia, diviene praticamente immortale ». Ma la crisi economica è affatto estranea alle teorie sul deficit spending o budgeting; ha piuttosto che fare con la questione se la società potrà reggere un tasso d'inflazione del 20 o 30 per cento. Negli ultimi dieci anni, solo due su quaranta nazioni colpite da un aumento dei prezzi superiore al 15 per cento hanno potuto conserva re le usanze della democrazia. La maggioranza indulgente, più vicina al fatum mammetenu" i.he alla scienza economica, spera che tutto sia lecito, possibile, compatibile. Più che maggioranza è una somma d'interessi disparati, di spinte e richieste in contraddizione fra loro. Anch'essa dunque insidia un presupposto della democrazia: la famosa congettu ra che « più della metà della gente abbia ragione per più della metà del tempo ». La fragilità della somma ha conferma, per esempio, quando sono in questione gli scioperi. Se l'indulgenza maggioritaria fosse un'ideologia coerente, ciascuno dovrebbe giustificare gli scioperi di tutti. Invece ogni sindacato o corporazione giustifica solo il suo sciopero, deplorando gli altri, essendo palese l'insostenibilità di tutte le richieste. Ogni tanto, per unificare in un giorno simbolico tutte le proteste, le tre confederazioni sindacali proclamano lo sciopero generale. In questo rito unificante ci si riduce a credere nei calmieri sui prezzi, confondendo effetti e cause, benché mai un solo calmiere abbia avuto successo nella storia da Diocleziano in poi. Ma l'ideologia proietta la sua ombra più lunga sui posteri, ammesso che si debba pensare a loro (« preoccuparsi dei posteri? E che hanno fatto costoro per me? »). Da tempo alcuni insegnano che non gli scolari debbono adattarsi alla scuola, ma la scuola deve adattarsi agli scolari; non è previsto un incontro sul ponte metà del fiume di frontiera, come tra Napoleone e lo Zar La cosa viene intesa nel senso che sia possibile apprendere senza il minimo sforzo. Ma chi ancora non ha studiato ignora che il troppo facile è solo ripetizione del già risaputo, che è impossibile passare senza difficoltà dal non sapere al sapere; invece chi insegna, se non è afflitto da un'allucinazione ideologica, sa che spiegare troppo semplicemente una questione complessa è come spiegare un'altra questione. Esiste anche una dottrina, che prevede il diritto di chi studia a esigere dall'insegnante le nozioni preferite e a scartare le altre. Ora l'istruzione pubblica è il massimo investimento del bilancio statale, sor¬ retto con il prelievo fiscale dai redditi d'ogni strato o classe sociale. I beneficiari del servizio, buono o cattivo che sia, non sono una classe sociale contribuente, ma una classe di ginnasio o liceo; non sono utenti, non sono « il cliente che ha sempre ragione ». Nal'Urss, gli scrutini e gli esami sono rigorosi, perché rappresentano la verifica dell'utilità d'un investimento pubblico e pianificato. Invece la scuola americana è permissiva perché in gran parte privata e spesso ricca (dunque può perdere tempo) essendo finanziata da comunità ricche, da veri utenti e clienti. Chi ama trarre le massime soddisfazioni dalla percezione degli argomenti logici non sarà felice ascoltando gli studenti che si proclamano comunisti, ma insieme rivendicano la permissività americana. Allo stesso modo avrà difficoltà nell'ascoltare discorsi, che all'interno di sconfinate aspirazioni verso il bene collettivo illustrano la pretesa di « autogestire » la scuola. Si può « autogestire » una cosa non propria, ma dello Stato? Se fosse possibile, altri ne avrebbero più diritto dei minori, che ricevono un seivizio e non lo offrono: i poliziotti potrebbero « autogestire » la politica interna, gli impiegati del fisco la politica finanziaria, i diplomatici la politica estera, ma si teme che sarebbe una spartizione feudale dello Stato. E la dittatura infantile quali nozioni vorrebbe? Più che nozioni, spesso leggende e suggestioni rivoluzionarie, secondo pretese che suonano sospette agli stessi comunisti adulti. « I figli della borghesia — ha spiegato Giorgio Amendola — corrono dietro alle farfalle. C'è il Che Guevara? E allora vìa con Che Guevara. C'è il Vietnam? E allora via con il Vietnam. Ci sono i fedayn? E allora via con i fedayn. Tutto ciò che può rompere la noia della vita va bene per loro ». E andrà sempre bene, finché andrà male. Alberto Ronchey

Persone citate: Dewey, Giorgio Amendola, Guevara, Hegel, Keynes, Marcuse, Samuelson, Spock

Luoghi citati: Europa, Nord Africa, Vietnam