r di Filiberto Dani

r Le cave occupate da sei mesi Guerra del marmo sulle Alpi Apuane La Montedison ha ceduto la subconcessione delle cave a un industriale siciliano - Le maestranze hanno contestato la decisione e paralizzato l'attività - Progetto della Regione Toscana (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 28 febbraio. Le cave di marmo in Versilia, in Garfagnana e sulle Apuane sono occupate dalle maestranze da sei mesi. E' un episodio drammatico, riguarda seicento dipendenti, altrettante famiglie: riguarda un cardine economico delle province di Lucca e Massa Carrara e riguarda infine un mucchio di attività satelliti nella piccola industria marmifera, nell'artigianato, nel commercio, bilanci che vivono con la linfa delle cave. E' anche un episodio singolare, perché le maestranze, che dall'agosto dell'anno scorso non percepiscono il salario, non riconoscono per legittimo il loro nuovo datore di lavoro, un industriale siciliano, subentrato alla gestione della Montedison - Marmi. A questo punto ci vuole una spiegazione. Sono due, in Toscana, le grandi aziende che hanno sempre operato nel settore marmifero: la Montedison, appunto, e l'Henraux, che appartiene alla Banca Commerciale Italiana. Mentre la seconda continua proficuamente la sua attività, la prima ha voltato le spalle a questo settore, giudicandolo «ramo secco» e comunque non idoneo a integrarsi con i settori prioritari del gruppo (chimica, fibre tessili, alimentazione). E' storia di un anno fa, ma i successivi capitoli che l'hanno arricchita hanno ancora per protagonista la Montedison perché, nonostante l'avvenuto disimpegno, le concessioni delle cave sono rimaste intestate a lei. Quale dunque il motivo che ha provocato, con l'occupazione delle cave, la paralisi dell'attività produttiva degli agri marmiferi della Montedison? E' presto detto: la Montedison ha ceduto la sub-concessione delle cave, gli impianti e i macchinari a un industriale del marmo siciliano, il cavaliere del lavoro Giacomo Caruso, le maestranze hanno contestato la legittimità di questa operazione, organizzazioni sindacali, enti locali, governo regionale appoggiano senza riserve la contestazione. «Il discorso che facciamo — spiega Guido Galeotti, segretario della Cgil di Viareggio — è semplice: un imprenditore privato non può avere certe vocazioni, guarda principalmente all'affare, ma resta estraneo ai piani di rilancio di una economia che, come quella del marmo, ha bisogno di ben altra impostazione». E allora? «Nessuno nega a Giacomo Caruso il diritto di rimanere, se lo vuole, nel settore marmifero toscano, ma questo settore dovrà essere pubblicizzato attraverso la costituzione d'una società a partecipazione statale che subentri alla Montedison». L'occupazione delle cave (31 agosto 1973) è stata seguita da una serie di scioperi di solidarietà, di pubbliche manifestazioni, di incontri a livello ministeriale (lo stesso presidente del Consiglio è stato interessato alla vicenda). Dice Marino Papucci, assessore all'Industria della Regione Toscana: «Ci siamo battuti e continueremo a batterci per ottenere la pubblicizzazione del settore marmifero, uno dei supporti dell'economia toscana. Oltre tutto, la Regione sta mettendo a punto, con un gruppo di esperti, un piano di sviluppo che va dall'indagine di ricerca geologica, alla programmazione di opere infrastrutturali, a nuovi rapporti nell'ambito della produzione». Da Roma, però, è arrivato un «no» alla proposta di dar vita a una società interamente controllata dalle partecipazioni statali; da Firenze, recentemente, è partita una seconda proposta: quella d'una società a prevalente partecipazione pubblica, costituita dall'Egam d'ente gestione aziende minerarie a partecipazione statale), dalla Banca Commerciale, dalla Regione e, eventualmente, dall'industriale siciliano subentrato alla Montedison-Marmi. Tre le ipotesi: se Giacomo Caruso avesse accettato l'offerta della compartecipazione, la vertenza della cava era subito risolta; se l'avesse respinta, dicendosi invece disposto a trattare con la nuova società la vendita delle attività da lui rilevate dalla Montedison, il problema sarebbe stato soltanto di natura finanziaria; se avesse dichiarato la sua indisponibilità per entrambe le soluzioni, ci si sarebbe ritrovati al punto di partenza, cioè al braccio di ferrò. Le tre ipotesi hanno subito il collaudo proprio in questi giorni, nel corso d'una riunione tenutasi a Roma e alla quale hanno partecipato tre ministri (Giolitti, Pieraccini, Togni), esponenti dell'Egam, dell'Henraux, della Regione e l'industriale Giacomo Caruso. Cediamo la paro¬ ie e n rtn oaca a, ra n e o ioo no ie n e o a nna. a à, la all'assessore Marino Papucci, rientrato oggi a Firenze: «L'industriale siciliano è stato negativo su tutta la linea. Ha detto chiaro e tondo che I non intende far parte della progettata società, che non intende disfarsi della propria. Ha dichiarato testualmente: 'Voglio lavorare da solo. Mettetemi alla prova, chiedetemi tutte le garanzie che ritenete opportune. Non mi mancano né la volontà né i finanziamenti per rendere l'azienda il più efficiente possibile. Posso assicurare che non licenzierò nessuno, semmai la prospetti va è quella di assumere "altra ! gente. Non ho altro da dire, se non che non me ne andrò e I che si vedrà se siete in condì-1 zioni di mandarmi via". Ha dctto proprio così e a noi non I e rimasto che prendere atto del suo netto rifiuto alle nostre proposte». Che cosa succederà adesso? Gli enti locali proprietari delle aree in cui si trovano le cave di marmo (Carrara, Vagli di Sotto, Minucciano) hanno già annunciato che rescinderanno i contratti di concessione a suo tempo stipulati con la Montedison. «Quelle concessioni — spiegano — non prevedono il subaffitto: la Montedison, pertanto, non to sulle cave». può cederle a terzi. Come dire, insomma, che il signor Giacomo Caruso non è in grado di vantare il minimo dirit- Filiberto Dani

Persone citate: Giacomo Caruso, Giolitti, Guido Galeotti, Massa Carrara, Pieraccini, Togni