GLI EMIGRANTI OLTRE LA MANICA

GLI EMIGRANTI OLTRE LA MANICA GLI EMIGRANTI OLTRE LA MANICA (Segue da pagina I) razionalizzazione e uguaglianza sociale, fornirono un'opportunità d'oro per risolvere i problemi di base. W. R. Bòhning, in un recente documento all'Oecd (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo) ha descritto i processi di migrazione come «autoalimentanti». In altre parole l'immigrazione si è trasformata in una struttura professionale rigidamente gerarchica (divisa in lavori specializzati molto pagati e in lavori non specializzati pagati poco) procurando una costante corrente di persone che svolgono i 'lavori più umili. Una fine dell'immigrazione — anche se spinta da motivi « irrazionali » — forzerebbe le società occidentali a trovarsi alle prese con il problema dei salari bassi. Mr. Carr, ministro inglese degli Interni, sembrava aver capito parzialmente queste problema e disse ai suoi sostenitori che non potevano chiedere la fine dell'immigrazione e poi lamentarsi per il deterioramento dei servizi pubblici di trasporto londinesi. Il rimpatrio in massa dei lavoratori immigranti sembreiebbe una facile e conveniente risposta all'attuale crisi; sarebbe, come dice certa gente, salvare i lavoratori lo¬ cali dagli effetti negativi dei nuovi arrivati. Ma le cose non sono così semplici. Nonostante i non specializzati siano generalmente vulnerabili nell'attuale crisi, molti lavoratori stranieri occupano posti che non sono molto vulnerabili dalla deflazione — lavori nei trasporti, nei servizi sanitari, nel settore alimentare. Molti sono stati in Europa per molti anni e hanno ottenuto una specializzazione o sono diventati indispensabili sotto altri aspetti. In realtà, nonostante alcuni immigranti se ne vadano, come successe nel 1967 in Germania, durante la recessione, la posizione di altri verrà rafforzata. Ad esempio, se si desse, come era stato raccomandato dalla Cee, una maggiore importanza ai trasporti pubblici, i lavori sugli autobus e sui treni — posti spesso occupati da immigranti — non sarebbero non soltanto assicurati ma aumenterebbero di prestigio e importanza. E i 25.000 turchi che estraggono il carbone nella Ruhr poco probabilmente sarebbero candidati al rimpatrio. La fine dell'immigrazione dei lavoratori — accelerata dalla crisi dell'energia, ma inevitabile in ogni caso — rende assolutamente necessario per l'Europa arrivare a stabilire delle relazioni sia con la popolazione immigrante esistente, sia più fondamentalmen¬ te, con i « lavori da immigranti ». Le politiche per i centri commerciali, chiare politiche per l'apprendimento della lingua e per provvedere agli alloggi degli immigranti, sono ovviamente essenziali, come lo è una chiara definizione dei loro diritti, ma non bisognerebbe tralasciare l'opportunità di affrontare direttamente l'argomento dei « lavori da immigranti». Ciò significa nuovi atteggiamenti nei confronti dei salari, dell'apprendistato e dei modelli di carriera, con particolare riguardo al settore dei servizi. Fortunatamente la Cee — Commissario Hillery — si rende conto di avere questo ruolo e di essere in ottima posizione per assolverlo. Mentre i Paesi sviluppati stavano rivalutando le loro politiche d'immigrazione, i Paesi in via di sviluppo, cioè i « Paesi mandanti », stavano allo stesso tempo rivalutando le loro. L'Algeria ha attualmente proibito le emigrazioni in Francia, dopo le rivolte di Marsiglia. Come la Grecia, la Turchia e i Paesi nordafricani si avvicinano "sempre di più alla Cee, così la posizione dei Paesi che hanno molti emigranti sarà tenuta in maggiore considerazione dalla Comunità economica. Ma a breve scadenza la fine dell'emigrazione colpirà Paesi come la Spagna, la Turchia e la Jugoslavia in misura molto maggiore di quanto la fine dellMmmigrazione colpirà noi.

Persone citate: Carr