UN SETTORE: L'AUTO

UN SETTORE: L'AUTO UN SETTORE: L'AUTO Lo stop festivo Hans Stollhans Die Wclt Viaggiare in automobile oppure no è l'interrogativo che si pongono non solo i proprietari d'auto da quando in quasi tutti i Paesi europei è stato adottato il divieto di circolazione festiva, ma anche i capi dell'industria automobilistica europea. Dopo una corsa ad alta velocità con forti accelerate, durata per lunghi anni, l'industria dell'auto è stata costretta, nelle ultime settimane del 1973, a premere con forza il pedale del freno. Già si trovava su una strada in discesa, e la brusca sterzata, imposta dagli sceicchi arabi del petrolio, lo ha fatto correre il pericolo di una paurosa sbandata su una via rivelatasi ancora più ripida e tortuosa. I costruttori d'auto in Europa, che già da un paio di mesi avevano notato un clima di esitazione nella clientela, si sono trovati in piena recessione a causa della crisi petrolifera. Ora, l'industria dell'auto in Germania, Italia, Francia ed Inghilterra è in fervida attesa di una brezza primaverile che soffi con nuovo vigore nelle sue vele. Ma negli uffici direzionali dove si stanno esaminando le cifre del 1973, nessuno osa profetizzare se la nuova stagione permetterà effettivamente di impri mere una nuova accelerata al settore. • Viaggiando cautamente a velocità ridotta, i managers dell'industria automobilistica sperano di non dover dare ragione a quello scettico che giorni addietro affermava: « Una cosa è certa: il boom dell'auto non tornerà più come una volta, fintanto che i motori vanno a benzina ». E pensare che il 1973 aveva avuto un buon inizio per la produzione automobilistica europea. Il boom durava già da un bel po' e sembrava dover continuare. Lo slancio maggiore in partenza l'avevano avuto, nell'anno scorso, i costruttori tedeschi e francesi. In Germania, le grandi fabbriche d'auto erano riuscite a registrare complessivamente nel primo trimestre 1973 un volume di commesse che superava del 33,3 per cento quello dei primi tre mesi del 1972. Ed i francesi « bruciarono fino all'ottobre ogni primato ». Produssero nei primi 10 mesi dell'anno ben 2.644.000 autoveicoli, l'8,3 per cento in più che nello stesso periodo dell'anno precedente, di cui più della metà (1.480.000 unità) per l'esportazione. E proprio a proposito dell'esportazione, essi ebbero anche la possibilità di approfittare delle difficoltà causate la scorsa primavera dagli scioperi subiti dalla concorrenza britannica ed italiana. In Inghilterra si era notato fin dal febbraio un continuo incremento nell'importazione di automobili in conseguenza delle difficoltà di consegna della stessa industria britannica, in particolare da parte dei subfornitori (la Datsun giapponese era in testa con una quota del 3,09 per cento). Entro l'agosto la concorrenza straniera aveva conquistato una fetta pari al 32 per cento del mercato britannico. Ancora nel gennaio le vendite di automobili nuove in Inghilterra erano risultate superiori del 18 per cento rispetto a dodici mesi prima. Entro fine novembre erano stati immatricolati 1.591.411 autoveicoli nuovi (contro 1.547.816 nel 1972). Ma già a fine novembre le maggiori fabbriche inglesi dovettero registrare un calo nelle vendite sul mercato nazionale rispetto al 1972: così la British Leyland (506.331 contro 510.558 unità), la Ford (357.445 contro 379.357) e la Vauxhall - General Motors (112.844 contro 140.714). Soltanto la Chrysler britannica riuscì a salire da 145.719 a 152.601 unità. Nel novembre le vendite sul mercato nazionale registrarono complessivamente un regresso del 18 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Vi era stato sì nei primi 10 mesi del '73 un forte incremento delle esportazioni (per un valore di 369,5 milioni di sterline contro 259 milioni nello stesso periodo del '72). Ma ormai la possibilità di raggiungere una produzione complessiva di 1,7 milioni di autoveicoli in programma per il 1973 apparve se non sfumata, del tutto incerta, quando anche l'industria automobilistica britannica, come l'intera economia del Paese, dovette subire i drastici provvedimenti del governo Heath con la settimana lavorativa di tre giorni ed altre restrizioni. Voci allarmistiche dell'ambiente dell'industria automobilistica britannica, spinte da pessimismo, hanno espresso subito il timore che, perdurando l'attuale grave situazione, le vendite 1974 potrebbero scendere anche al di sotto di 400.000 unità. Altri invece, confortati da maggior ottimismo, sperano in un ritorno alla settimana lavorativa di cinque giorni entro un massimo di due mesi e quindi ad una piena ripresa della produzione, e prospettano un calo più contenuto delle vendite 1974 a circa 1,2 milioni di unità. Ammettono però di trovarsi fortemente ostacolati nel loro intento di riconquistare le quote di mercato strappate dalla concorrenza straniera. L'industria automobilistica italiana si era proposta per il 1973 una produzione complessiva di 1,8 milioni di autoveicoli (il che non avrebbe ancora esaurito le sue capacità produttive). A fine ottobre si erano raggiunte 1.612.114 unità; l'incremento produttivo rispetto ai primi 10 mesi del 1972 era del 3 per cento (1,98 per cento per le vetture e 22 per cento per i veicoli industriali, la cui produzione negli ultimi 5 anni era rimasta ad un livello molto basso). Ci si era appena ripresi dalle perdite di produzione dovute agli scioperi primaverili e si prospettava una fase migliore, quando è sopravvenuto l'abbassamento congiunturale con un conseguente calo della richiesta. Nelle esportazioni le fabbriche automobilistiche italiane dovettero accettare già a fine ottobre un calo del 3,63 per cento. Fino a quel punto erano stati esportati 590.571 autoveicoli, ma a causa degli scioperi registrati nella primavera del 1973 non era stato possibile soddisfare la maggiore richiesta dei mercati europei ed extraeuropei. Terminato il periodo della pausa estiva, le industrie dovettero constatare che stava prendendo piede una tendenza opposta delle richieste, in particolare proprio in alcuni Paesi di esportazione « classici » per l'Italia. Poi venne la crisi del petrolio con conseguenze direttamente negative ai fini delle vendite sia sul mercato nazionale sia sui mercati di esporta- La crisi nei rifornimenti di petrolio ha provocato pesanti contraccolpi in uno dei settori chiave dell'industria europea. La produzione e la vendita di auto registrano ovunque una forte diminuzione. Le prospettive in Italia, Francia, Germania ed Inghilterra. I limiti di saturazione del mercato se la recessione dovesse continuare. Il piacere di viaggiare su quattro ruote continuerà comunque ad agire da forza motrice per la ripresa della produzione zione. Per cautela, la Fiat ha bloccato le assunzioni. Anche i francesi, che si erano affrettati a sfruttare le difficoltà in cui si erano trovate l'industria automobilistica britannica e quella italiana a causa delle lotte sindacali nella primavera 1973, dovettero registrare con l'inizio della crisi del petrolio nell'autunno scorso un rapido regresso delle cifre di esportazione. L'esportazione delle automobili francesi in Germania scese del 30 per cento, in Olanda addirittura del 60 per cento. Il fatto che il mercato interno è rimasto abbastanza stabile non si è rivelato sufficiente a tranquillizzare le preoccupazioni dei dirigenti, tanto più che l'industria automobilistica francese esporta il 56 per cento della sua produzione. La SimcaChrysler ha soppresso le ore straordinarie e la Citroen ha chiuso a Natale i portoni dei suoi stabilimenti per otto giorni. Per l'industria automobilistica tedesca la marcia in discesa ha avuto inizio nell'estate, avviata dalle conseguenze della dura politica restrittiva di Bonn con l'aumento dei prezzi della benzina, delle assicurazioni e delle riparazioni. L'incremento delle commesse del 33,3 per cento nel primo trimestre (rispetto al periodo gennaio-aprile 1972) è sceso nel secondo trimestre al 17 per cento e nel terzo trimestre a solo più il 3,5 per cento. La vivace richiesta di auto tedesche dall'estero ha poi impedito che le cifre scendessero sotto al livello dell'anno precedente. Ancora nel terzo trimestre le ordinazioni provenienti dall'estero erano del 23 per cento superiori rispetto al periodo agosto-ottobre 1972. La clientela tedesca invece acquistò per il 13 per cento in meno. Tuttavia, in occasione del Salone internazionale dell'auto a Francoforte, in settembre, i costruttori tedeschi erano ancora misuratamente ottimisti. Ma in luogo dell'atteso risveglio autunnale, ebbero dagli arabi il regalo della crisi del petrolio. Anche i buoni risultati dell'esportazione abbastanza costanti — nell'ottobre si esportarono 226.176 unità, pari al 59,6 per cento della produzione del mese (più 8,1 per cen¬ to rispetto all'ottobre 72) — non sono riusciti ad impedire la comparsa di sintomi allarmanti. Nel novembre le commesse dell'industria automobilistica tedesca hanno registrato un calo del 40 per cento, in particolare del 50 per cento per i veicoli industriali. I contingenti di auto nuove invendute sono cresciuti da 260.000 unità nell'ottobre a oltre 300.000 in novembre. Anche l'esportazione ha segnato per la prima volta una tendenza calante, eccettuato il mercato Usa. Sul mercato interno tedesco, nello scorso novembre gli autoveicoli nuovi immatricolati sono stati del 21,2 per cento in meno rispetto a dodici mesi prima. Il numero complessivo delle immatricolazioni di autoveicoli nuovi nella Repubblica Federale alla fine di novembre era di 2,18 milioni di unità (inferiore del 2,4 per cento rispetto allo stesso periodo 1972). Di questo numero complessivo, 1,82 milioni erano autovetture (l'I ,8 per cento in meno). I veicoli industriali risultarono del 6,9 in meno. Circa 50.000 lavoratori dell'industria automobilistica tedesca (40.000 presso la Opel e 7000 presso la Ford) hanno osservato in dicembre un orario di lavoro ridotto c lo osserveranno ancora in gennaio. Se la recessione si dovesse protrarre, secondo il segretario generale dell'Associazione dell'Industria dell'Auto in Germania Achim Diekmann, saranno inevitabili dei licenziamenti. Ad esasperare la situazione, sempre secondo Diekmann, ha contribuito anche il divieto della circolazione festiva, quale conseguenza della crisi del petrolio. Pure il direttore generale Leiding della Volkswagen ha espresso il parere che restrizioni come il divieto di circolazione dovrebbero essere limitate ad un minimo inevitabile per non provocare il crollo totale della richiesta nel campo dell'automobile. In Germania, Italia, Francia ed Inghilterra, nelle fabbriche d'automobili sono occupati oltre 1 milione di lavoratori. Aggiungendo l'industria dei subfornitori, nei quattro Paesi citati oltre 5 milioni di lavoratori dipendono dalla produzione automobilistica. Solo in Germania 1,8 milioni di persone dipendono dalla produzione dell'auto (600 mila nell'industria automobilistica stessa), in

Persone citate: Achim Diekmann, Diekmann, Hans Stollhans