Nella stretta dei barbari

Nella stretta dei barbari TORINO HA 2000 ANNI; LA SUA STORIA Nella stretta dei barbari (Nei cognomi aVoggi resta traccia di quei tempi) Strumenti comuni per conoscere, per apprendere la lunga realtà torinese sono i libri elencati da Francesco Cognasso appunto nella Storia di Torino e quel suo libro stesso, su tutti quanti gli altri. Pochi i documenti sui primi secoli del periodo che fu poi detto Medioevo. Anche a Torino ormai staccata dagli arpioni delle grandi strutture politiche e dai ganci amministrativi di Roma echeggiava il rombo delle invasioni straniere: intronava, funestava, e insieme rinnovava l'Italia intera. Nella città i vescovi rappresentavano autorità, difesa e fierezza; come San Vittore, stimato anche dai Goti, come Ursicino che subì di persona la persecuzione dei Longobardi di religione ariana. Però poco sappiamo quali fossero nei torinesi le condizioni che con aggettivi moderni diciamo demografiche, economiche, sociali. In mezzo ad accozzaglie di armati essi disarmati, ansiosi, impauriti che cosa sentivano sul presente, che cosa presentivano nel futuro? Se dal comportamento d'una parte — forse la più piccola, ma la migliore — dei torinesi del 1940-H5 si può arguire quale sia stata nei filamenti più antichi e intimi la reazione del loro carattere, ebbene si può anche supporre che nei tempi oscurati o di quando in quando fatti lampeggiare dagli Eruli, dai Goti, dai Bizantini, dai Longobardi, dai Franchi successivamente, i torinesi fossero in continua apprensiva eccitazione ma cocciuti nel non disperare e nel non atterrirsi. In un certo periodo masnade di Goti sparpagliatisi nelle campagne intorno a Torino, si mansuefecero; in un tempo successivo si stanziarono nella città un duca, la sua corte, uno o più amministratori regi, i cosiddetti gastaldi (si può ritrovare parecchia onomastica e qualche intitolazione antica nei cognomi torinesi del giorno d'oggi). Agilulf — o Agilulfo — di origine turingia, duca a Torino, diventò re ammogliandosi con la vedova del re Autari Teodolinda, così collocando anche lei nella storia nostra. In alcuni scorci della sua cronaca longobardica Paolo Diacono vela i personaggi con tri ne di leggende e inghirlanda gli avvenimenti con boccioli novellistici; Teodolinda adolescente in Baviera nella casa paterna riceve confuso con altri lo sconosciuto e travestito re Autari a lei promesso. La sua mano che porge il bicchiere allo sconosciuto palpita breve dalle dita di lui sfiorata e ammorbidisce le labbra di lui che irresistibilmente la bacia. Teodolinda fugge in Italia accompagnata dal fratello (che diventerà duca di Asti), quindi è sposa di Autari, quin di — dopo un anno — è ve dova. La regalità la costringe a risposarsi: sceglie il duca Agilulfo (ma chi disse che costui celatissimamente aveva assassinato Autari?) e va a lui, verso Torino. Nella nuova primizia dell'incontro Teodolinda invitando il duca prescelto a bere gli si accosta con la proprh coppa e subito nel suo rossore sorridendo lascia ch'egli le baci la bocca. Teodolinda per 39 anni grande regina dei longobardi, donatrice della corona ferrea di Monza, due volte vedova. Intelligente, saggia, religiosa, timida e ardita. « Anima bella », corpo e viso bellissimi. Anche altri duchi longobardi-torinesi diventarono re e meriterebbero più estesa menzione. Anche il più piccolo e lontano schiavo di gasindi o cortigiani del re, meriterebbe narrazione biografica. Però tornare via via da quei tempi fino ai nostri attuali e vecchi è un correre alquanto. Nel secolo VIII i Longobardi stanno per essere soppiantati dai Franchi: altre leggende danzano attorno alla statuaria Storia. Si ode la tromba di chi (avaro alpigiano? Frate della Abbadia o Sacra di San Michele, franco di nascita?) guidò l'esercito di Carlo Magno al rovescio delle Chiuse dei Longobardi. Adelchi cavalcando alla disperata roteava la clava sopra le teste dei nemici franchi, nell'estrema e vana difesa del regno di suo padre Desiderio. Ora i Longobardi sono morti o fuggiti. Il sonatore della tromba secondo il patto del tradimento ha diritto di signoria su quanti hanno udito o ancora odono il clangore della tromba tutto intorno, sui pendii e nella pianura sotto l monte della Sacra di San Michele, fino ad Avigliana e ai Laghi. Tino Richelmy Il rombo delle invasioni straniere nella battaglia combattuta alla Sacra di San Michele (Disegno di Piccinelli) Nella stretta dei barbari TORINO HA 2000 ANNI; LA SUA STORIA Nella stretta dei barbari (Nei cognomi aVoggi resta traccia di quei tempi) Strumenti comuni per conoscere, per apprendere la lunga realtà torinese sono i libri elencati da Francesco Cognasso appunto nella Storia di Torino e quel suo libro stesso, su tutti quanti gli altri. Pochi i documenti sui primi secoli del periodo che fu poi detto Medioevo. Anche a Torino ormai staccata dagli arpioni delle grandi strutture politiche e dai ganci amministrativi di Roma echeggiava il rombo delle invasioni straniere: intronava, funestava, e insieme rinnovava l'Italia intera. Nella città i vescovi rappresentavano autorità, difesa e fierezza; come San Vittore, stimato anche dai Goti, come Ursicino che subì di persona la persecuzione dei Longobardi di religione ariana. Però poco sappiamo quali fossero nei torinesi le condizioni che con aggettivi moderni diciamo demografiche, economiche, sociali. In mezzo ad accozzaglie di armati essi disarmati, ansiosi, impauriti che cosa sentivano sul presente, che cosa presentivano nel futuro? Se dal comportamento d'una parte — forse la più piccola, ma la migliore — dei torinesi del 1940-H5 si può arguire quale sia stata nei filamenti più antichi e intimi la reazione del loro carattere, ebbene si può anche supporre che nei tempi oscurati o di quando in quando fatti lampeggiare dagli Eruli, dai Goti, dai Bizantini, dai Longobardi, dai Franchi successivamente, i torinesi fossero in continua apprensiva eccitazione ma cocciuti nel non disperare e nel non atterrirsi. In un certo periodo masnade di Goti sparpagliatisi nelle campagne intorno a Torino, si mansuefecero; in un tempo successivo si stanziarono nella città un duca, la sua corte, uno o più amministratori regi, i cosiddetti gastaldi (si può ritrovare parecchia onomastica e qualche intitolazione antica nei cognomi torinesi del giorno d'oggi). Agilulf — o Agilulfo — di origine turingia, duca a Torino, diventò re ammogliandosi con la vedova del re Autari Teodolinda, così collocando anche lei nella storia nostra. In alcuni scorci della sua cronaca longobardica Paolo Diacono vela i personaggi con tri ne di leggende e inghirlanda gli avvenimenti con boccioli novellistici; Teodolinda adolescente in Baviera nella casa paterna riceve confuso con altri lo sconosciuto e travestito re Autari a lei promesso. La sua mano che porge il bicchiere allo sconosciuto palpita breve dalle dita di lui sfiorata e ammorbidisce le labbra di lui che irresistibilmente la bacia. Teodolinda fugge in Italia accompagnata dal fratello (che diventerà duca di Asti), quindi è sposa di Autari, quin di — dopo un anno — è ve dova. La regalità la costringe a risposarsi: sceglie il duca Agilulfo (ma chi disse che costui celatissimamente aveva assassinato Autari?) e va a lui, verso Torino. Nella nuova primizia dell'incontro Teodolinda invitando il duca prescelto a bere gli si accosta con la proprh coppa e subito nel suo rossore sorridendo lascia ch'egli le baci la bocca. Teodolinda per 39 anni grande regina dei longobardi, donatrice della corona ferrea di Monza, due volte vedova. Intelligente, saggia, religiosa, timida e ardita. « Anima bella », corpo e viso bellissimi. Anche altri duchi longobardi-torinesi diventarono re e meriterebbero più estesa menzione. Anche il più piccolo e lontano schiavo di gasindi o cortigiani del re, meriterebbe narrazione biografica. Però tornare via via da quei tempi fino ai nostri attuali e vecchi è un correre alquanto. Nel secolo VIII i Longobardi stanno per essere soppiantati dai Franchi: altre leggende danzano attorno alla statuaria Storia. Si ode la tromba di chi (avaro alpigiano? Frate della Abbadia o Sacra di San Michele, franco di nascita?) guidò l'esercito di Carlo Magno al rovescio delle Chiuse dei Longobardi. Adelchi cavalcando alla disperata roteava la clava sopra le teste dei nemici franchi, nell'estrema e vana difesa del regno di suo padre Desiderio. Ora i Longobardi sono morti o fuggiti. Il sonatore della tromba secondo il patto del tradimento ha diritto di signoria su quanti hanno udito o ancora odono il clangore della tromba tutto intorno, sui pendii e nella pianura sotto l monte della Sacra di San Michele, fino ad Avigliana e ai Laghi. Tino Richelmy Il rombo delle invasioni straniere nella battaglia combattuta alla Sacra di San Michele (Disegno di Piccinelli)

Persone citate: Autari Teodolinda, Francesco Cognasso, Goti, Paolo Diacono, Piccinelli, Tino Richelmy