Il franco svaluta. E la nostra lira? di Tito SansaMario Salvatorelli

Il franco svaluta. E la nostra lira? Dopo la decisione della Francia di uscire dal "serpente monetario,, Il franco svaluta. E la nostra lira? La Cee decide le reazioni all'annuncio francese di far fluttuare il franco: ieri la Commissione europea si è riunita fino a tarda sera; al termine il presidente Gitoli ha letto un comunicato, in cui si ammette che la Comunità si trova in gravi difficoltà dopo la decisione di Parigi. A Parigi si prevede una svalutazione del franco del 5 per cento, alla riapertura dei cambi. Il governo dovrà affrontare martedì alla Camera, convocata in sessione straordinaria, un durissimo dibattito con gli oppositori. A Bonn, mentre la Lega delle banche tedesche parla di «un amaro contraccolpo per l'Europa », il cancelliere Brandt appare meno preoccupato: « La volontà per giungere all'unificazione europea non viene indebolita» ha detto alla tv. (Tutti i servizi a pag. 13: Renato Proni da Bruxelles, Loris Mannucci da Parigi, Tito Sansa da Bonn). (Dal nostro inviato speciale) Roma, 20 gennaio. Dietro la facciata della concordia europea, ancora una volta infranta, si vuole sapere il perché della decisione francese di sganciare il franco dal «serpente» e di farlo fluttuare liberamente, nonché capire le sue conseguenze pratiche. Il motivo si potrebbe, forse, sdoppiare. Da una parte l'impetuosa rimonta del dollaro sui cambi internazionali, di cui il primo a fare le spese in questi giorni era stato il franco francese (una «rivincita» di Washington sulla guerra al dollaro dichiarata, qualche anno fa, dal generale De Gaulle). Dall'altra parte il fallito tentativo di Giscard d'Estaing, qui a Roma, di far accettare agli altri Paesi la «mobilitazione» delle riserve auree, la rivalutazione dell'oro, tentativo di cui abbiamo dato notizia nei giorni scorsi, in quanto era uno degli argomenti di base, anche se non iscritto ufficialmente nel programma dello «spettacolo» monetario di Roma. Il «serpente» è un accordo che legava tra loro le monete della Comunità europea (meno tre: lira italiana, sterlina inglese e irlandese), in base al quale i rapporti tra di esse non potevano oscillare intorno al cambio ufficiale più del 2,5 per cento, misurato in ogni momento tra la quotazione della moneta più «debole», cioè più in ribasso, e la quotazione della moneta più «forte», cioè più in rialzo. Questa ristretta oscillazione aveva suggerito il termine di «serpente», il rettile che si muove flessuosamente, ma senza superare una limitata «banda di ondulazioni». Nei confronti del dollaro, invece — due volte svalutato negli ultimi due anni, ma fino a ieri soggetto ancora a pressioni al ribasso, a fughe da esso e quindi a rincorse affannose delle banche centrali per mantenerne la quotazione in limiti accettabili — le monete del «serpente» potevano fluttuare liberamente, disimpegnate da obblighi di copertura. E' accaduto che in queste ultimissime settimane, più o meno dall'inizio della crisi del petrolio e in coincidenza — più o meno prevedibile — con essa, il dollaro he ripreso a salire, perché rappresenta l'unico Paese indu¬ striale che, oltre a consumare petrolio, ne produce in quantità quasi sufficiente ai propri bisogni. Del rafforzamento del dollaro e della crisi del petrolio hanno fatto le spese le altre monete, in misura proporzionale alla loro forza effettiva. L'altra settimana si è svalutato lo yen giapponese, ieri è toccato al franco, che aveva perso intorno al 9 per cento nei confronti del dollaro, ma che non poteva perdere più del 2,5 per cento rispetto al marco (la moneta capo-cordata del «serpente» comunitario), quindi succhiava ingordamente le riserve della Banca di Francia. Le banche centrali di ogni Paese, per «controllare» le quotazioni di una valuta, devono intervenire sui mercati dei cambi: se una valuta s'indebolisce, diventano acquirenti, e quindi ne rafforzano la quotazione, se una valuta si rafforza troppo, diventano venditrici, e la indeboliscono. E' chiaro che una moneta, in questo caso il franco francese, non si acquista con la stessa moneta, con franchi francesi, ma con le altre, in particolare con quelle cosiddette di «riserva», tra le quali figurava, fino a ieri, l'oro. Siamo arrivati, a questo punto, alla richiesta di Giscard D'Estaing, ripetutamente avanzata al convegno di Roma, di «mobilitare» le riserve auree ufficiali. Di fronte alla necessità di sostenere il corso del franco, in vista di falle paurose nei conti con l'estero, provocate dal rialzo del petrolio, il ministro francese voleva che l'oro sepolto nelle riserve di Stato venisse sciolto da ogni vincolo e messo in condizione di essere liberamente trattato sul mercato. In questo modo, il suo valore sarebbe stato automaticamente triplicato rispetto al prezzo ufficiale di 42,5 dollari l'oncia (anzi, quasi quadruplicato, se si guarda al vecchio prezzo ufficiale dell'oro di 35 dollari l'oncia, contro le ultime quotazioni dell'oro che hanno raggiunto i 130 dollari, quasi 2800 lire al grammo, contro 710). La mobilitazione dell'oro avrebbe compensato in parte, sul piano esterno, il rincaro del petrolio (ma il discorso vale anche per gli altri Paesi). Sul piano interno, la Francia, che si era imbottita d'oro e quasi liberata di altre valute ai tempi di De Gaulle, non avrebbe avuto difficoltà a sostenere il Mario Salvatorelli (Continua a pagina 2 in seconda colonna) Il franco svaluta. E la nostra lira? Dopo la decisione della Francia di uscire dal "serpente monetario,, Il franco svaluta. E la nostra lira? La Cee decide le reazioni all'annuncio francese di far fluttuare il franco: ieri la Commissione europea si è riunita fino a tarda sera; al termine il presidente Gitoli ha letto un comunicato, in cui si ammette che la Comunità si trova in gravi difficoltà dopo la decisione di Parigi. A Parigi si prevede una svalutazione del franco del 5 per cento, alla riapertura dei cambi. Il governo dovrà affrontare martedì alla Camera, convocata in sessione straordinaria, un durissimo dibattito con gli oppositori. A Bonn, mentre la Lega delle banche tedesche parla di «un amaro contraccolpo per l'Europa », il cancelliere Brandt appare meno preoccupato: « La volontà per giungere all'unificazione europea non viene indebolita» ha detto alla tv. (Tutti i servizi a pag. 13: Renato Proni da Bruxelles, Loris Mannucci da Parigi, Tito Sansa da Bonn). (Dal nostro inviato speciale) Roma, 20 gennaio. Dietro la facciata della concordia europea, ancora una volta infranta, si vuole sapere il perché della decisione francese di sganciare il franco dal «serpente» e di farlo fluttuare liberamente, nonché capire le sue conseguenze pratiche. Il motivo si potrebbe, forse, sdoppiare. Da una parte l'impetuosa rimonta del dollaro sui cambi internazionali, di cui il primo a fare le spese in questi giorni era stato il franco francese (una «rivincita» di Washington sulla guerra al dollaro dichiarata, qualche anno fa, dal generale De Gaulle). Dall'altra parte il fallito tentativo di Giscard d'Estaing, qui a Roma, di far accettare agli altri Paesi la «mobilitazione» delle riserve auree, la rivalutazione dell'oro, tentativo di cui abbiamo dato notizia nei giorni scorsi, in quanto era uno degli argomenti di base, anche se non iscritto ufficialmente nel programma dello «spettacolo» monetario di Roma. Il «serpente» è un accordo che legava tra loro le monete della Comunità europea (meno tre: lira italiana, sterlina inglese e irlandese), in base al quale i rapporti tra di esse non potevano oscillare intorno al cambio ufficiale più del 2,5 per cento, misurato in ogni momento tra la quotazione della moneta più «debole», cioè più in ribasso, e la quotazione della moneta più «forte», cioè più in rialzo. Questa ristretta oscillazione aveva suggerito il termine di «serpente», il rettile che si muove flessuosamente, ma senza superare una limitata «banda di ondulazioni». Nei confronti del dollaro, invece — due volte svalutato negli ultimi due anni, ma fino a ieri soggetto ancora a pressioni al ribasso, a fughe da esso e quindi a rincorse affannose delle banche centrali per mantenerne la quotazione in limiti accettabili — le monete del «serpente» potevano fluttuare liberamente, disimpegnate da obblighi di copertura. E' accaduto che in queste ultimissime settimane, più o meno dall'inizio della crisi del petrolio e in coincidenza — più o meno prevedibile — con essa, il dollaro he ripreso a salire, perché rappresenta l'unico Paese indu¬ striale che, oltre a consumare petrolio, ne produce in quantità quasi sufficiente ai propri bisogni. Del rafforzamento del dollaro e della crisi del petrolio hanno fatto le spese le altre monete, in misura proporzionale alla loro forza effettiva. L'altra settimana si è svalutato lo yen giapponese, ieri è toccato al franco, che aveva perso intorno al 9 per cento nei confronti del dollaro, ma che non poteva perdere più del 2,5 per cento rispetto al marco (la moneta capo-cordata del «serpente» comunitario), quindi succhiava ingordamente le riserve della Banca di Francia. Le banche centrali di ogni Paese, per «controllare» le quotazioni di una valuta, devono intervenire sui mercati dei cambi: se una valuta s'indebolisce, diventano acquirenti, e quindi ne rafforzano la quotazione, se una valuta si rafforza troppo, diventano venditrici, e la indeboliscono. E' chiaro che una moneta, in questo caso il franco francese, non si acquista con la stessa moneta, con franchi francesi, ma con le altre, in particolare con quelle cosiddette di «riserva», tra le quali figurava, fino a ieri, l'oro. Siamo arrivati, a questo punto, alla richiesta di Giscard D'Estaing, ripetutamente avanzata al convegno di Roma, di «mobilitare» le riserve auree ufficiali. Di fronte alla necessità di sostenere il corso del franco, in vista di falle paurose nei conti con l'estero, provocate dal rialzo del petrolio, il ministro francese voleva che l'oro sepolto nelle riserve di Stato venisse sciolto da ogni vincolo e messo in condizione di essere liberamente trattato sul mercato. In questo modo, il suo valore sarebbe stato automaticamente triplicato rispetto al prezzo ufficiale di 42,5 dollari l'oncia (anzi, quasi quadruplicato, se si guarda al vecchio prezzo ufficiale dell'oro di 35 dollari l'oncia, contro le ultime quotazioni dell'oro che hanno raggiunto i 130 dollari, quasi 2800 lire al grammo, contro 710). La mobilitazione dell'oro avrebbe compensato in parte, sul piano esterno, il rincaro del petrolio (ma il discorso vale anche per gli altri Paesi). Sul piano interno, la Francia, che si era imbottita d'oro e quasi liberata di altre valute ai tempi di De Gaulle, non avrebbe avuto difficoltà a sostenere il Mario Salvatorelli (Continua a pagina 2 in seconda colonna)

Persone citate: Brandt, De Gaulle, Giscard D'estaing, Loris Mannucci, Renato Proni