Una "pelle,, straniera per la scarpa italiana

Una "pelle,, straniera per la scarpa italiana Importiamo da Asia e Sud America Una "pelle,, straniera per la scarpa italiana L'industria conciaria italiana (che fornisce la materia prima per i nostri calzaturifici) è concentrata presso Firenze - Prossimi rincari (Nostro servizio particolare) S. Croce sull'Arno, 27 febbr. Già a due chilometri da Santa Croce l'odore acre, chimico e naturale insieme, ti parla del paese, con il suo antico nucleo e case e fabbriche, villette e opifici, spuntati qua e là alla rinfusa. «Al principio j sembra insopportabile — dicono qui —. Noi ormai ce lo mangiamo col pane». Il pane sono le concerie, un numero grande per la zona e dintorni, quasi quattrocento, compresi i laboratori di rifinizione e lavorazioni parziali. Poche fabbriche oggi mantengono nel ciclo del loro lavoro, al di là delle macchine modernissime, dell'automazione, quell'apparenza di fatica brutale che caratterizzava gli opifici della prima rivoluzione industriale. Ottocento metri cubi d'acqua al minuto, quanti ne occorrono per far scarnire, levigare le pelli nei grandi imbuti cilindrici come gigantesche betoniere, non portano freschezza: solo un bagnaticcio grasso e, agli uomini, stivali di gomma e grembiule di cuoio. Le pelli infisse su picche al soffitto per seccare sfiatano a lungo, sembrano piatte stalattiti. Le aziende del settore sono sorrette dal boom della scarpa italiana nel mondo, prima del gran terremoto dell'aumento del grezzo e del suo rarefarsi. Il dominio sui mercati, grazie alla morbidezza speciale, alla bellezza delle tinte, alla loro ininterrotta levigatezza, continua per le pelli conciate in Italia o meglio, come è giusto dire, riconciate, rifinite nel nostro Paese e per la maggior parte (le concerie in Valdarno sono oltre ottocento) qui nei centri toscani. «Tutte le concerie europee, — dice il dottor Cutastinì, vicepresidente dell'Associazione conciari italiani — forzatamente non eseguono più il completo ciclo di lavorazione delle pelli. I Paesi produttori hanno imparato a lavorare il grezzo, a neutralizzare le perdite che una conservazione non oculata infliggeva al loro capitale. E non solo i fornitori tradizionali, Brasile, Argentina, ma anche e soprattutto i Paesi cosiddetti emergenti, India, Pakistan e ora la Cina. Le pelli è giocoforza acquistarle semi conciate o semifinite. Ora la tendenza europea per le concerie è puntare sulla rifinitura». Nei magazzini le balle di pellami portano marchi di Faesi orientali. Arrivano risecchite, trattate con calcio e potassio per toglier peli e residui di carne, poi con sale di cromo. Nelle concerie toscane la manipolazione è ripetuta; ingrassate, tinte subito se la concia è naturale al tannino, immerse in un bagno base, asciugate per venir sottoposte a ritintura all'anilina, se la concia è al cromo. Ne escon pelli richieste dovunque si creino borse, scarpe: oggi, con una massa di consumatori che approda per la prima volta ad un secondo paio di scarpe per stagione, si fanno calzature non solo in Brasile, Spagna, Grecia e Jugoslavia, ma in Francia e negli Stati Uniti. Si esporta in Germania, nei Paesi Bassi, negli Stati Uniti, in Inghilterra, lavoro non manca e nemmeno le ultime controversie per il rinnovo del contratto dei chimici hanno alterato la produzione: la vecchia osmosi fra concerie e calzaturifici (anche all'abilità e alla reciproca fiducia tra fornitori di pelle e creatori di calzature d'alta moda si doveva, tra il 1950 ed il 1965, il boom del made in Italy nel settore) funziona sempre, ma l'orizzonte ha ben diverse aperture. E' al mercato estero, senza eccessivi sguardi al mercato interno (proprio al contrario di quanto cercano di fare, contemperandoli, i calzaturieri) che mira la conceria italiana e toscana in particolare. Oggi Santa Croce sull'Arno è uno dei centri europei più forti in questo campo e la sua produzione è per taluni aspetti imbattibile. «Per essere rifinitori tuttavia — aggiunge Catastini — ci vuol qualcosa da rifinire. Ora — e il clima è propizio — si profila il timore che succeda per le pelli quello che accade per il petrolio, che cioè i Paesi produttori di pelli se le tengano o naturalmente ne aumentino il prezzo». Recentemente l'India ha inaugurato l'esportazione di pelli tta quota» e il tasso d'esportazione del semiconciato si è accresciuto del 10 per cento, mentre si danno incentivi a chi crei impianti per la rifinizione delle pelli. I nostri tecnici si son visti far ponti d'oro da dirigenti delle concerie extraeuropee, venuti in Italia per le rassegne e gli acquisti annuali: qualcuno c'è andato e ha già fatto ritorno. Troppo arretrato lo stadio di lavorazione, troppo da atten¬ dere per impiantare un ciclo utile. Intanto anche il Pakistan sta per limitare la vendita del semiconciato, sull'esempio indiano, mentre nel Sud America si riserverebbe all'esportazione soltanto il semifinito: il che potrebbe incidere non solo sul rifornimento di materie prime ma anche sulla qualità stessa della nostra produzione. Ma di ombre, a Santa Croce sull'Arno, nessuno vuol sentire parlare. Il lavoro è a ritmo pieno e la temperatura è certo più alta che nei calzaturifici, dove cambiar struttura di produzione e ricominciare da capo con clienti nuovi è più difficile e può anche non essere possibile salvar fabbrica e lavoro alle maestranze. Solo allora il forte odore di cromo e tannino che aleggia sul paese diventa gradevole: un segno concreto che la concia nella rosa d'aziende, tra Firenze e Pisa, continua senza rallentamenti. Lucia Sollazzo

Persone citate: Catastini, Lucia Sollazzo