"Traviata,, sulle scale di Stefano Reggiani

"Traviata,, sulle scale EMILIA, LE SERATE DEL MELODRAMMA "Traviata,, sulle scale Raina Kabaivanska interprete al Comunale di un discusso allestimento verdiano (Dal nostro inviato speciale) Bologna, febbraio. Solo in Emilia si può capire l'affascinante assurdità dell'opera lirica, con le sue regole, i suoi miti, perfino le sue suscettibilità critiche. In questa regione dove le Tosche e i Rigoletti vanno per i teatri con assoluta confidenza, basta che una Traviata si prenda qualche libertà sulla tradizione, perché scoppi il caso pubblico, lo scandalo melodrammatico. Ad esempio, perché al Comunale di Bologna l'opera verdiana è stata rappresentata con un allestimento per dir poco bizzarro? Si pensi che i palchi del teatro continuano idealmente in scena, con pubblico e tutto; mentre una grande scala costringe Raina Kabaivanska e gli altri cantanti ad andare continuamente su e giù, anche nei punti di maggiore espansione lirica. L'altra sera una corista ( « Libiamo, libiamo... ») è caduta dai gradini, s'è spezzata un braccio, ha interrotto l'opera e rinfocolato la polemica. Per i critici lo scalone trasforma Violetta Valéry in Wanda Osiris, con poco rispetto del testo; per il regista Bolognini la scala è come l'interno di un soffietto fotografico, ogni piega è un grado più alto di messa a fuoco, fino al primo piano totale in cui la signora delle camelie è sola con se stessa. Sullo sfondo restano i com¬ pagni mondani ed il pubblico che l'ha condannata, lei patisce e combatte da sola: una foto di gruppo con Traviata, per dirla con Boll. Sollecitati dal dibattito dei melomani e dalle lodi per l'interprete, siamo andati al Comunale, stretti in un drappello di critici intransigenti (« I tempi, maestro... i tempi... ») che ci hanno un poco guastato tre ore di ingenua commozione. Prima, però, abbiamo chiesto informazioni al regista Mauro Bolognini, per dissipare le nubi sui criteri dell'allestimento. I risultati del colloquio si riassumono in alcuni punti di contraddittoria chiarezza. 1) La messa in scena contestata è frutto di un compromesso. Non c'erano fondi sufficienti per la realizzazione completamente nuova ed intimistica che Bolognini meditava; si sono usati l'idea scenica ed i costumi di Pizzi già collaudati all'Aitala di Verona. E' una soluzione imbarazzante per gli allestitori, ma lodevole per i bilanci. 2) Il regista ha cercato di giocare sulle sfumature in una cornice vincolante. « Mi sembra che la Traviata sia come un grande monologo. Ho isolato in primo piano Violetta e costretto la sua vicenda a una specie di flash back. Tutto è ricordato, visto nella memoria». 3) Tuttavia Bolognini è scontentissimo di se stesso e dell'opera in generale. «Basta, ho deciso di smetterla con queste regie liriche. Diamo al pubblico spettacoli vecchi, è ora di rivalutare la musica, finiamola col ciarpame in scena ». Per il regista forse è tempo di tornare al cinema, i miti e le tradizioni lo stanno indisponendo. « Senta un aneddoto: quando ho domandato ai coristi del Comunale di entrare in scena dalla porta di destra si sono rifiutati. Il loro rappresentante sinda- caZe mi ha spiegato che l'uso è di entrare da sinistra. Siamo ancora a questa inflessibile mancanza di fantasia». Beccato dai critici, sacrificato dal bilancio, abbandonato dal regista lo spettacolo va via egregiamente per suo conto, soprattutto per merito della Kabaivanska. Complice l'aura melodrammatica del Comunale (stipato di competenti puntigliosi), la cantante ci ha fatto riscoprire la forza dei miti lirici. Chi ricordava che dietro questa figura di donna, logorata dalla tisi e dai luoghi comuni, ci fosse l'alta verità dell'amore? Chi immaginava che la denuncia della società uscisse con tanto impeto da una incrinatura della voce? Vestita di bianco, come vuole la sua intima purezza, la donna traviata scende e sale lo scalone di Bolognini, tenendoci tutti in stato di accusa. Il passo è lieto all'inizio («Sempre libera degg'io, folleggiar...»), ma fermo anche alla fine («Parigi, o cara»), poiché la malata deve raggiungere il letto, posto a sommo dei gradini. Noi profani siamo avvolti senza difesa dall'onda verdiana, ma vediamo che anche le teste di platea e di galleria sono spinte innanzi, trepidanti. Non sta male che i finti palchi sulla scena siano popolati per un momento di un pubblico di comparse illividite dal rimorso. Completata la salita della scala, giunta accanto al letto, con un grido Violetta cade a terra tutta d'un pezzo. Dice la Kabaivanska in camerino: «Se serve al personaggio, io non rifiuto nessuna invenzione scenica o registica. Le scale mi aiutano a fare di Violetta quella donna pura, vilipesa e drammatica che io sento». Ci guardiamo negli occhi attraverso lo specchio, Raina con lo sguardo fondo sopra il trucco di scena. «L'opera ha bisogno di idee e di passione, anche di realismo sexy se occorre. Il pubblico capisce e giudica la bontà delle intenzioni». Secondo Bolognini sono ormai solo i critici a scandalizzarsi a teatro. Aggiunge la cantante: «La bellezza fisica diventa dunque indispensabile per alcune parti». Gabriella Ravazzi s'è denudata il petto qualche settimana fa al Verdi di Trieste, la stessa Kabaivanska ha suscitato commenti a Torino per un abbraccio troppo naturalistico in Manon. La Tradizione ha i suoi pudori. Spiega Raina: «Io ero studentessa a Sofia, amavo l'opera e venni in Italia per perfezionarmi. Ho fatto carriera senza l'aiuto di nessuno. Forse, se mi fossi adattata a qualche compromesso, avrei fatto più in fretta». Ha ceduto solo alle suggestioni letterarie. «Sono dannunziana, sono liberty, sento il fascino delle parole. Il mio personaggio favorito è la Francesca da Rimlni». E Violetta Valéry? «Anche lei, certo. E' un personaggio attuale, chissà quante altre oggi sono vittime come lei e reagiscono allo stesso modo». Signora, forse, è vero; ma com'è scaltra l'ipocrisia dei tempi. Oggi, pur restando la società sopraffattrice, le traviate sono sparite dal linguaggio, portando con sé i Buoni Sentimenti e i Grandi Riscatti. Stefano Reggiani