Le ragioni della Francia di Aldo Rizzo

Le ragioni della Francia Tra Europa e America Le ragioni della Francia (Dal nostro invialo speciale) Parigi, 23 febbraio. « Non ci sarà una confrontation tra noi e i tedeschi, o tra noi e altri Paesi della Cee, non sarebbe nell'interesse di nessuno », mi dice all'Eliseo uno dei più diretti collaboratori di Georges Pompidou. I francesi non si mostrano preoccupati dall'« offensiva» tedesca, dal rilancio, che la diplomazia di Bonn sta tentando, di un'Europa « atlantica », strettamente collegata con l'America: o almeno non sembrano orientati ad accettare la sfida. Si capisce che intendono continuare per la loro strada, almeno per un certo tempo, e intanto espongono, a richiesta, le loro ragioni. Ascoltiamole. Sull'iniziativa americana di un « cartello », o almeno di un coordinamento dei grandi consumatori di petrolio, e sulla risposta europea, la tesi dell'Eliseo è che c'era un mandato imperativo della Cee, approvato all'unanimità dal consiglio dei ministri degli Esteri, contro l'istituzione di ogni organismo permanente: se questo mandato è stato eluso, anche e soprattutto dai tedeschi, nonostante essi detengano la presidenza di turno della Comunità, la Francia non può farci nulla, la Francia non può che restare fedele ai testi. Ma non è solo un problema di testi, è un problema politico: la Francia giudica che la Comunità sia fatta di nove membri e non di dieci. L'alleanza col decimo è utile e necessaria, ma oltre un certo limite soffoca la comune « identità » dei Nove. '« Voilà le problème ». Ma la Francia non aveva già deciso un approccio individuale con i Paesi produttori di petrolio, anche al di fuori del quadro della Cee? E questo tipo di approccio, cioè il presentarsi ai Paesi produttori in ordine sparso, non è pericoloso per la stabilità economica internazionale? No, la Francia è per un approccio collettivo dei Paesi europei, è per un grande negoziato euro-arabo, è contraria solo al fatto che questo approccio collettivo sia « arbitrato » dagli americani. D'altra parte, anche dentro la Cee, si può ammettere che la Francia abbia interessi particolari, diversi da quelli di altri Paesi. La Francia, come l'Italia, non ha il gas naturale dell'Olanda, nè ha la prospettiva inglese dei grandi giacimenti petroliferi del Mare del Nord. Invece la Francia, « come l'Italia », ha un patrimonio storico e politico di simpatia e di amicizia col mondo arabo. L'Europa ha un polo settentrionale e uno meridionale. «Noi» siamo il polo meridionale, mediterraneo. Ma si può eludere il rapporto di forza con l'America, si può eludere il fatto che siamo tributari agli Stati Uniti, per esempio, della sicurezza militare, di quella sola, relativa sicurezza militare di cui possiamo disporre? E possiamo scindere questo problema della sicurezza da quello della cooperazione politica ed economica? La difesa americana dell'Europa — è la risposta — è importante nella misura in cui riflette anche un interesse americano: oltre quella misura non è importante, qualunque cosa noi facciamo e diciamo. La vera sicurezza può venire solo da una difesa « europea »: il ministro Jobert vi ha accennato più volte e « il Presidente è particolarmente sensibile a questo tema, ne ha già parlato con Heath e con altri ». 1/ Presidente « paragona la costruzione europea a una cattedrale gotica, per esempio al duomo di Milano; il duomo si regge su tanti pilastri, che sono la politica agricola, la politica industriale, la politica sociale, e naturalmente la politica estera. Poi c'è la volta, sopra i pilastri, e c'è la chiave di volta: la chiave di volta è la difesa ». Ma una comune difesa europea non presuppone un potere politico europeo, un centro « operativo »? E allora perché la Francia ostacola, o almeno frena il processo d'integrazione politica? Per esempio, la Francia è d'accordo con la proposta tedesca di passare dalla regola dell'unanimità, che comporta il diritto di veto nazionale, alla regola della maggioranza? Risposta. La sovrannazionalità non la vuole nessun governo in Europa, almeno per ora. Verrà in seguito, forse, come risultato di una compenetrazione crescente degli interessi nazionali, soprattutto degli interessi economici. Almeno, bisogna augurarselo. Per ora, non si può fare-a meno di un'unanimità delle volontà nazionali. Su questa base, è possibile tuttavia configurare un potere europeo, di tipo confederale, e avviare un discorso sulla difesa comune (della quale, par di ca¬ pire, gli armamenti nucleari franco-britannici potrebbero essere la punta avanzata). Il potere confederale, come somma e non come sintesi delle volontà nazionali: questo è il traguardo che Parigi si pone, almeno in teoria, per il 1980. Ma che accadrà nel frattempo, se, nella scia della crisi energetica e del rifiuto francese di un'azione coordinata dei grandi Paesi industriali, si scatenerà una concorrenza « selvaggia » delle economie occidentali? Le volontà e gli interessi nazionali fino a che punto sono controllabili? E la prospettiva di una difesa europea, del resto assai relativa e problematica, basta a compensare il pericolo di rafforzare, con atteggiamenti perentori, le correnti neo-isolazionistiche dell'opinione pubblica americana? Secondo il Times, Michel Jobert sottovaluta tutto questo « perché manca di esperienza palifica ». Ma questo non è un limite di Georges Pompidou. E allora vale forse, per il breve termine, l'analisi che altri francesi — per esempio Marc Ullmann dell'Express — fanno degli obiettivi dell'Eliseo. Secondo Ullmann, Pontpidou svolge una politica del rischio calcolato: egli lascia che gli altri otto membri della Cee facciano gruppo attorno all'America e intanto fa perseguire dalla Francia interessi nazionali immediati, perché « egli vuole evitare ad ogni costo che la fine del suo mandato e l'elezione del suo successore siano ipotecate dalla disoccupazione e dalla recessione ». Di qui la politica del « cavalier seul » verso i Paesi produttori, il grande accordo-quadro con l'Iran, il tentativo, forse a buon punto, di convogliare in Francia una buona parte delle rendite petrolifere arabe, la stessa fluttuazione del franco. Di qui, anche, la decisione di non raccogliere la « sfida » tedesca, di non rispondere al rilancio tedesco della Cee. Un « agreement to disagree », un accordo sul disaccordo tra la Francia e gli altri Otto, dovrebbe congelare l'Europa per un anno o due: nella speranza, non si sa quanto fondata, che poi si disgeli. Aldo Rizzo

Persone citate: Georges Pompidou, Marc Ullmann, Michel Jobert, Ullmann