In Sardegna ara si è scatenata la dura battaglia delle miniere di Filiberto Dani

In Sardegna ara si è scatenata la dura battaglia delle miniere La popolazione della zona sud dell'isola è allarmata In Sardegna ara si è scatenata la dura battaglia delle miniere Si parla di un disimpegno statale e di una ristrutturazione con limitazione di orizzonti - Nell'arco di vent'anni si è già registrata una perdita di 30.000 posti di lavoro (Dal nostro inviato speciale) Iglesias, 23 febbraio. Il problema minerario sardo si sta gonfiando, la polemica che da qualche tempo ruota attorno al settore carbonifero (riaprire o non riaprire le miniere di Seruci e di Nuraxi Pigus?) s'è allargata a quello metallifero, fino a investire l'intero Sud della Sardegna, la cui economia è prevalentemente alimentata dall'industria estrattiva. C'è chi grida al disimpegno statale dal settore minerario; chi, più pessimista, attribuisce a questo disimpegno l'obiettivo del totale affossamento delle miniere; chi, più cauto, parla invece di ristrutturazione, avvertendo che questo termine non significa distruzione, ma limitazione degli orizzonti. Quanto basta, comunque, per suscitare giustificate apprensioni fra le popolazioni dei sette comuni del bacino minerario, Iglesias, Carbonia, Arbus, Buggeru, Guspini, FUmùiimaggiore e Gonnesa, che nell'arco di vent'anni hanno subito la perdita di trentamila posti di lavoro. Le ricerche Perché questa svolta drammatica? «Le miniere sono antieconomiche — risponde con l'aggiunta d'una spiegazione, chi sostiene la tesi dei drastici provvedimenti —: JVon si può rendere conveniente la coltivazione di masse e filoni mineralizzati che si allungano cento metri sotto il livello del mare, quando dalle miniere a cielo scoperto dei Paesi sottosviluppati d'oltreoceano si può spedire a prezzi di concorrenza il prodotto in tutti gli stabilimenti metallurgici del mondo». Vediamo come stanno le cose. Le miniere sarde dalle quali vengono estratti piombo e zinco sono nove: quattro (San Giovanni, Arenas, Su Zurfurru, Buggeru) appartengono alla società piombozincifera sarda, il cui pacchetto azionario è nelle mani dell'Elisa, l'ente minerario sardo a capitale pubblico; tre (Montevecchio, Monteponi, Campomisano) sono gestite dalla Sogersa, una società cui hanno dato vita l'Egam, l'ente gestione aziende minerarie a partecipazione statale, e la Regione sarda attraverso l'Emsa; due (Masua e Rosas) sono di proprietà dell'Animi sarda, l'azienda mineraria metallurgica italiana inquadrata nell'Egam, che detiene pertanto il 100% del pacchetto azionario. Lo stato di salute di gran parte di queste miniere è tutt'altro che florido. Fino al 1969, le prime quattro erano gestite da una società privata, ma poiché i conti economici non quadravano a causa di una certa eccedenza di mano doperà, la Regione sarda, per evitare la minacciata serie di licenziamenti, era intervenuta facendo rilevare dall"Emsa gli impiantì, le maestranze e, naturalmente, le perdite d'esercizio. L'Emsa, presieduta dal professor Paolo Fadda, non è stata con le mani in mano, ha avviato nel sottosuolo un massiccio programma di ricerche, ma non ha potuto affrontare il problema di fondo, appunto la ristrutturazio ne delle miniere, cui è legata l'economicità della gestione. Miniere di Monteponi e Montevecchio: erano di proprietà dell'omonima società appartenente alla Montedi son, ma nel 1971, di fronte alle catastrofiche perdite d'esercizio (fino a 14 miliardi di lire l'anno), la MonteponiMontevecchio aveva dapprima ceduto gli impianti metallurgici all'Ammi sarda, poi aveva manifestato il proposito di rinunciare alle concessioni minerarie. Era intervenuto il ministero delle Partecipazioni Statali (non si poteva mandare a spasso i quattromila e più dipendenti) con il risultato di dar vita a una società per la gestione delle due miniere e di quella di Campomisano, la Sogersa: capitale sociale un miliardo e mezzo di lire, pacchetto azionario suddiviso in tre quote, ciascuna del 33 per cento, tra Montedison, Ammi sarda (cioè Egam), ed Emsa (cioè Regione sarda). Chiusosi il primo esercizio con una perdita di otto miliardi di lire, la Montedison aveva abbandonato il campo, costringendo l'Arami sarda ad accollarsi anche il suo 33 per cento. Un passo indietro aveva fatto anche la Regione Sarda, per cui oggi l'Egam si ritrova con l'80 per cento delle azioni contro il 20 per cento dellTUrnsa. Restano le miniere di Masua e Rosas, gestite dall'Ammi sarda di cui è presidente l'ingegner Domenico Tamburrini. E' l'unico capitolo non cupo della travagliata storia mineraria dell'isola. Tiriamo un po' di conclu¬ sioni. Almeno sette miniere su nove hanno urgente bisogno di sostanziosi investimenti per consentire a chi le gestisce di mandarle avanti; ma gli investimenti, da soli, non bastano: per renderle economiche bisognerà procedere alla loro ristrutturazione che potrà essere indolore soltanto se sarà attuata, come da più parti si sostiene, la «verticalizzazione» del lavoro minerario: tutte le fasi di ricerca, estrazione e trasformazione dei prodotti grezzi dovranno svolgersi nell'isola (finora, con la sola eccezione di Portovesme, la metallurgia dei minerali estratti nel bacino sardo è completata molto lontano). Unificazione In più, le forze politiche, economiche e sindacali dell'isola affermano che la realizzazione d'un programma ad ampio respiro, in grado di ridare vigore all'antica industria sarda, deve passare attraverso l'unificazione di tutte le aziende operanti nel settore e ciò per avvicinare le miniere alla convenienza della gestione complessiva. L'obiettivo è seducente ma, almeno per il momento, non pare che ci siano le premesse per raggiungerlo. Le speranze, infatti, erano fondate sul piano minerario e metallurgico dellTSgam per il quinquennio 1973-'77, ma sono state deluse: su una massa di investimenti pari a 708 miliardi e 400 milioni, l'ente nazionale ha riservato alla Sardegna soltanto 68 miliardi e 400 milioni. «E' un piano che mortifica le attese della nostra isola», ha scritto l'Unione sarda, il quotidiano di Cagliari. Gli ha fatto eco, al consiglio regionale, l'onorevole Felice Contu, democristiano, presidente dell'assemblea: «Ancora una volta dobbiamo denunciare il permanere di un modo completamente sbagliato di guardare alle risorse sarde. La Sardegna è una regione italiana largamente maggioritaria nella produzione mineraria, ma il piano Egam le ha assegnato una quota d'investimento che non tiene assolutamente conto di questa posizione e ciò contro ogni logica e contro lo stesso interesse nazionale». Ormai la polemica è aperta. Le organizzazioni sindacali, che hanno già mobilitato le masse, accusano l'Egam di favorire il settore siderurgico, meno oneroso, a danno di quello minerario. Filiberto Dani

Persone citate: Arenas, Domenico Tamburrini, Felice Contu, Guspini, Montevecchio, Paolo Fadda, Rosas

Luoghi citati: Arbus, Cagliari, Carbonia, Gonnesa, Iglesias, Sardegna