Scotellaro poeta contadino di Lorenzo Mondo

Scotellaro poeta contadino TORINO, UN CONVEGNO ORGANIZZATO DAI LUCANI Scotellaro poeta contadino Studiosi ed amici, tra cui Carlo Levi e Rossi Doria, hanno ricordato la sua coerenza politica e letteraria Cinquantanni fa nasceva Rocco Scotellaro e vent'anni fa moriva. In lieve ritardo suiranniversario, caduto in dicembre, i suoi conterranei di Torino hanno voluto commemorarlo con una giornata di studi alla Galleria d'Arte moderna. « Scotellaro poeta della libertà contadina, sviluppo del Mezzogiorno sviluppo d'Italia », si leggeva sul cartellone accanto al ritratto di Rocco: e gli slogans suggerivano efficacemente gli scopi del convegno: sottrarre alla dimenticanza il poeta ma anche il politico, permettere ai lucani emigrati di riconoscersi, rinsaldando i legami con quelli rimasti laggiù, « dove lo spazio è più largo, ma il cuore più stretto ». Àncora il Sud Nel momento in cui il Sud torna a riproporsi come banco di prova dello sviluppo e della democrazia italiana, anche attraverso le città « meridionali » del Nord, riprende attualità e suggestione la figura di chi più di ogni altro patì, come dato esistenziale e culturale, la condizione di contadino, di contadino del Sud. Una tela di Carlo Levi, lunga come un'intera parete, esibiva con franche pennellate di cantastorie la vita e la morte di contadini e pastori, gli interni e le trazzere, i presepi e le fonde gravine, e tra gli uomini adunati in piazza, sotto lo sguardo dei braccianti incarcerati, la predicazione laica di Rocco, fiammeggiante di pelo e di cuore. Per un momento, mentre parlava Manlio Rossi Doria, si è sentita aleggiare la leggenda di Scotellaro, che a ventun anni ha già statura di leader nelle lotte per la distribuzione della terra, che nel 1946 diventa 11 più giovane sindaco d'Italia. Ma le testimonianze degli amici, i documenti letti, portano a considerare sotto una luce secchissima una vicenda che in gran parte è ancora da ricostruire e da scrivere. Amministrazione rigorosa, partecipazione diretta dei contadini alle scelte politiche e sociali, taglio netto con il vecchio clientelismo, sono le regole cui si attiene. E quando si arriverà allo scontro furente del 18 aprile 1948, pur get- tandosi a corpo morto nella battaglia delle sinistre, Scotellaro condurrà lucidamente una lotta elettorale a base meridionalista, distinta dagli appelli degli opposti fronti: « Stato e opposizione — dirà — si scontrano nel Mezzogiorno come su un campo straniero ». E quando, dopo aver vissuto l'esperienza del carcere per l'occupazione dei campi, viene rieletto trionfalmente sindaco di Tricarico, non ha esitazioni: se ne va, per un'esigenza interiore, per dedicarsi alla letteratura, ma anche per una valutazione politica. E' caduta la spinta interna e autonoma del movimento contadino, strumentalizzato dalle stesse sinistre per battaglie di retroguardia. Per su¬ perare l'ingenuità delle prime lotte e le rigidezze dei partiti, occorre procurarsi altri strumenti, è necessaria una fase di preparazione e di riflessione. Frequenta la scuola di studi agrari a Portici, visita la Calabria dov'è appena avviata la riforma, prepara l'inchiesta sui Contadini del Sud: vuole istituire un diverso rapporto, meno diretto ma più approfondito e più ampio con tutti i contadini del Mezzogiorno, quelli che presto diventeranno i protagonisti delle grandi migrazioni: « Già ne sente il rombo, assai più drammatico di quel che accompagnò, cinquantanni prima, la corsa all'America ». Con lui, fulminato dall'infarto, muore anche il suo mondo: in vent'anni, quattro milioni di meridionali se ne andranno, oltre duecentomila dalla sola Lucania, rendendo ancora più dura la sorte dei rimasti. C'erano docenti universitari, critici letterari, al tavolo della presidenza. L'attore Carlo Enrici intercalava i loro interventi, gettando su un pubblico civilissimo e attento brani di ammaliante poesia: « Non gridatemi più dentro, I non soffiatemi in cuore/i vostri fiati caldi, contadini. I Beviamoci insieme una tazza colma di vino / che all'ilare tempo della sera I s'acquieti il nostro vento disperato ». Si ripeteva in molti lo scandalo che suscitò in qualche misura, al suo apparire, la raccolta di E' fatto giorno, un libro ormai, scandalosamente, introvabile. lisciva nel 1954, quando già si annunciavano le scolte demolitrici e irridenti del Gruppo '63. « Fu una delle ultime illusioni sulla poesia — è stato detto — sulle istituzioni poetiche» (Folco Portinaro. Senza chiedersi se esistesse uno « spazio ecologico » per la poesia, Scotellaro esprimeva concretamente la sua fiducia tutta contadina, tipica di una cultura incline da secoU ai modi di espressione poetica. La sua forza autentica fu di essere un contadino vero, di essere dentro quel mondo che cantava non come un eden perduto ma attraverso i segni della propria esperienza e conoscenza quotidiana. La sua fu una strada di mez¬ zo, una via di conciliazione tra l'impegno di un Pasolini e le sperimentazioni dell'avanguardia. Tentativi di approccio e definizione: manca infatti un'edizicne critica, non sono disponibili vari inediti che la rivista Basilicata, da qualche tempo, fa conoscere. Eppure sono saggi fecondi, significativi di un disagio superato, di una possibile scoperta e fruizione anche nei nostri giorni smagati. Così, pur insistendo sulla vigorosa concretezza di Scotellaro, si è messo in evidenza lo schermo di cultura attraverso cui gli uomini e le cose sono rappresentati nella sua opera. Quanto più cerca di specificare l'oggetto per dargli una connotazione locale, rusticana, tanto più attinge la sfera del mito. Quasi insensibilmente la Lucania si discopre « sublime ». Il dissidio fra realtà e letteratura che era in lui, finisce con il trionfo della letteratura. Lungi dal piegarsi al realismo paternalistico e in definitiva reazionario che vorrebbe abbassare il linguaggio, per confinare certi temi e personaggi nella «stanza dei servi», egli lo esalta. Per Scotellaro, questo « il correlativo letterario dell'azione pratica: il mondo contadino è poetabile come gli altri » (Bàrberi Squarotti), non condannato a un balbettio informe. E' la sola, possibile liberazione sotto specie letteraria. Capo e poeta Altri ha parlato della prosa di Scotellaro, il romanzo autobiografico o memoriale L'uva puttanella e l'inchiesta Contadini del Sud: come storia inconclusa di un uomo che, chiamato alla duplice funzione di capo e di poeta, tipica di una società arcaica, consuma la propria vita cercando di rendersi garante della verità del mito e di quella della storia, di non tradire la sua originalità contadina senza restarne prigioniero. «Il coro dei ricordi d'infanzia — scrive in una delle sue pagine più fervide e solari — aveva la forza della più lontana cicala, che magari avrei trovata assecchita poi al tronco del mandorlo con le sue zampe rigide, e i suoi occhi non morti, lucenti spilli di cel¬ luloide, ma che intanto friniva, al suo posto, e il suo era lo stesso, potente canto di tutte che chiamava l'aria sugli alberi ». Ma la magica atmosfera della campagna non riesce a spegnere in lui « la voce degli uomini, fluente dalle case e dalle terre ». Quella dell'anarchico « figlio del tricolore », del mandriano di bufali, fatti parlare con la loro voce, ma anche con la loro poetica esemplarità. La prosa come documento, a tratti poetico e intenso d'un contrastato, bruciante cammino verso la maturità. Il linguaggio Non è mancato chi, indugiando sulla complessità tecnica e stilistica di Scotellaro, e ancora sull'umana prodigalità, ha segnalato la sua fortuna di « intellettuale autentico e integrale » nei paesi di lingua tedesca (Rosalma Salina Borello); mentre una sottile analisi dei vari livelli linguistici rintracciabili nella prosa di Scotellaro, e perfino nei referti di Contadini del Sud, ha negato la stretta identificazione con il mondo popolano, una mimesi che, invece di interpretarlo, lo condannerebbe all'immobilismo. L'incessante applicazione dello scrittore, si è detto, tende a superare il folklore contadino per affrontare problemi di civiltà (Corrado Grassi). C'era anche Carlo Levi, al convegno, quasi evocato dalle inevitabili citazioni di Cristo si è fermato a Eboli, dai richiami alla sua funzione di maestro di Scotellaro e insieme di allievo, non fosse che per il privilegio dell'inconsumato affetto e della posterità. Ha parlato di Rocco, ha toccato freudianamente e rusticamente dell'importanza che ebbe per lui l'immagine materna, ha annunciato la prossima pubblicazione, per sua cura, dei racconti inediti. Figura di monumentale mitezza, regalava autografi e sorrisi alla gente che si accalcava intorno a lui, assiso su una sedia come in piazza. Mordeva il sigaro, fingendo di lasciarsi proteggere dalla sorella, ma la teneva d'occhio che, fragile e bianca, non volasse via come una piuma. Lorenzo Mondo Rocco Scotellaro