L'Egitto, Israele e l'Occidente di Sandro Viola

L'Egitto, Israele e l'Occidente NOSTRA INTERVISTA CON SAYED MAREI, ASSISTENTE DI SADAT L'Egitto, Israele e l'Occidente "Stiamo lavorando per la pace", dice Marei - "E' necessario che dopo il disimpegno delle nostre forze vi sia quello tra siriani e israeliani nel Golan" Cauto sulla situazione interna egiziana, parla delle differenze che sussistono tra i governi arabi - "I Paesi dell'Est ci hanno aiutati, ma desideriamo anche la collaborazione con l'Occidente, specie con l'Italia, di cui non dimentichiamo l'appoggio generoso che ha dato all'Egitto nei momenti diffìcili" (Nostro servizio particolare) Roma, 23 febbraio. « L'Egitto, dice Sayed Marei, sta lavorando per la pace. Siamo stati noi ad accettare per primi il cessate il fuoco, noi che abbiamo approvato 1 "sei punti" di Kissinger quando gli altri ancora esitavano, e dopo i "sei punti" il piano di disimpegno delle forze nel Sinai. Né si deve dimenticare che il presidente Sadat ha deciso di riaprire il Canale di Suez ancor prima che le risoluzioni dell'Orni siano state completamennte applicate. Questi sono fatti evidenti a tutti, non parole ». Sui cinquantacinque anni, i modi dell'alta borghesia cairota, Sayed Marei è dalla morte di Nasser uno dei più stretti collaboratori del presidente Sadat, e questo rapporto s'è approfondito negli ultimi tempi col matrimonio d'uno dei suoi figli con la minore delle figlie di Sadat, Noha. Esperto di problemi agricoli, più volte ministro dell'Agricoltura, quindi viceprimoministro, Marei diventò nel marzo '71, quando cadde la cosiddetta « sinistra nasseriana », segretario del partito unico, l'Unione socialista araba. La sua carica attuale è quella di « assistente del presidente », e un mese fa, al Cairo, si dava per molto probabile la sua nomina a primo ministro. Marei è a Roma nella sua veste di segretario generale della conferenza mondiale per l'alimentazione, che avrà luogo sotto l'egida dell'Onu nel prossimo autunno. A Roma avrà una serie di contatti con gli alti funzionari della Fao e con alcuni dirigenti italiani, poi il suo viaggio proseguirà in altre capitali occidentali. La prima domanda che gli rivolgiamo riguarda appunto il problema della crisi alimentare nel mondo, problema che ha, come è noto, due facce: una all'interno dei Paesi cosiddetti ricchi, dove essa si manifesta con la scarsità di alcuni generi (carne soprattutto), e l'altra all'interno del mondo «povero», dove la crisi assume le forme terribili delle carestie che affliggono in questo momento alcuni Paesi africani e asiatici. «Alla crisi, dice Marei, si è giunti attraverso una serie Suez. Truppe israeliane duradi errori commessi tanto dai Paesi industrializzati quanto da quelli in via di sviluppo. Il fatto che controllando il mercato delle materie prime i Paesi "ricchi" rendessero così gravosi i termini dello scambio (bassi prezzi per i prodotti agricoli, sempre più alti per i manufatti) ha certo spinto le nazioni in via di sviluppo verso forme erronee di industrializzazione togliendo capitali e vitalità alle loro agricolture. Persino gli organismi dell'Onu e la rante il ritiro dai territori occWorld Bank (almeno sino all'avvento della presidenza McNamara) erano più pronti all'appoggio dei progetti industriali che di quelli agricoli». «Si aggiunga, dice Marei, che per molti dei Paesi decolonizzati la scelta dello sviluppo industriale era più "attraente", più valida sul piano delle propagande interne, d'un rilancio dell'agricoltura. Tutti questi errori hanno creato la situazione, i indubbiamente seria, che ci upati sulla riva occidentale del troviamo a fronteggiare. Ma ritengo che si sia ancora in tempo per coordinars gli sforzi e la pianificazione dei Paesi industrializzati con quelli in via di sviluppo, in modo da superare almeno le maggiori difficoltà di oggi». Veniamo ora alla trattativa arabo-israeliana e alle prospettive di pace. Come «assistente» di Anwar El Sadat, Marei è probabilmente una delle cinque o sei persone che oggi, al Canale nella guerra del Kippur (TCairo, seguono in modo più diretto il lavoro politicodiplomatico che potrebbe condurre alla soluzione del problema mediorientale. Abbiamo visto all'inizio la sua affermazione, secondo la quale l'Egitto, più d'ogni altra parte in causa, si sta sforzando per arrivare a un regolamento della crisi. Ma quai è la sua opinione sullo stato attuale della trattativa? « Il punto, oggi, è quello del disimpegno sul Golan. Egitto e Siria costituiscono un fronte unico, per cui è naturale e necessario che dopo il disimpegno delle nostre forze vi sia quello tra gli eserciti siriano e israeliano nel Golan. Attenzione, però: quando si parla di disimpegno delle forze, bisogna tenere presente che esso non è altro che un passo, il primo passo, per l'attuazione delle risoluzioni dell'Onu che prevedono lo sgombero di tutti i territori occupati nel '67 da Israele. E questa è l'unica possibilità di pace nella regione ». « Noi, spiega Afarei, non vogliamo la guerra, abbiamo dimostrato di desiderare la pace, ma non possiamo rinunciare al diritto di recuperare i nostri territori. Se mai lo facessimo (ciò che è impossibile), le generazioni future non accetterebbero una simile decisione, e questo significherebbe di nuovo la guerra». Ma come valuta, l'« assistente » del presidente Sadat, quanto è accaduto sinora nel quadro della mediazione americana, apertura della conferenza di Ginevra, disimpegno nel Sinai, e il nuovo viaggio che Kissinger farà nei prossimi giorni a Damasco e Gerusalemme? « Questi passi sì possono definire costruttivi, incoraggianti. E io credo che se Israele vuole la pace questa è l'occasione migliore che si sia presentata sinora, un'occasione unica. Purtroppo, da Tel Aviv continuano a giungere discorsi che somigliano, nel tono intransigente, a quelli di un tempo ». Uno dei cardini della manovra politico-militare messa in atto dal Cairo a ottobre era senza dubbio il coordinamento arabo, un abbozzo di unità i cui effetti (si pensi soltanto all'embargo petrolifero) si sono rivelati d'enorme importanza. Sussistono tuttavia alcune tensioni (di fonte soprattutto libica), che sembrano aver tolto al campo arabo la compattezza di tre mesi fa. «Tra i governi arabi non ci sono differenze, contrasti, quanto agli obbiettivi da perseguire. Ce ne sono, ma forse bisognerebbe dire ce n'erano, circa i metodi e le procedure per raggiungere quegli obiettivi. Comunque se si guarda al viaggio del presidente Gheddafi al Cairo, l'altro giorno, ai suoi discorsi di riconciliazione, si può concludere che quelle divergenze si vanno facendo sempre meno rilevanti ». Una domanda, ora, sulla situLa gioril rpossìa stanstampre«desa «prim"naai cICsCpLp (Telefoto Associated press) situazione interna egiziana. La sparizione di tutti i maggiori collaboratori di Nasser, il ritorno al Cairo di vari oppositori del rais (oppositori sìa di destra sia di sinistra), stanno facendo parlare la stampa occidentale, e sempre più insistentemente, di «denasserizzazione». Che cosa ne pensa Sayed Marei? «Bisognerebbe intendersi prima su cosa si intende per "nasserismo". Se si guarda ai contenuti, e non ai simbo¬ li, direi che esso è stato la riforma agraria, la nazionalizzazione delle imprese di interesse pubblico, la possibilità per tutti gli strati sociali di accedere all'istruzione superiore, l'allineamento dei redditi e insomma una maggiore giustizia sociale. Tutto ciò era nella linea di Gamal Abdel Nasser, com'è in quella del presidente Sadat, e se alcuni personaggi si sono allontanati dalla scena mentre altri vi ricomparivano, ciò non toghe che noi consideriamo la nostra politica di oggi come la continuazione del nasserismo». «Si capisce, gli ordinamenti politici non possono essere cristallizzati, e al contrario debbono evolversi, purché gli interessi del popolo restino prioritari. D'altro canto — continua Marei — non capisco perché qualcuno si meraviglia degli incoraggiamenti che stiamo dando al settore privato, che è riconosciuto come una delle componenti economico-sociali nella carta d'azione nazionale, che è la Costituzione nasseriana». Per un lungo periodo, l'Egitto ha ricevuto aiuti economici e collaborazione tecnica quasi esclusivamente dai Paesi socialistir l'Urss in testa. Tale tendenza è oggi destinata a rovesciarsi? «Gli aiuti e l'assistenza del campo socialista sono venuti quando l'Occidente si è rifiutato di aiutarci. I Paesi dell'Est europeo ci hanno aiutati nel nostro sviluppo industriale e agricolo (l'acciaieria di Heluan resta il simbolo di questa collaborazione), e io spero che i nostri rapporti con loro restino dei migliori. Ma a questo stadio noi desideriamo anche la collaborazione dei Paesi occidentali, e dell'Italia in modo particolare. Collaborazione, ho detto, non aiuti. Nel quadro delle nostre aperture economiche ci sono buone occasioni per le - industrie italiane, per le industrie d'un Paese, cioè, che ha un grosso ruolo da svolgere nello sviluppo della regione, e di cui non dimentichiamo l'appoggio generoso che ha dato all'Egitto nei momenti difficili che abbiamo attraversato ». Sandro Viola Suez. Truppe israeliane durante il ritiro dai territori occupati sulla riva occidentale del Canale nella guerra del Kippur (Telefoto Associated press)