Dopo la "caduta,, di Cianci si cerca il nuovo candidato di Mario Salvatorelli

Dopo la "caduta,, di Cianci si cerca il nuovo candidato La difficile successione alla Confindustria Dopo la "caduta,, di Cianci si cerca il nuovo candidato Al lavoro la commissione di tre membri nominata dopo la «fumata nera» di giovedì - In mattinata riunione dei presidenti delle associazioni territoriali e di categoria - Si fa già qualche nome (Dal nostro inviato speciale) Roma, 22 febbraio. Incomincia a diradarsi il polverone suscitato dalla caduta — tanto più fragorosa in quanto inattesa — della candidatura di Ernesto Cianci alla presidenza della Confindustria. Ieri sera, subito dopo la riunione di giunta dell'Associazione degli industriali privati italiani, durante la quale Cianci era stato messo in minoranza — 43 favorevoli, 45 astenuti, uno contrario — si era sentito parlare di soluzioni di emergenza. Si prospettava una gestione «commissariale», come accade negli enti locali che non riescono ad esprimere una amministrazione valida. Si esaminava lo statuto confederale, per vedere se nelle sue pieghe fosse contemplata la possibilità di una proroga annuale del mandato al presidente in carica, Renato Lombardi, scaduto dopo un biennio di nomina e un secondo biennio di riconferma. Qualcuno avanzava l'ipotesi che a reggere temporaneamente la Confederazione si potesse chiamare il suo direttore, Franco Mattei. La nomina, in serata, di una commissione di tre membri, con l'incarico di designare un altro candidato, contribuiva a calmare le acque, anche per la «credibilità» dei suoi componenti: il genovese Angelo Costa, per molti anni presidente della Confindustria e uomo di notevole prestigio personale; il napoletano Mario Corbino, figlio dell'ex ministro liberale Epicarmo Corbino, membro del Comitato delle imprese minori in seno alla Confindustria e piccolo imprenditore egli stesso; Ludovico Biraghi Losetti, che amministra la società «Ibm Italia» a Milano, la città dalla quale era partita, e precisamente da Poro Bonaparte, sede della Montedison, la candidatura di Cianci, e dove si erano svolte le riunioni, alle quali hanno partecipato i rappresentanti di dieci regioni, per raccogliere intorno ad essa l'appoggio necessario. Questa mattina, così, si è potuta svolgere in un clima di relativa serenità la riunione dei presidenti delle associazioni territoriali e di categoria, anche se era stata convocata per prendere atto della «fumata bianca» della giunta — come sempre in passato — e invece si è trovata di fronte alla «fumata nera», a una lavagna sulla quale non era scritto alcun nome. Man mano che il polverone si solleva, c'è chi crede d'intravedere, com'è ovvio, qualche nome. Si parla di Leopoldo Pirelli, e con esso di Emanuele Dubini, si punta su Giuseppe Pellicano, presidente dell'Assolombarda. Al di là dei nomi, tra i più rappresentativi dell'industria privata italiana, forse c'è un po' troppa «aria di Milano». Forse la designazione di Pirelli (o di Dubini) suonerebbe come un atto di sfida al «dopo Cianci», dato che Pirelli è stato tra i più decisi avversari di quella candidatura. E' vero, però, che fu avversario per una questione non certo di persona, ma di principio, cioè quella di non mettere anche sulla Confederazione degli industriali privati italiani un'ipoteca pubblica, quale oggi si può configurare in un presidente proposto da una società, come la Montedison, controllata dai due massimi gruppi dell'imprenditoria statale, Tiri e l'Eni. Per Pellicano c'è il fatto che nelle riunioni in cui si decise di sostenere la candidatura Cianci, fu lo stesso presidente dell'Assolombarda a ricordare agli intervenuti che, «intorno a quel tavolo, non si doveva sedere alcun aspirante alla presidenza, e neppure alle vicepresidenze, della Confindustria». Ma è anche vero che, dopo la rinuncia di Cianci, tutto riparte da zero, si rimescola l'intero mazzo di carte, ed ogni nome può essere quello buono. Anche i presidenti confederali, nella riunione di questa mattina all'Eur, hanno aderito alla massima apertura possibile dell'orizzonte. Sembra che sia girato uno slogan, a proposito del futuro candidato: «Né dai tre, né dai dieci». In parole comprensibili anche ai non addetti ai lavori, ciò significa che non si devono ripetere gli errori, d'ingenuità o di malizia, del passato. Errore d'ingenuità, presentando una candidatura, quella di Bruno Visentini, da parte della prima commissione designatrice, formata da Giovanni Agnelli, Luigi Orlando, Nicola Resta, così da darle l'apparenza di una «candidatura di vertice», senza accertarsi se nella base c'era — come probabilmente c'era — la necessaria adesione. Errore di malizia, nel voler far passare Ernesto Cianci come candidato di dieci regioni italiane (su venti) chi in realtà era scaturito dal «cervello di Giove», per bloccare il nome proposto da quelli che erano stati incaricati dalla Confindustria stessa di fare una scelta. Appunto per non cadere negli stessi trabocchetti e per evitare analoghi mascheramenti (ieri era giovedì grasso, ma con mercoledì prossimo incomincia la Quaresima, con l'eccezione del Carnevalone ambrosiano), la nuova troika di designazione amplierà al massimo le sue consultazioni. Il «vecchio» Costa ha tutte le intenzioni di rovesciare la Confederazione come un guanto, prima di proporre qualche nome, e nessuna voglia di fare il prestigiatore, che cava un coniglio dal cilindro. C'è il tempo necessario per agire, dato che l'assemblea «elettorale», già convocata per la fine di marzo, è stata rinviata, e per riunirsi ha tempo fino al 31 maggio. In realtà, questa sera si prevede che si riunirà verso la metà di maggio, e ciò significa che il comitato dei tre — Costa, Corbino, Biraghi Lo'setti — dovrebbe essere in grado, entro la fine di marzo o i primi di aprile, di presentare alla giunta confederale un candidato valido. Mario Salvatorelli

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