Per una Chiesa diversa in una Roma più umana

Per una Chiesa diversa in una Roma più umana Il convegno diocesano sui mali della capitale Per una Chiesa diversa in una Roma più umana Terminato il dibattito, una commissione continuerà a studiare i bisogni dei singoli e della società - Di fronte all'esplosione delle proteste cattoliche e degl'impulsi di base, auspicata "una comprensione nuova tra autorità ecclesiali e classi lavoratrici" (Nostro servizio particolare) Roma, 16 febbraio. Terrr..nata ieri la tre giorni del convegno diocesano di Roma, il cardinale vicario Ugo Poletti ha dato nella basilica di San Giovanni l'annuncio che sarà costituita un'apposita commissione di «giustizia c carità», che continuerà a svolgere una ricerca sui bisogni dei singoli e della società. Perciò il convegno che secondo le parole del cardinale è stato «un avvenimento superiore ad ogni aspettativa per interesse e partecipazione», non sarà fine a se stesso. In un certo senso continua, istituzionalizzato, perché «la Chiesa di Roma desidera essere con i poveri, di ogni genere di povertà, incoraggiando i progetti che favoriscono una città più umana. Se non è compito della Chiesa formulare piani di rinnovamento, essa può interpretare la voce dei suoi figli, se quei piani non sono formulati e non sono eseguiti». In sostanza, la Chiesa non intende farsi portatrice delle denunce di ogni abuso e di ogni ingiustizia — come vorrebbero le comunità cristiane di base — ma si organizza al fine di essere uno strumento di ascolto e di stimolo. A questo serviranno nuovi «consigli pastorali» da istituire, i quali esprimeranno «la realtà cristiana del territorio» dovendosi ammettere che «in alcuni luoghi la presenza di istituti religiosi, pur senza colpa dì nessuno, potrebbe costituire una contro-testimonianza cristiana». E' stata questa — il riconoscimento della collusione tra l'organizzazione ecclesiale ed il potere politico — la concessione maggiore del cardinal vicario alle contestazioni della base, e onestamente, realisticamente, non si poteva chiedergli di più. Di fronte all'esplosione delle proteste cattoliche, il vicariato si è visto nella necessità di una certa prudenza, per contenere gli impulsi e frenare le spinte della base: quello che resta è la rinnovata constatazione che la diocesi di Roma è per la Chiesa una vera e propria terra di missione. Non è del resto che una conferma, perché la prima scoperta — come ha ricordato Lamberto De Camillis sull'Osservatore Romano — risale ai tempi del primo decennio di questo secolo: «Quando don Orione espresse a san Pio X il desiderio ardente di recarsi nelle lontane missioni per concorrere con la sua opera e col suo sacrificio alla conversione degli infedeli, il santo pontefice gli disse che la zona extraurbana di Roma doveva essere le "sue Indie e il suo Giappone". Don Orione comprese e iniziò la sua grande fatica d'evangelizzazione romana in questo comprenso rio». 11 risultato non fu ottenuto, tuttavia, e infatti un padre missionario ha potuto dire al conve gno di aver vissuto vent'anni della sua vita in Africa, dove egli aveva percepito il senso vero delL Chiesa: mentre, tornato a Roma, sarà grazia di Dio se riuscirà a serbare la fede. Comunque, il cardinale ha tenuto a mettere in guardia i fedeli troppo vivaci contro «ogni stru mentalizzazione ed ogni arbitra rio commento», e ha detto che la Chiesa si fa un merito di esse re stata sempre «estremamente rispettosa verso i responsabili della vita cittadina, senza fare accusa a nessuno, né persone, né istituti, né organismi amministrativi, sindacali o polìtici in particolare». 11 sindaco Clelio Darida, che era presente al rito in San Giovanni, ha avuto il senso confortante di una quasi assoluzione, ed ha ascoltato sorridendo l'invito rivoltogli da Potetti ad una «presa di coscienza di uno stato di cose in certi casi insopportabile». Ha quindi accolto con grande facilità l'esortazione finale del vicario di Paolo VI: «Se le pubbliche autorità credessero di approfittare degli atti del convegno per meglio saggiare il polso della città e l'orientamento dell'opinione pubblica, saremmo ben lieti di avere offerto anche questo servizio». Sono difatti sempre questi impegni di carattere molto generale che si è più pronti ad accettare, anche perché il cardinale Poletti ha dichiarato che la Chiesa «intende mantenersi su un piano evangelico di libertà, di rispetto, di conversione, mai di imposizione, libera e sciolta da ogni vincolo di potere e da ogni timore umano, per essere soltanto l'annunciatrice profetica del suo Maestro, disposta a rivedere e correggere coraggiosamente, giorno per giorno, quanto di meno conforme al Vangelo può avere ancora in sé». Non sono cose che fanno paura, poiché è un linguaggio tradizionale rassicurante per tutti. Anche il dottor Luciano Tavazza presidente dell'Enaoli (Ente nazionale assistenza orfani lavoratori italiani), al quale era demandata la relazione conclusiva del convegno, è stato di un'esemplare sobria prudenza nell'clogiare innanzitutto «la composta ma ferma solidarietà e vigilanza fraterna dimostrata dalla comunità ecclesiale non appena ha percepito il senso delle provocazioni organizzate da parte di taluni operatori di violenza». Ha parlato male dei nazi-fascisti, ciò che fa sempre buon effetto anche a trent'anni di distanza dall'occupazione hitleriana di Roma, ed ha poi ricordato che «da 150 anni il movimento operaio interroga la Chiesa, interroga i cristiani». A suo giudizio, l'avvertenza scaturita dal convegno — che sarebbe opportuno riconvocare periodicamente — è la necessità di non guardare ai singoli lavoratori o a quelle che genericamente si chiama il mondo del lavoro, ma di far «viva attenzione alle loro organizzazioni sindacali, politiche, culturali. Se noi sapremo approfittarne, una comprensione nuova si stabilirà fra comunità ecclesiali e moto storico di emancipazione delle classi lavoratrici, ed allora la Chiesa sarà diversa perché lutti i cristiani saranno impegnati ad essere diversi». Ha detto ancora il dottor Tavazza che nessuno intende santificare il movimento operaio, ma non è che per questo si deve tacere che la «disumanità di Roma» equivale alla sostanziale di¬ sumanità dei meccanismi di sviluppo della società capitalistica. Se anche molti romani si professano credenti bisogna dire una buona volta che «la loro fede è automatica accettazione di quello che l'abitudine insegna, ed essa è quindi rituale, nel senso di una fede concepita più come strumento che come valore». Il punto più alto della denun¬ cia del dottor Tavazza si è avuto quando egli ha proclamato che «la Chiesa di Roma non può vivere né di memorie né di investiture storiche, se non le merita»: e in fondo tutto il senso del dibattito della «tre giorni» diocesana di Roma è appunto questo, che essa poco le merita. Vittorio Gorresìo

Persone citate: Clelio Darida, Don Orione, Lamberto De Camillis, Luciano Tavazza, Paolo Vi, Poletti, Tavazza, Ugo Poletti