Un difficile dialogo alunni -insegnante

Un difficile dialogo alunni -insegnante I gravi problemi della scuola Un difficile dialogo alunni -insegnante L'ultimo episodio della professoressa contestata a Imperia denuncia uno stato di continua frizione - Il parere degli esperti Accanto alla contestazione globale, marcatamente politica, degli studenti, si svolge parallela una contestazione strisciante, dagli obiettivi più ravvicinati: programmi invecchiati, autoritarismo nei metodi, fiscalizzazione nei giudizi, clima scolastico antidemocratico. L'ultimo episodio in ordine di tempo è quello riguardante l'insegnante Angela Salvi di Imperia, rifiutata dagli stessi alunni per i suoi metodi J'insegnamento. Ritorna alla ribalta il rapporto alunni-insegnante, per denunciare uno stato di continua frizione e frustrazione, alimentato dalla mancata riforma nelle scuole superiori. Alla base sta, secondo il professor Aurelio Verrà, preside del liceo classico «M. d'Azeglio» di Torino, «l'impossibilità di continuare con un insegnamento tradizionale, perché i ragazzi non l'accettano più. Riescono invece a procedere con serenità e buoni risultati quegli insegnanti che capiscono che non è più possibile fare a meno della partecipazione degli alunni». Al di là del caso singolo, o del fatto reso di pubblico dominio, la scuola è da tempo teatro di continue scaramucce, piccoli o grandi ricatti, estenuanti giochi d'equilibrio, che finiscono con il coinvolgere tutti. Perché ciò avviene? «Anche per le possibilità assai limitate di una sperimentazione organica, perché sono ancora in vigore i vecchi ordinamenti», dice il professor Verrà. Ma dove l'insegnante si scosta dal modello tradizionale e inizia un colloquio nuovo con gli alunni, pur gravemente limitato dagli ordinamenti attuali, il clima di tensione si allenta. «Oggi — sostiene il professor Giovanni Gozzer, direttore del Centro europeo dell'educazione di Frascati — tra la cultura eterogenea, spesso dispersiva, ma ricca di nuovi fermenti dei giovani e la cultura scolastica, vi è un bassissimo livello di compatibilità. Da un lato i giovani non mettono a profitto le loro curiosità culturali sul modello tradizionale della scuola e, dall'altro, sono gli insegnanti che non offrono questa possibilità. In tal modo, l'insegnante diviene il sacerdote di un tempio vuoto perché senza fedeli». Coinvolgere gli alunni significa dunque, a parere degli esperti, aprire la scuola alla realtà esterna, prendere atto dei cambiamenti avvenuti «per attualizzare l'insegnamento sfrondandolo delle parti morte», dice il preside Verrà, ma anche, secondo il piofessor Gozzer, per rompere con una scuola a «retorica chiusa» che regge sostanzialmente su! «ricatto del voto» e sul macchinoso apparato fiscale. Ciò fa dire al preside Verrà che «il problema più importante è defiscalizzare la scuola», ossessionata oggi dalla necessità di dover sempre rispondere gerarchicamente a qualcuno che sta al di sopra di noi. La stessa valutazione viene ancora accettata dagli alunni se c'è alla base un supporto valido che la giustifichi e se vi è una motivazione al lavoro, mentre, dice il preside Verrà, «i giovani non l'accettano più come giudizio inappellabile emesso senza la loro partecipazione». Il voto come pungolo allo studio dovrebbe dunque lasciare il posto alle attività motivate dall'iute resse e queste si dovrebbero innestare sul mondo del reale, dando al giovane un aggancio psicologico maggiore con la materia di studio. «Anche partendo dal dramma vietnamita — osserva un'insegnante di lettere — è possibile svolgere un ampio lavoro di ricerca e di conoscenza sulla situazione storica, geografica, economica e politica di uno o più Paesi»: L'attenzione si sposta ora sulla necessità di un insegnamento interdisciplinare, basato cioè sulla collaborazione di più insegnanti e sull'intreccio e l'integrazione delle varie discipline. Un insegnamento di questo tipo, ormai riconosciuto come indispensabile per lo svecchiamento della scuola, «servirebbe anche — dice il preside Verrà — a sconfiggere l'eccessivo individualismo degli insegnanti». E' lo stesso principio culturale ed educativo che oggi è in crisi, e le cause sono da vedersi — leggiamo nel documento conclusivo della Commissione Biasini — «nel fatto che l'antico principio culturale, essenzialmente identificabile con la tradizione umanistica, non è più il solo, in quanto ad esso si è venuto affiancando un diverso principio, in connessione con il moderno sviluppo scientifico-tecnologico». Inoltre, le stesse tecniche di comunicazione del sapere, cioè il modo di insegnare, sono cambiate. Già si parla di una crisi della «civiltà della parola», del mezzo cioè di cui si serve essenzialmente la scuola, in contrapposizione alla «civiltà delle immagini», quella in cui siamo immersi, e che ha presso i giovani un alto indice di diffusione: radio, televisione, cinema. «Apporti e strumenti — dice il professor Gozzer — oltremodo elastici che incorporano e recuperano anche i linguaggi verbali tradizionali». Può la scuola ignorarli? Ed eventualmente, come possono essere utilizzati? Per il professor Francesco De Bartolomeis, titolare della cattedra di pedagogia presso l'Università di Torino, «le tecniche nuove non sono mai veramente alternative, perché possono far passare vecchi contenuti, ma lo possono diventare se usate come strumenti intellettuali in una situazione socializzante, che ab bia posto alla base la ricerca critica e purché l'offerta culturale non sia estranea al mondo esterno». L'alternativa pedagogica all'attuale stato di crisi sembra dunque essere quella di un insegnamento proiettato verso il presente, ancorato agli interessi degli alunni, interdisciplinare e che faccia un uso attivo e critico dei nuovi mezzi di comunicazione. Sorge spontanea la domanda: sono gli insegnanti preparati ad accogliere questo programma? Per Gozzer «c'è un profondo squilibrio tra il ruolo sociale e professionale che l'insegnante dovrà svolgere e il modello culturale con cui l'Università lo prepara». Questo vuoto l'insegnante lo deve oggi colmare con una faticosa preparazione individuale e «sulla pelle» degli allievi, se vuole non solo sopravvivere, ma, ciò che più conta, rispondere adeguatamente al nuovo ruolo che il cambiamento gli impone. Ed è un ruolo molto difficile, proprio perché molto distante dal modello tradizionalmente tramandato. «Per secoli si è detto all'insegnante — osserva il professor Gozzer — tu sei il maestro e gli alunni ti devono assomigliare. Oggi la relazione viene sovvertita e all'insegnante si deve dire che quanto più sono diversi da lui i suoi alunni, tanto più sarà stato maestro, perché vorrà dire che avrà concorso a costruire singole personalità». Aida Ribero

Persone citate: Aida Ribero, Angela Salvi, Aurelio Verrà, Biasini, Francesco De Bartolomeis

Luoghi citati: Frascati, Imperia, Torino