Le lacrime dello scrittore russo quando gli dissero: sei espulso di Paolo Garimberti

Le lacrime dello scrittore russo quando gli dissero: sei espulso Le lacrime dello scrittore russo quando gli dissero: sei espulso Solzenicyn voleva subire il processo, che pensava avrebbe giovato alla "purificazione del Paese" - La decisione dell'esilio lo ha colto di sorpresa ■ Sui giornali sovietici solo poche righe (Dal nostro corrispondente) Mosca, 14 febbraio. Aleksandr Sotzenicyn aveva previsto che un giorno sarebbero andati a casa sua e gli avrebbero detto, come già trent'anni fa, «siete in arresto ». Aveva anche preparato una dichiarazione (che la moglie, Natalia Svetlova, avrebbe dovuto consegnare ai giornalisti occidentali dopo l'arresto), nella quale contestava la competenza di qualunque tribunale sovietico « a giudicare la letteratura russa, qualsiasi dei suoi libri, qualunque dei suoi autori». Ma Solzenicyn non aveva immaginato che le autorità si sarebbero liberate di lui con un gesto d'imperio, che ha un solo precedente nella storia della Russia sovietica, quello di Trockij nel 1929. Eppure, l'ipotesi dell'espulsione era già balenata un mese fa, quando la Pravda attaccò lo scrittore per la pubblicazione di Arcipelago Gulag con un articolo intitolato « La via del tradimento ». Solzenicyn, scrisse l'organo ufficiale del Pcus il 14 gennaio, « disonora il titolo di cittadino sovietico ». Con una formula identica erano stati motivati i provvedimenti di privazione della cittadinanza (presi in base ad un editto staliniano del 1938) nei confronti del biologo Zhores Medvedev, nell'agosto del '73, del fisico Valeri) Chalidze, nel dicembre 1972, e dello scrittore Valeri) Tarsis, nel febbraio 1966. Ma Medvedev, Chalidze e Tarsis erano all'estero quando vennero privati della cittadinanza. Proprio per evitare il rischio dell'esilio forzato, Solzenicyn non era andato a Stoccolma a ritirare il premio Nobel conferitogli nel 1970 e aveva sempre respinto le proposte più o meno esplicite di emigrare, che gli erano state fatte più volte sin dal giorno della sua cacciata dall'Unione degli scrittori, nel novembre del 1969. Che cosa è successo, dunque, nella notte tra martedì e mercoledì, che lo scrittore, secondo fonti ben informate, ha trascorso nel carcere speciale di Liìfortovo, alla periferia di Mosca? Il "sistema Secondo le stesse fonti, Solzenicyn ha discusso tutta la notte con il procuratore incaricato del suo caso, un certo Bolshakov. Il magistrato avrebbe contestato allo scrittore il comportamento degli ultimi due anni, i suoi contatti con i giornalisti stranieri, la pubblicazione all'estero di libri « lesivi del prestigio dell'Unione Sovietica », le pubbliche dichiarazioni in spregio del « sistema sovietico e delle sue istituzioni», per concludere che egli era passibile di processo per « alto tradimento » (l'articolo 64 del codice penale prevede per questo reato anche la pena di morte). Ma, avrebbe aggiunto il procuratore, le autorità politiche avevano optato per un'altra soluzione, «più umanitaria», cioè la espulsione e la privazione della cittadinanza. Di fronte a questa comunicazione, Solzenicyn ha capito di non avere alternative. Davanti ad un tribunale egli avrebbe potuto reagire, replicare alle accuse, e, una volta condannato al Lager, rifiutarsi di lavorare opponendo una resistenza passiva. Ma alla privazione della cittadinanza non poteva fare alcuna opposizione, né giuridica, né fisica. Lo scrittore ha avuto ancora la forza di discutere per oltre tre ore (ritardando così la partenza dell'aereo) la situazione della propria famiglia, ottenendo la promessa che la moglie, i figli e la suocera potrannoraggiungerlo quando vorranno, portando con loro il suo poderoso archivio. Poi, riferiscono ancora le fonti, egli è caduto in una profonda crisi di sconforto, abbandonandosi ad un lungo pianto. Debolezza « Uno scrittore russo — aveva detto una volta Solzenicyn ad un amico — non può scrivere lontano dalla Russia». Ma, oltre che alla missione letteraria, la presenza di Solzenicyn in patria rispondeva ad una crescente funzione po- cmecdnbrzpcdddR«agpscsulussspcttMpnsptdglitica, della quale egli era ben E11 ì M ! ! I !, t ì I i 11U11 ( IH < ! ! 111111M j > : IHI i 11 ? Il ! I ! ì U11 ! ! ! 1 conscio: la sua voce, insieme con quella di Sacharov, era l'unica ancora udibile nel coro di un dissenso soffocato da una durissima repressione. Perciò, Z'imtelHgencija liberale ha reagito con disperazione all'espulsione di Solzenicyn Ma il grido di dolore di pochi intellettuali s'infrange contro il muro d'indifferenza dell'uomo della strada, condizionato da una propaganda sapiente e ossessionante. Riferiamo qualche risposta « campione » tra quelle che abbiamo raccolte durante la giornata. Se una ragazza, apparentemente una studentessa, ha manifestato il suo « incredulo stupore» perché «pensa sinceramente che il suo sia un Paese democratico e legalitario», un giovanotto, forse un impiegato, ci ha risposto senza emozione: « Quell'uomo si era messo su una strada senza ritorno e non poteva più restare in questo Paese, che disprezzava e tradiva intellettualmente. Io avevo letto l'Ivan Denisovic su Novyj Mir. Ma, poi, non avevo letto più nulla di buono di Solzenicyn. Anche mio nonno è scomparso nel 1937. Ma il partito lo ha riabilitato vent'anni dopo ». E una donna di mezz'età ha detto con sdegno: « Come espulso? Con tutto quello che aveva fatto e detto, bisognava processarlo ». Con questa opinione pubblica cloroformizzata da una opera di costante disinforamzione (di tutta la vicenda i giornali si sono limitati a riportare stamane, nelle ultime pagine, il decreto del Soviet Supremo), le autorità sovietiche sanno di poter reprimere i « ribelli » senza traumatizzare il Paese e rischiare reazioni o anche semplice impopolarità. Il provvedimento preso nei confronti di Solzenicyn è certamente una prova di debolezza, come ha commentato Sacharov. E' la dimostrazione dell'incapacità e della paura del regime dì affrontare un dibattito aperto anche con un'opposizione nettamente minoritaria (e quindi la conferma dell'illusorietà delle tesi di coloro, come Roy Medvedev, che credono in un processo di democratizzazione spontanea del Paese). E', ancora, la riprova dell'inutilità degli sforzi tesi a fare accettare all'Unione Sovietica e ai Paesi che ruotano nella sua orbita una libera circolazione di uomini e di idee. Tra l'espulsione di Solzenicyn e l'invasione della Cecoslovacchia v'è un indiscutibile denominatore comune. Paolo Garimberti

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Mosca, Russia, Stoccolma, Unione Sovietica