Un sì che è un no un no che è un sì di Paolo Vittorelli
Un sì che è un no un no che è un sì TRIBUNA. LIBERA Un sì che è un no un no che è un sì Non sappiamo se sia ancora possibile trovare un rimedio. Non per trovare il modo di evitare il referendum. Questo sembra ormai inevitabile, anche se vi erano cose più urgenti da decidere. Ma fra le tante cose assurde che si fanno, l'assurdo s'inserisce nell'assurdo. Andremo dunque a votare fra qualche settimana per mantenere in vigore la legge Portuna-Baslini istitutiva del divorzio o per abrogarla, secondo la richiesta dei promotori del referendum. E' un diritto che nessuno contesta. Ma qui viene l'assurdo. Chi metterà la crocetta nella casella accanto al «sì» nella scheda non dirà sì al divorzio, ma sì alla sua abrogazione e quindi no al divorzio. E chi metterà la crocetta al « no » non dirà no al divorzio, ma alla richiesta di abrogazione, e quindi il no sarà un sì al divorzio. Tutti lo sanno, gli addetti ai lavori si preparano già a spiegare alla gente il significato della parola abrogazione, i vari comitati abrogazionisti e divorzisti, i partiti dell'uno e dell'altro campo stanno elaborando parole d'ordine e manifesti per invitare chi vuole il divorzio a dire no e chi non lo vuole a dire sì. Ma si accetta questo assurdo in fatalismo, come si è accettato il referendum. Questa difficoltà tecnica si aggiunge a un'altra. E' la prima volta che gl'italiani andranno a votare su quesito posto sulla scheda per iscritto, non su simboli di partito o contrassegni. Perfino il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 avvenne su simboli: l'Italia turrita per la repubblica, la corona per la monarchia. Questa volta no. La scelta avverrà su parole scritte. Sarebbe stato un po' complicato scegliere figurine simboliche. Gli abrogazionisti avrebbero potuto scegliere come simbolo l'animale che ha la reputazione di essere il più fedele al proprio compagno, come la taccola, una specie di corvo dal becco giallo cerchiato di rosso. Ma chi lo conosce? Oppure la femmina del cane lupo, anch'essa tenace fautrice della indissolubilità della propria unione. Ma non altrettanto si può dire del suo maschio. Ai partigiani del divorzio si sarebbe invece potuto offrire come simbolo il gallo. Ma sarebbe stato più proprio a rappresentare la poligamia che il divorzio. Comunque i simboli non ci saranno. La legge non li prevede. Essa prevede invece la formula « volete che sia abrogato », seguita dalla data, dal numero e dal titolo della legge della quale si propone l'abrogazione, secondo la richiesta contenuta nella domanda di referendum, il tutto riprodotto letteralmente nella scheda sulla quale si vota. Giuridicamente tutto questo non fa una grinza. Infatti, non si tratta di dire sì o no a una legge costituzionale che non ha conseguito la prescritta maggioranza dei due terzi in ciascuno dei due rami del Parlamento in seconda lettura; e allora dice sì chi vuole la riforma costituzionale e no chi non è d'accordo. Né di approvare o respingere, anche in questo caso con una risposta logica, una proposta di modificazione territoriale di qualche Regione. Si tratta di dire sì o no all'abrogazione di una legge regolarmente approvata dal Parlamento. Tecnicamente, la legge che contiene le norme del referendum non considera più i cittadini in parte analfabeti, come tutte le nostre leggi elettorali, che propongono nelle schede solo la scelta fra diversi contrassegni, spesso senza alcun riferimento neppure a una sigla di partito (tranne quando sia contenuta nel dischetto del contrassegno). Questo è forse un bene e corrisponde alla nuova realtà elettorale italiana. Perciò il quesito viene posto per iscritto con una frase forse un po' complessa. Ma il chiedere a chi vuole il divorzio di dire no e a chi non lo vuole di dire sì è forse giuridicamente corretto, ma prende a pugni la logica e il buon senso. Nell'interesse di tutti, divorzisti e abrogazionisti, una piccola correzione alla legge sul referendum potrebbe forse ancora fare coincidere anche in questo caso la logica e il buon senso col diritto, che è sempre un bene. C'è ancora il tempo di farlo e di evitare che domani la storia non sappia se gl'italiani volessero veramente conservare o abrogare la legge sul divorzio. Paolo Vittorelli
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