Dove va la Francia e dove andiamo noi di Alberto Ronchey

Dove va la Francia e dove andiamo noi Dove va la Francia e dove andiamo noi o Due tesi erano a confronto nella conferenza di Washington. Gli americani sostenevano che al «cartello» dei venditori di petrolio, VOrganisation of Petroleum Exporting Countries, si dovesse opporre un'intesa tra i governi delle società industriali, se non proprio un «cartello» dei compratori. I francesi osteggiavano questo work together, o «lavoro insieme», con alcune obbiezioni e molti pregiudizi. Dopo le prime incertezze, gli altri europei, il Giappone e il Canada hanno isolato l'ostruzionismo francese, approvando la costituzione d'un «gruppo di coordinamento» secondo le proposte americane. Per Kissinger e Shultz, dinanzi all'esoso aumento di prezzo del petrolio, che ha provocato una crisi globale «ingovernabile», non aveva senso abbandonarsi alla politica degli accordi bilaterali con i venditori, in ordine sparso, danneggiandosi a vicenda e rischiando una guerra commerciate-finanziaria di tutti contro tutti, come negli anni della grande depressione fra il 1929 e il 1934: misure protezionistiche e di dumping per compensare le falle valutarie del petrolio, manovre selvagge sui tassi d'interesse per attirare i capitali arabi. Invece si doveva coordinare una strategia comune, associando anche il Terzo Mondo povero, a sua volta colpito dal prezzo disastroso del greggio come fonte d'energia e fertilizzanti chimici (India, Pakistan, Bangladesh, Ceylon, lo stesso Egitto) per negoziare insieme con il «cartello». Il ministro degli Esteri francese, Michel Jobert, difendeva gli accordi bilaterali, argomentando che un fronte comune con gli Stati Uniti sarebbe rischioso: le economie dell'Europa e de] Giappone dipendono in massima parte dalle forniture di petrolio, sono prive delle risorse americane, sono più vulnerabili alle rappresaglie del «cartello», e inoltre l'azione concertata sarebbe diretta dagli Stati Uniti. Ma al fondo vero della tesi è che la Francia aspira ad un'egemonia sull'Europa, pur senza «basi materiali e tecniche» sufficienti, e alla rappresentanza dell'Europa stessa presso il mondo arabo. E tuttavia che cosa ottiene la Francia dal mondo arabo con la politica dei negoziati bilaterali «tra Stato e Stato»? Finora ha ottenuto un accordo con l'Arabia Saudita, per 30 milioni di tonnellate in tre anni: poco o nulla, considerando che nel 1973 l'Europa e il Giappone hanno importato 1 miliardo e 700 milioni di tonnellate di petrolio. E malgrado la pubblicità dedicata all'episodio, il prezzo per barile è di 10,80 dollari, mentre il greggio si poteva comprare per 8,40 dollari il barile da una compagnia americana partecipe dell'Aramco (la società unificata dei petroli saudiani) La tesi di Jobert comportava poi una tacita contraddizione: è possibile non voler discutere oggi con gli Stati Uniti, ma non volersi neppure precludere per domani quei vantaggi che soprattutto la tecnologia degli Stati Uniti potrà offrire nel campo delle nuove fonti energetiche? Una delle principali risorse dei prossimi tempi sarà il carbone americano «liquefatto» e «gassificato», per non dire dell'energia nucleare, alla quale l'Europa dedica risorse di gran lunga minori, mentre è già divisa in due schieramenti sul modo di produrre l'uranio arricchito (la società Eurodif costiuisce un impianto a «diffusione gassosa» con la Francia, l'Italia, la Spagna, il Belgio, la Svezia, e la società Urenco preferisce la «centrifugazione» con l'Inghilterra, la Germania e l'Olanda). La discussione con Jobert è stata vana su ogni argomento, il suo mandato era d'impedire che la conferenza di Washington giungesse a conclusioni: tVasto disegno, nobile ambizione», commentava a Parigi l'Express, mentre il ministro tedesco Helmut Schmidt insorgeva: «Que¬ sOs sto non è più una disputa procedurale, la Francia vuole una rottura tra Europa e Stati Uniti». La diplomazia gollista, isolata, risponderà forse con la politica della «sedia vuota»? In attesa dei fatti che seguiranno, ancora una volta è in questione il nazionalismo francese. Dove vogliono andare Pompidou, Messine:-, Jobert? Già il gollismo ha voluto scindersi dalla Nato, sebbene la Francia non abbia denunciato il Patto atlantico; già senza modestia ha tentato una guerriglia monetaria contro il dollaro; già da gran tempo ha impedito l'integrazione europea, propugnando un «europeismo» francese che non vuole rimettersi al voto della maggioranza. Ora sulla questione petrolifera, dinanzi alla crisi più grave dal dopoguerra in poi, lo scopo essenziale della politica francese appare quello di contrastare gli Stati Uniti. Se così deve continuare, ha osservato Jean-Francois Revel, sarà meglio che la Francia concluda. «Quando le parole "dipendenza", "dominazione", "provocazione" o "colonizzazione" tornano senza tregua sulla bocca di ministri in carica, esponenti dell'opposizione, commentatori politici, abbiamo dinanzi un fenomeno di rigetto violento e profondo, del quale bisogna assolutamente tener conto. Non è sano vivere in un'alleanza continuando ventiquattr'ore su ventiquattro a menare unghiate contro l'alleato principale. Questo finisce per guastarvi il sangue e mandarlo alla testa». Se esistono giudizi definitivi d'incompatibilità, è meglio conformare gli atti ai giudizi, scegliere una volta per tutte ». Fra le «interdipendenze» dell'Europa Occidentale con la potenza economica americana (o con gli arabi) e le reali «dipendenze» dell'Europa Orientale dall'Urss, può la Francia rinunciare all'alleanza atlantica? Il pericolo è un'Europa «finlandizzata» o assorbita nella sfera sovietica, a meno che sia possibile una vera, difesa europea, con un bilancio militare unificato simile a quelli dell'Urss e degli Stati Uniti. Ma se non si può rinunciare al sistema di garanzie euro-americane, la scelta pessima fra tutte è imitare i numerosi governi del Terzo Mondo già devoti alla politica ombrosa della xenofobia, che proclama di passare da successo in successo senza che nulla veramente succeda. Una sola cosa potrebbe alla fine succedere: che gli Stati Uniti si vedano un giorno costretti a trattare direttamente con l'Urss, anche sull'Europa. Alberto Ronchey

Persone citate: Francois Revel, Helmut Schmidt, Kissinger, Michel Jobert, Pompidou, Shultz