Il coraggio della verità di Carlo Casalegno

Il coraggio della verità Il coraggio della verità La crisi economica, politica, morale in cui il Paese si dibatte è troppo grave, perché sia saggio deformarla con l'allarmismo o romanzarla con irresponsabili fantasie. Bastano i fatti per dimostrare la necessità e l'urgenza d'una svolta che consenta una ripresa non ancora impossibile. Che l'alto costo dei carburanti dipenda dagli assegni che i petrolieri hanno passato sottobanco a dirigenti di partito o funzionari di ministero, è falso e assurdo. Raffinatori e grossisti possono avere cercato profitti di congiuntura leciti o illeciti sfruttando leggi invecchiate, controlli inefficaci, opportunità speculative; ma è il mercato internazionale che rende più costoso il petrolio ed inevitabile una breccia nella nostra bilancia dei pagamenti. Invece è vero, ed è grave, che fondati sospetti di corruzione si aggiungano ai dissensi di principio tra i ministri e all'incertezza dei dati statistici (ammessa da De Mita), e cosi impediscano al governo di fissare con la necessaria sollecitudine il prezzo dei carburanti: il danno economico rischia d'aggiungersi al danno politico e morale d'uno scandalo che qualcuno avrà romanzato, ma che nessuno ormai può smentire. Non sembra realistico interpretare il recente irrigidimento dei sindacati come un definitivo abbandono dell'« opposizione diversa », né vedere il prologo d'una primavera di lotte civili nelle deplorevoli violenze commesse in talune fabbriche; ma non è assurdo esprimere riserve sulla saggezza dello sciopero generale deciso per il 27 febbraio e sull'ambiguità dei suoi obbiettivi. Pur ristretto da otto a quattro ore, provocherà una perdita secca mentre il Paese ha un disperato bisogno di produrre, anzitutto per esportare. Anche se le confederazioni lo presentano come un gesto non di sfida, ma di « sollecitazione critica » al governo, non gioverà all'efficienza dell'alleanza quadripartita. Né la protesta può imporre al governo l'intero programma elaborato dai sindacati per la lotta al carovita e le riforme: salterebbero le difese della moneta e il bilancio dello Stato. Le confederazioni sindacali conoscono questi rischi; ma non hanno la vita facile, premute come sono da minoranze faziose, dallo scontento di città non sorde alla velenosa demagogia neofascista, dal moltiplicarsi irresponsabile di scioperi spontanei o corporativi: guidare la protesta può essere un modo per contenere l'agitazione. Tuttavia il governo non deve farsi dettare le scelte di politica economica da pressioni esterne, e neppure persistere nel rinvio di decisioni urgenti: già il suo ritmo di lavoro si è fatto troppo lento, quasi avesse perduto la compattezza e lo slancio dell'estate scorsa. Sarebbe un disastro se l'avvicinarsi del referendum, con i contrasti inevitabili durante la campagna e la tentazione di manovre per il dopo-voto, provocasse uno di quei periodi d'immobilismo e d'inerzia che hanno invelenito tanti problemi. La crisi dell'economia, dei meccanismi di potere, delle strutture statali, più complessa nel nostro Paese per un cumulo di eredità negative, non è soltanto italiana; usarla come motivazione d'una condanna indiscriminata, politica e morale, della classe dirigente e del sistema sarebbe un esercizio ingiustificato e suicida. Ma sarebbe altrettanto distruttivo sottovalutare la gravità della crisi, o illudersi di poter disgiungere gli aspetti politici da quelli morali. La crisi è anzitutto di sfiducia, negli uomini e nelle istituzioni; e senza fiducia non si possono mobilitare le energie necessarie alla ripresa. La strada per sfuggire al precipizio passa attraverso il coraggio d'affrontare gli scandali, di giungere alla verità senza lasciare alle opposizioni il comodo monopolio della denuncia, d'imporre misure di risanamento. I « Watergate » nostrani non investono l'intera classe politica. Ma confermano l'esistenza di legami stretti ed occulti tra governo e sottogoverno, partiti e aziende, pubblici affari e politica; denunciano l'estendersi — non contrastato con la doverosa energia — di una concezione mafiosa del potere, applicata con spregiudicatezza da ambiziosi padrini. Gli scandali sono un'occasione per fermarli: non si salverebbe un Paese gestito come « Cosa nostra ». Carlo Casalegno

Persone citate: De Mita