Bach e Schubert, due Messe

Bach e Schubert, due Messe li concerto Aronovitch all'Auditorium Bach e Schubert, due Messe Le quattro Messe brevi di Bach (composte solo di Kyrie e Gloria) se ne stanno un po' dimenticate all'ombra della colossale Messa in si minore, danneggiate anche dalla diceria, non del tutto infondata, che siano state composte mettendo insieme pezzi di Cantate. Sistema al quale il severo Bach indulgeva non meno del frivolo Rossini, e che non impedì né all'uno né all'altro di mettere a punto alcuni capolavori. La Messa in fa maggiore, eseguita l'altra sera all'Auditorium sotto la direzione animatrice di Juri Aronovitch, è cosa tutt'altro che trascurabile. Tra l'altro, il Kyrie, dal piglio franco, dal passo sollecito, è uno dei pezzi sicuramente originali di queste Afesse, e la parte corale del Gloria, da qualunque parte venga, è un'autentica cannonata. Aperto da cinegetiche fanfare di corni, vi corre come una linfa vivificante quella «sante animale», quella salute animale in cui André Schaeffner vedeva la prerogativa dei Concerti Brandeburghesi, e davvero questo pezzo gioioso, irruente, pieno di luce e di forza, verrebbe fatto di definirlo come Settimo Concerto Brandeburghese con coro. Tre arie solistiche completano la Afissa brevis, e cioè un Domine Deus solenne e pacato per basso, un Qui tollis per soprano con oboe obbligato, e un Quoniam per mezzosoprano con violino obbligato e basso continuo: facile immaginare i lavoretti di filigrana prodotti dalle due melodie contemporanee e diverse, quella vocale e quella strumentale. Altre fanfare di corni nel coro finale (Cum Saneto Spiritu), come se si trattasse d'una Messa di Sant'Uberto. Alla gagliardia indomabile del vecchio Kantor si sostituisce la dolcezza nelle sei Afesse giovanili di Schubert, di cui fu eseguita la seconda, in sol maggiore, del 1815. Schubert la scrisse in una settimana, ed aveva 17 anni: non si può pretendere un capolavoro. C'è un tono di devozione convenzionale, un po' alla maniera delle Madonne del Sassoferrato. Il fugato del Sanctus è scolasticamente indigesto. Ma la dolcezza del Credo in unum Deum, il lirismo del Benedictus e dell'Agnus Dei, trattati quasi come arie d'opera, danno luogo a bei momenti musicali. B soprano Jane Marsh (recente Leonora nell'opera di Paér a Parma) e il basso Ernst G. Schramm hanno cantato in entrambe le Afesse; il tenore Dìeter Ellenbeck in quella di Schubert e il contralto Marga Schimel in quella di Bach: tutti in maniera onorevole. Splendida la prestazione del coro, istruito da Fulvio Angius, e vivacissima la direzione di Juri Aronovitch. (Chi ha assistito alla prova pubblica di giovedì sera ha anche potuto apprezzare quale minuzioso e sagace concertatore egli sia). Non fuori luogo, dopo le due Messe, la Sinfonia, per così dire «spirituale», dell'opera L'armonia del mondo di Hindemith, sulla figura storica di Keplero e sul concetto dell'armonia dell'universo, quale si traduce nei gradi della Musica instrumentalis, Humana e mundana (tali i titoli delle tre parti della Sinfonia). Diventa sempre più difficile gustare le monumentali co strazioni di Hindemith, dove il gusto della dinamica, del movimento allo stato puro viene attuato su una scelta di materiali volutamente sciatti, aridi e pesanti. Ma è innegabl le che, dai e dai, a forza di dimenarsi e di aggiungere legna al fuoco, alla fine una bella fiammata di polifonia strumentale finisce davvero por accendersi intorno alla gloria di quel corale gregoriano proclamato a tutta forza dagli ottoni. Applausi vivissimi ai solisti, al direttore, al maestro del coro, giustamente estesi all'orchestra e al coro stesso. m. m.

Luoghi citati: Parma, Sassoferrato