Con l'aratro sui ruderi

Con l'aratro sui ruderi INDAGINE SULL'ITALIA SOTTERRANEA Con l'aratro sui ruderi Non soltanto le industrie provocano distruzioni - Anche l'agricoltura e il turismo recano danni e contribuiscono allo sperpero del nostro patrimonio storico - Impotenti di fronte ai piani mafiosi e a permessi edilizi che sono vere licenze di distruggere, i sovrintendenti da tempo chiedono l'istituzione di parchi archeologici, come quello sorto attorno a Selinunte (Dal nostro inviato speciale) Palermo, febbraio. Un'indagine sull'archeologia sembrava, all'inizio, uno di quei quieti divertissements che di tanto in tanto ci sono concessi in questo mestiere; invece, anche senza una precisa intenzione, si mettono in moto meccanismi imprevedibili, si toccano interessi che non sono soltanto quelli dei tombaroli, o quelli mafiosi con la emme maiuscola: ve ne sono altri, generati da preoccupazioni comprensibili, soprattutto in coloro che hanno il gravoso incarico di custodire il patrimonio archeologico che gli è affidato. Lotte e disagi Ho ricevuto, ad esempio, una risentita lettera del dott. Giuseppe Voza, reggente la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale, con la quale praticamente smentisce tutto ciò che gli ho attribuito nella prima corrispondenza di questa indagine: niente contrasti con il clero di Siracusa durante la costruzione del santuario della Madonna delle Lacrime; niente contrasti, anzi, volenterosa collaborazione, con gli appaltatori dell'autostrada Messina-Palermo; niente contrasti con le imprese edili di Naxos. Che potrei obiettare? Che i giornalisti vanno in giro ad inventare situazioni, interviste, conversazioni per il solo gusto di mettere un po' di sale nelle loro corrispondenze? Questa lettera rivela però il disagio e le infinite difficoltà fra cui si muovono e lavorano i soprintendenti in regioni di alto interesse archeologico, la lotta quotidiana ch'essi sostengono per parare i colpi che gli provengono da ogni parte, dai profanatori di tombe, dai ladri di reperti, dalla speculazione edilizia e industriale. Devo citare ancora il dott. Voza, e spero questa volta di non ricevere smentite. A Priolo, sul mare che fronteggia Augusta, sono sorti i ciclopici complessi industriali che sappiamo, petrolchimica e fertilizzanti. La tendenza degli stabilimenti ad ingrandirsi tocca zone archeologiche di importanza unica, le mura fatte erigere dal tiranno Dionigi, i resti di città greco-sicule che risalgono a tremilacin- Paestum. Spesso d'estate si vedono turisti prendere il sole tra i famosi resti romani (Foto Team) quecento anni fa, contemporanee di Tirinto e dì Micene, già prospere quando i greci, per inseguire la bella Elena fuggiasca, non erano ancora andati all'assalto dì Troia. Tutto questo, però, non commuove i tecnocrati del petrolio. Le mura sbrecciate di Dionigi, quei quattro ruderi di case greche non sono quotati in Borsa, quindi non producono utili, e se è necessario dev'essere consentito di buttarli all'aria per far posto ai mostruosi impianti della chimica moderna. E se non è l'industria a provocare guai, sono l'agricoltura ed il turismo a completare il quadro poco confortevole dello sperpero del nostro patrimonio sotterraneo irrimediabilmente, almeno in buona parte, condannato alla distruzione. I due nemici Due anni addietro, sul Monte Casale, non lontano da Siracusa, a 900 metri d'altezza, fu scoperta Casmene, una città greca del 700 avanti Cristo; ma fu scoperta quando gli agricoltori avevano già distrutto quasi tutto arando il terreno. Fino a pochi anni addietro il vomere tirato dai buoi scalfiva appena il suolo, ed il patrimonio archeologico poteva continuare nel suo sonno millenario finché non fossero giunti gli studiosi a scavare. Oggi, coi moderni trattori, il vomere scende in profondità, e distrugge tutto. Naturalmente, l'agricoltore si guarda bene dal denunciare la presenza di ruderi o tombe che possono interessare l'archeologo; se nelle tombe vi è qualcosa da arraffare lo fa in proprio, per il resto continua ad arare come non avesse visto nulla. E' accaduto anche a Camarina, grande città greca fondata dai siracusani in provincia di Ragusa, che ebbe storia splendida per oltre cinque secoli; quando fu scoperta tre anni addietro, buona parte del centro urbano era già stato distrutto dai grossi aratri meccanici. Si era salvata in gran parte la e necropoli, che ha un perimetro di sette chilometri. Tremila tombe sono già state esplorate, ma ve ne sono ancora alcune decine di migliaia che attendono la visita dall'archeologo; qui i tombaroli non possono agire, la necropoli di Camarina è molto ben vigilata. Altro nemico implacabile dell'archeologo, il turismo. « Quando emigravano in Sicilia, i coloni greci sceglievano i punti strategicamente più importanti, o panoramicamente più suggestivi ove fondare le loro città — mi dice Paola Pelagatti, ora trasferita a Torino —. Oggi, per costruire un albergo, un condominio, la seconda, o la terza casa per le vacanze, visto che siamo diventati tutti benestanti, si cerca il luogo " panoramicissimo " e si compiono veri e proprii assassini archeologici». Uno di tali assassini sempre a Siracusa, è avvenuto poco distante dal capoluogo, ad Ognina, nella zona detta delle Fontane Bianche, a quattro passi dal mitico Ciane folto di papiri: il fiume che attraversa misteriosi labirinti sottomarini per raggiungere, sull'isola di Ortigia, l'amata Aretusa. Basterebbe quest'atmosfera per invogliare la speculazione edilizia, che non è mancata all'appuntamento. Oggi, sulle sponde del più bel mare di Sicilia, sono sorti alberghi, condomini, villette, travolgendo i ricordi di una storia fastosa e splendida, perché in quella zona furono fondate città e villaggi greci che ebbero vita florida. Un altro tentato assassinio, non interamente consumato, è avvenuto ad Agrigento, dove un moderno capitalista che intendeva il turismo a suo modo tentò di costruire un paio di ville in stile badiale proprio di fronte al tempio della Concordia. Non ebbe il tempo di terminarle, la frana di Agrigento sconvolse i suoi piani. La licenza edilizia, concessagli chi sa per quali benemerenze, che non sono poi tanto misteriose se si pensa quanto prosperi la mafia in provincia di Agrigento, gli fu tolta e gli fu ingiunto, anzi, di abbattere quanto aveva già costruito. Sotto il cemento Sembrava tutto facile; invece, i raggelanti scheletri di cemento armato delle costruzioni fraudolente sono ancora lì ad offendere l'armoniosa eleganza di uno dei più bei templi di tutto il mondo ellenico. Dalla tragica frana di Agrigento sono trascorsi quasi otto anni, che la Soprintendenza di Agrigento ha impiegato per lottare contro quella brutale manomissione. Pare che, alla fine, l'esproprio del terreno e delle carcasse di cemento armato sia stato ottenuto, ma chi sa quanto ha dovuto pagare lo Stato per placare gli ardori archeologici del signore agrigentino. Come è possibile evitare i continui stupri compiuti dalla speculazione edilizia, se non bastano i pareri negativi delle Soprintendenze per impedirli? Un solo mezzo, dicono tutti i soprintendenti: i parchi archeologici. Ma ci vogliono soldi, molti miliardi, perché i proprietari di terreni che magari non valgono nulla, fanno salire i prezzi quando c'è qualcuno che glieli richiede. Ad Agrigento il parco archeologico sta per essere realizzato, e non ci saranno più tentativi di costruire villette « panoramicissime » a ridosso dei templi. E' vero che la superstrada per Gela sflora sempre i templi di Giove e di Giunone, le cui colonne, trabeazioni, frontoni sono serviti nei secoli scorsi per costruire la vicina Porto Empedocle; e probabilmente questo è un male che non potrà più essere sanato: il rombo di auto e camion continuerà a far tremare le colonne dei templi. Più sollecito a risolvere questi problemi è stato il prof. Vincenzo Tusa, soprintendente per la Sicilia Occidentale, che ha ormai realizzato il parco archeologico di Selinunte. « Se non avessi fatto così, mi dice, sarebbero venuti a costruirsi la casa di vacanza fra i templi nonostante i divieti ». Furti "protetti" Selinunte è in provincia di Trapani, altra zona ben fornita di mafia, e si può immaginare le lotte che Vincenzo Tusa, oltre che contro i tombaroli e gli scavatori clandestini, ha dovuto condurre con i proprietari dei terreni per ottenere i 224 ettari necessari per racchiudere in una cintura di sicurezza il tumultuoso, affascinante cataclisma pietrificato delle rovine di Selinunte. Purtroppo, quasi a ridosso della zona, è stato costruito il villaggio di Marinella, che in estate si riempie di bagnanti; in molte case del villaggio è nascosta, in attesa di prendere la via della Svizzera, o dei collezionisti italiani, una notevole quantità di vasi, bronzetti, statuine fittili, gioielli dì età ellenica. A Castelvetrano, pochi chilometri da Selinunte, ho conosciuto uno degli uomini più interessanti del settore archeologico. E' coltissimo, forse anche un poco mafioso, ma con idee chiare. Sa tutto sull'archeologia italiana, i fasti, ed i nefasti, dai furti «protetti» a quelli clandestini, ai falsi. MI racconta un episodio sconvolgente. Molti anni addietro, furono eseguiti lunghi scavi a Selinunte, soprattutto nel santuario della Malaphoros, la dea col melograno, e furono trovate decine e decine di migliaia di statuine fittili ex voto. Furono conservate solo quelle ritenute perfette, e furono diecimila, oggi nuovamente sepolte nei magazzini del museo di Palermo; solo un migliaio sono esposte. Fra quelle scartate, che parevano prive di interesse, i clandestini hanno mietuto recuperando «pezzi» di rara bellezza; alcune, ricomposte ritrovarono la grazia delle statuine di Centuripe, ora al museo di Siracusa, più aggraziate nei drappeggi, più soavi negli atteggiamenti delle membra che l'artista ha figurato in movimento, delle pur famosissime Tanagra. Con la vendita di quelle statuirle, il borgo di Marinella si è arricchito di numerose case. Francesco Rosso Per un maestro francese Ludwig van Beethoven "compositore maoìsta" ? Hong Kong, 7 febbraio. Il noto violoncellista francese Paul Tortelier ritiene che Ludwig van Beethoven non fosse affatto « un musicista capitalista », come aveva di recente sostenuto il Quotidiano del popolo di Pechino, ma «un maoìsta». Il musicista, che si propone di recarsi nella capitale della Cina comunista per spiegare questo suo punto di vista allo stesso presidente Mao Tse-tung, in un'intervista concessa al giornale South China morning post, afferma che Ludwig van Beethoven credeva nell'idea della «rivoluzione permanente » Paul Tortelier aggiunge che vi è una sola cosa che il presidente Mao non ha compreso: il fatto che la musica unisce i popoli. Il Quotidiano del popolo, in un violento articolo, aveva scritto il mese scorso che Beethoven, al pari di Franz Schubert, aveva « una mentalità borghese e capitalista ». Citando in particolare la Sonata n. 17 del grande compositore tedesco, il giornale criticava specialmente le opere « a numerazione », che non recano titoli e che, pertanto, « non riflettono lo spirito di classe ». Tortelier è attualmente a Hong Kong per una serie di concerti. In programma, naturalmente, numerosi brani beethoveniani, oltre a sonate e concerti del più tradizionale repertorio violoncellistico. (Ansa - Afp)