Gli straccioni del '700
Gli straccioni del '700 Con "Teatro-Insieme,, in scena all'Alfieri Gli straccioni del '700 "L'opera del mendicante" di John Gay che ispirò Brecht e Weill - Parodia del melodramma e satira sociale - La regìa è di Armando Pugliese Il confronto con L'opera da tre soldi strehleriana, testé rappresentata all'Alfieri dal «Piccolo» di Milano, ricupera e conforta l'opinione, espressa in occasione di un'infelice ripresa della Beggar's Opera (nel '70, all'Olimpico di Vicenza: probabilmente la sola dopo lo spettacolo di Bragaglia del '30 e un saggio dell'Accademia nel '43, entrambi del resto già largamente brechtiani), che Brecht e Weill, pur sottolineandone la vitalità col fatto stesso di tradurne il testo quasi alla lettera, hanno in qualche modo annullato questa «Ballad-Opera» settecentesca scoraggiando e frustrando i tentativi di riproporla così come era stata scritta. Altrettanto ardua sarebbe l'impresa se si volesse rendere più attuale e più sferzante di quanto non l'abbia resa Brecht con la violenza anarchica della sua polemica sociale una satira che già nel XVIII secolo (la commedia di John Gay è del 1728, con esito trionfale) s'affilava contro la corruzione dei nobili e dei politicanti, con non velate allusioni al governo del Walpole che infatti cercò di proibirne il seguito, proponendo come ironico modello il sottobosco della malavita londinese. Ma L'opera del mendicante, come giustamente è stato tradotto il titolo nell'edizione presentata l'altra sera, ancora all'Alfieri, da «Teatro Insieme», è anche satira di costume perché mette in burletta il melodramma all'italiana e, nei personaggi di Polly e Lucy, adombra la rivalità di due famose primedonne di allora. Eppure, anche da un regista abbastanza eccentrico come Armando Pugliese, c'era da aspettarsi un discorso sul potere. Da qualche anno, lo vanno facendo un po' tutti, si rappresenti Shakespeare, Brecht o chi sa quale altro autore. E Pugliese lo rifa anche lui, non a torto convinto che ricchi e poveri hanno ancora oggi gli stessi vizi, ma che solo i primi rimangono impuniti. E' la morale dell'Opera del mendicante così come la spaccia all'inizio e alla fine il personaggio dello straccione che se ne finge l'autore e che il regista ha fatto bene a conservare. Ma oltre che scontata, la satira sociale e politica rimane tutto sommato alla superficie e lo spettacolo ondeggia tra un vaudeville tutto ammicchi, allusioni e squisitezze e una farsa un po' lugubre che tuttavia non ha quei tratti elisabettiani dei quali dice di aver tenuto conto il Pugliese nella sua messinscena. Da una parte la parodia del melodramma — fondali dipinti e finte disperazioni — dall'altra un'aria alla Dickens sia nelle figurine di contorno sia nei personaggi principali del ricettatore Peachum e del carceriere Lockit (il «potere»: insieme, manderanno sulla forca Macheath, ladrone e dongiovanni, che ha soffiato loro le figlie) che sembrano sbucare dalle pagine di Davide Copperfield o di Oliviero Twist. E infatti gli interni e i costumi di Bruno Garofalo, su toni scuri a volte illividiti da un suggestivo gioco di luci, sono ottocenteschi, mentre le musiche di Dimitri Nicolau, per poco meno della metà delle settanta arie e ariette dell'originale, riproducono gli stessi ondeggiamenti dell'ìm postazione registica ora rifacendo il verso, e gustosamente come in una vigorosa chan son à boire, all'opera lirica, ora arieggiando ritmi più vici ni a noi come un indiavolato can-can da taverna. Se lo spettacolo può lascia¬ re un po' insoddisfatto lo spettatore, o soltanto perplesso perché sente che qualcosa non va ma non sa dire esattamente che cosa, tuttavia lo sgela e lo convince (alla fine il successo è stato schietto) con la ben orchestrata inter pretazione di un folto gruppo di attori che recitano, cantic chiano e sgambettano con ot timo brio e con eccessi antinaturalistici della voce e del gesto perfettamente intonati alla rappresentazione. AU'orcaggine di Luigi Pistilli e alla grottesca esagitazione di Donatello Falchi si contrappongono la comica furia di Ettore Conti e le matterie di una strambissima e godibilissima Francesca Benedetti che fa Polly (vedetela quando si snoda a sghimbescio e ascoltatela quando non resiste alla tentazione di parodiare la Lazzarini dell'Opera da tre soldi), senza dimenticare la frenetica Lucy di Anna Teresa Rossini, Olga Gherardi, la Centa, il De Bisogno e tutti gli altri. Alberto Blandi
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