Rilancio del carbone

Rilancio del carbone I sei punti della Commissione Cee Rilancio del carbone In Europa le prospettive appaiono però incerte - L'industria carbonifera ha raggiunto il massimo della produzione tra il '55 e il '60 Poi la decadenza è proseguita senza soste, compreso tutto il '73 Fra le conseguenze della crisi petrolifera una delle piii sorprendenti per l'opinione pubblica corrente è la possibilità di un rilancio del carbone. La tesi del rilancio è stata ufficialmente accolta nel programma in sei punti illustrato la settimana scorsa dal vicepresidente della Commissione della Comunità, il belga Henri Simonet. Tale programma può essere così sintetizzato: 1) il carbone dovrà coprire in misura sempre crescente la domanda mondiale di energia sin verso il 1990 e l'industria carbonifera della Cee, potendo contare su sbocchi più sicuri, dovrà mantenere l'attuale livello di capacità di produzione nella maggior parte dei bacini carboniferi anche mediante la perforazione di nuovi pozzi; 2) il ripristino della redditività è condizione essenziale per il finanziamento di nuovi investimenti; 3) l'ammodernamento della tecnica produttiva è necessario per rendere il lavoro più attraente per i minatori; 4) la sicurezza dell'occupazione, mediante — se occorre — il mantenimento in attività di miniere non redditizie, è giudicata condizione pregiudiziale per la sicurezza degli approvvigionamenti; 5) per assicurare una più ampia diversificazione delle forniture, si raccomanda l'eliminazione progressiva delle restrizioni esistenti alle importazioni di carbone; 6) si consiglia d'intensificare studi e ricerche di tecnologia e di economia mineraria. Ancor prima che la crisi petrolifera assumesse aspetti drammatici, per i timori provocati dalle possibili conseguenze dei rincari del greggio, lo slogan del ritorno al carbone ha trovato buona accoglienza negli ambienti borsistici americani. La speculazione al ribasso sui titoli petroliferi ha, sin dall'inizio, risparmiato le compagnie che potevano vantare grossi investimenti nelle miniere di carbone. In Europa, le prospettive appaiono alquanto più incerte anche se i sindacati dei minatori sono stati verosimilmente indotti a maggiore intransigenza dall'idea che un'attività, apparentemente avviata all'emarginazione definitiva, poteva ancora contare fra Quelle traenti, sia pure per un tempo limitato. L'industria carbonifera europea, uscita dal secondo conflitto mondiale in condizioni di quasi monopolio, ha raggiunto il massimo della produzione tra il 1955 e il 1960 per entrare in crisi gravissima in quell'intervallo di tempo, a causa della concorrenza sia del petrolio sia del carbone di maggior pregio importato a minor prezzo dagli Stati Uniti. Dal 1960 in poi, la decadenza del carbone è proseguita senza soste, anche se rallentata da misure protezionistiche di vario genere e, in Gran Bretagna e in Francia dove le miniere erano state nazionalizzate nel primo dopoguerra, dall'adozione di prezzi politici a carico del bilancio. Il ripiegamento è continuato anche nel 1973 in tutta la Comunità, non esclusa la Gran Bretagna, anche se il confronto col solo 1972 può far pensare il contrario; per vari mesi, nel periodo tra la fine del 1971 e l'inizio del 1972, l'estrazione di carbone fu bloccata interamente da scioperi per parecchie settimane. L'attuale agitazione mineraria ha inciso solo marginalmente sulla produzione del 1973, anche per il fatto che finora si limitava al- 1r la sospensione delle ore straordinarie. Ben altro potrà risultare il consuntivo del 1974 qualora non venisse scongiurato lo sciopero generale ad oltranza. In pratica, l'industria carbonifera europea dovrebbe invertire la tendenza regressiva degli ultimi quindici anni. Non sarà facile, anche se l'eccezionale rincaro del greggio ha rimesso in corsa — oggi come oggi — persino tipi di carbone molto cari (non però quello sardo del bacino del Sulcis, di cui pure qualcuno vorrebbe riprendere la coltivazione). Il fatto è che, se è vero che le riserve carbonifere sono abbondantissime, è anche vero che i tempi per lo sviluppo della produzione sono piuttosto lunghi e ingenti gli investimenti necessari. Inoltre, il mestiere è praticato prevalentemente da lavoratori anziani, non facilmente sostituibili e animati quasi dovunque da fierìssimo spirito di corpo, che li rende tenacissimi nelle rivendicazioni. Le remunerazioni, già oggi relativamente elevate, potrebbero — aumentando ancora — risospingere di nuovo il carbone fuori mercato rispetto alla produzione di altri Paesi extraeuropei dove la più favorevole giacitura delle miniere (spesso a cielo aperto) e i progressi della tecnologia hanno reso più umano e meno pericoloso il lavoro dei minatori. Non ci stupirebbe perciò se i consigli di Simonet rimanessero inascoltati; nel 1957, il rapporto della Ceca sull'opportunità d'investire nell'energia nucleare preluse al boom del petrolio. Sarà tan¬ tlbltdsbmcnicsRb to, stavolta, se l'invito a stabilizzare la produzione di carbone potrà contribuire a rallentarne l'ulteriore declino. Arturo Barone Produzione di carbon fossile della Cee 1972 1973 Var. % Gran Bretagna 119,5 (1) 130,1 + 8,9 Germania 108,4 103,4 — 4,7 Francia 29,7 25,7 —13,7 Belgio 10,5 8,8 —15,8 Comunita a Nove 271,4 270,0 — 0,5 (1) La produzione britannica nel 1970 aveva sfiorato i 145 milioni di tonnellate.

Persone citate: Arturo Barone, Henri Simonet, Simonet, Sulcis

Luoghi citati: Belgio, Europa, Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti