La cioccolata amara di Manfredi emigrato

La cioccolata amara di Manfredi emigrato PRIME SULLO SCHERMO La cioccolata amara di Manfredi emigrato II film di Franco Brasati racconta le disavventure di un cameriere italiano in Svizzera Pane e cioccolata di Franco Brasati con Mino Manfredi, Anna Karina, Johnny Dorelli. Italiano, commedia. Cinema Corso. La condizione dell'italiano all'estero, riguardato come individuo e non come «problema», ricondotto al glorioso segno delle commedie chapliniane, può essere quella di un uomo che non è in nessun luogo, o in un luogo bianco, alienato, che rende idea della solitudine esistenziale. Ma non si abbia paura che Pane e cioccolata, quantunque sottile, sia un film difficile. La finezza intellettualistica del regista e commediografo Brusati vi s'è felicemente combinata col realismo comico, qui al suo meglio, di Manfredi (collaboratore, con Iaia Fiaschi, alla sceneggiatura firmata dallo stesso regista). La combinazione un poco si sente («io do una cosa a te e tu dai una cosa a me»), ma il risultato è certamente intelligente e di sicura presa sul pubblico. Cameriere da tre anni in un ristorante della Svizzera tedesca, Nino Garofoli è un emigrante italiano ormai abbastanza «svizzero» da rinnegare il pittoresco, «l'anima e core», le chitarre e gli sfilatini dei connazionali all'estero, ma ancora troppo «italiano» da potersi integrare davvero nella società elvetica di cui avverte la glacialdtà e lo stacco (l'avverte anche il regista, ma con segreta simpatia figurativa). Mezzo di qua e mezzo di là. quel tanto di xenofobia che egli sente in proprio gli promette un destino agro-comico di sradicato. Perduto il posto e il permesso di soggiorno per aver fatto un po' d'acqua in luogo pubblico (il poverino ha avuto una scossa emotiva con la polizia), pur di non tornare in Italia Nino si aggrappa alla Svizzera che non lo vuole, e per una trafila di esperienze sempre più digradanti, ma tutte oltremodo pittoresche, percorre, in pun- ta di sketch, il calvario del clandestino. Dopo essersi appioppato come domestico a un connazionale miliardario che si toglie la vita per dissesto finanziario e sentimentale; dopo aver lavorato, con altri clandestini, in un pollaio dalle forme nane e allucinanti, il nostro ricorre al partito di mimetizzarsi da svizzero ossigenandosi i capelli; ma in un bar, trasmettendosi la partita Italia-Inghilterra, il tifo gli da rozzamente di fuori e lo smaschera. Svillaneggiato dagli svizzerotti, egli è ormai maturo per prendere il treno, nonostante che una graziosa esule politica, con cui aveva intrecciato un labile rapporto sentimentale, gli procuri in quel punto un nuovo permesso di soggiorno. E tuttavia il treno per l'Italia, ricolmo di canti e di suoni, non passa il confine svizzero, prima che Garofoli se ne getti fuori. Che sarà di lui? Brusati lo lascia sui binari, in quello scenario di limbo cui s'è accennato in principio. Forse un episodio solo, scavato a fondo (diciamo quello del ristorante, che è felicissimo per scoppiettio di trovate), sarebbe bastato all'assunto del film, che invece risente d'una sceneggiatura più addizionata che progrediente. Avviene che quando il regista mette fuori le cose più fini (la scena del pollaio e, a contrapposto, quello del bagno dei vichinghi), il film, per essersi tanto snodato, si faccia trovare in una zona di stanchezza. Ma nei Tulipani di Harlem Brusati stava sulle ali di un'ispirazione solitaria, e il film filava come un aquilone; qui invece egli ha dovuto fare i conti con una struttura affatto priva di mistero e che, salvandone l'eleganza nordica delle forme e la quasi totale rinuncia alle volgarità (soltanto la scena dei «travestiti» nel refettorio del campo di lavoro ne accatta qualche nota forzosa), è poi quella della «commedia all'italiana», dove il soggetto non posa ma è mandato a processione per il divertimento del pubblico. Tocca allo spettatore scegliere fra le molte anse del film le più godibili e apprezzare la mano delicata con cui l'autore ha sfumato in elegia individuale, in «comica» triste, lo strazio sociale dell'esilio. Non ci vorrà invece nessuna industria per dilettarsi ai ceselli di un Manfredi in gran vena e ben secondato da Anna Karina, Johnny Dorelli, Tano Cimarosa, Enzo Turco e dagli altri interpreti. 1. p.

Luoghi citati: Italia, Svizzera