Pio XII e le Fosse Ardeatine

Pio XII e le Fosse Ardeatine 6C RAPPRESAGLIA,,: POLEMICHE SUL SILENZIO DEL VATICANO Pio XII e le Fosse Ardeatine E' un difficile problema che dev'essere chiarito dagli storici, non risolto da una sentenza di tribunale Pochi lo hanno rilevato; ma il Vaticano non ha pronunciato una sola parola di adesione, né diretta né indiretta, all'iniziativa giudiziaria della nipote di Eugenio Pacelli, Elena Bossignani, contro il produttore e il regista del film Rappresaglia, aspramente polemico sulla linea di Pio XII davanti al massacro delle Fosse Ardeatine. Eppure il pontefice regnante, Paolo VI, non ha mancato di difendere in parecchie circostanze la memoria di papa Pacelli, soprattutto nel periodo infuocato delle polemiche sul Vicario (ricordo che in un colloquio privato che ebbi col Papa, pochi mesi dopo la sua elezione al soglio, nella primavera del '64, l'unico momento in cui l'accorto pontefice abbandonò il « noi » e passò ad un significativo « io » fu quando il discorso cadde su Pio XII, a proposito della operazione Sturzo del 1952, in cui pur chiaro ed esplicito era stato il dissenso da Pio XII dell'allora monsignor Montini reo di eccessivo antifascismo). Eppure il direttore dell'Osservatore Romano, e tutto lo staff dirigente dell'organo ufficioso della Santa Sede, sono cresciuti nel clima di Pio XII e non hanno mancato in passato di tirare fuori le unghie in occasioni polemiche meno clamorose e meno appariscenti di questa. C'è un perché al riserbo del Vaticano? In via di congetture ci sembra che i motivi possano essere due. Il primo si identifica, con ogni probabilità, in una sfiducia nella azione giudiziaria al fine di chiarire le penombre dei grandi problemi storici. E' una sfiducia che condividiamo pienamente, dalla sponda laica. La giustizia che rista¬ bilisce la verità, appena trent'anni dopo; il magistrato che prende il posto dello storico, magari nel silenzio degli archivi! Il libro di Robert Katz, Morte a Roma, il libro che ha ispirato il film Rappresaglia, non è un'opera di indagine storica rigorosa e distaccata, è un reportage giornalistico condotto da un determinato angolo visuale. Tocca, se mai, agli storici contestarlo; non ai giudici del tribunale penale di Roma. fi Papa non sapeva? I.Ia c'è un motivo più profondo: che investe l'intera linea del Vaticano sul nodo dei rapporti fra Pio XII e il nazismo, rapporti di obbligata e amara convivenza sulla base di una certa politica, la politica volta a scongiurare il peggio. Qual è la tesi del libro di Katz, riprodotta con qualche deformazione e accentuazione, assolutamente non necessarie, nel film di Ponti e di Kosmatos? Che il Papa non compì nessun vero intervento in difesa delle vittime predestinate, pure essendo al corrente dell'iniziativa della rappresaglia. Per la verità Robert Katz, nel libro, non è preciso; non porta testimonianze definitive ma avanza ipotesi di lavoro, legate all'interpretazione di questa o di quella frase, di questo o di quel gesto. Nella prima seduta del processo, rinviato al 12 febbraio, lo scrittore americano ha annunciato documenti esplosivi: vedremo. Allo stato degli atti il suo testo — a parte le dilatazioni del film — si fonda su dati risaputi dagli storici ma non definitivi: i contatti fra Dollmann e padre Pfeiffer, il generale dei Salvatoriani romani, tramite fra il Papa e i comandanti nazisti per attenuare le sofferenze della città; i tentativi, non ignoti, dell'ambasciatore tedesco in Vaticano Von Weizsàcker, un frammento del mondo di Von Papen, volto a influenzare in senso moderatore Kesselring e forse Canaris (il capo di quel controspionaggio tedesco che pure contatti, e quali contatti!, aveva avuto fin dal '39 con Pio XII in senso anti-nazista); una frase di monsignor Giovannetti sulle conseguenze negative dell'attentato di via Rasella circa le trattative in atto, già abbastanza difficili, per la proclamazione di Roma città aperta. Un obiettivo che stava particolarmente a cuore a papa Pacelli. E' nota la tesi della controparte, la marchesa Rossignani (ma non i nipoti diretti di papa Pacelli, rimasti estranei alla vertenza): il Papa non sapeva niente e quindi non poteva intervenire. In questi termini il problema è mal posto. Quello che eventualmente il Papa non sapeva, poteva intuire. Dopo le esperienze dei primi mesi dell'occupazione tedesca, e dopo altri passi — taluni con qualche esito — compiuti dal Vaticano, una spietata rappresaglia tedesca, a parte le percentuali delle vittime, era più che prevedibile, era scontata. L'ingenua e teatrale proposta di Dollmann, un grande funerale espiatorio, avanzata dal colonnello tedesco a padre Pfeiffer, e come tale cor nosciuta da Pio XII, non poteva certo scongiurare un'iSiziativa del comando supremo di Hitler. Lo stesso corsivo dell'Osservatore .Romano, uscito il giorno 24 marzo, e cioè prima della comunicazione della strage delle Ardeatine, confermava le paure del Vaticano per qualcosa di mo¬ struoso da parte nazista. Se invitava con tanta insistenza la popolazione civile a evitare il « bis » di attentati tipo via Rasella e quasi bollava i responsabili degli attentati stessi. Tutto fa ritenere che il Papa non abbia conosciuto i particolari della rappresaglia decisa da Hitler, cioè la proporzione dieci a uno, se è vero — com'è vero — che non li conobbe neppure Dollmann, l'eminenza grigia di Roma nazista, e non li conobbe il comandante supremo delle SS in Italia e futuro negoziatore della resa germanica, Wolff. Ma tutto fa egualmente ritenere che il Vaticano fosse a conoscenza di una minaccia terribile gravante sulla città (fra l'altro c'era il piano, noto a Wolff, di deportare l'intera popolazione maschile della capitale) e si accingesse ad operare secondo la linea del negoziato che era cara a Pio XII, secondo la sua fede strenua, anche se così scarsamente corrisposta dai fatti, nella diplomazia, nel richiamo ai patti e alle norme scritte. Non ce ne fu neanche il tempo! Tragico marzo del '44 In realtà la politica di Pio XII si inquadra, pure nella tragica svolta del marzo 1944, in un contesto preciso: non offrire nessuna occasione e nessun pretesto all'altra parte, alla parte nazista, per un rincrudimento delle misure di vigilanza e di prevenzione cui erano già sottoposti i cattolici tedeschi, polacchi e di tutte le zone invase dal Reich. Evitare il peggio, insomma; salvare il salvabile. Filo-nazista, no: lo ha dimostrato il recente libro di Engels-Janosi. Preoccupato delle rappresaglie o delle ritorsioni personali, neanche: per le non poche prove di coraggio fisico offerte a suo tempo in Baviera. Ma fermo nella politica dei concordati, nella ossessione della legge scritta, nell'ossequio alla tradizione diplomatica anche quando tutto franava intomo, norme, consuetudini, regole scritte e non scritte. Dollmann ha dimostrato che, se Pio XII avesse scomunicato Hitler o comunque rotto i rapporti diplomatici tenacemente mantenuti col Reich hitleriano, la deportazione sarebbe stata immediata, la residenza del prigioniero già scelta, il Liechtenstein. Del resto un piano per l'arresto del Papa era stato già studiato al quartier generale di Hitler dopo il 25 luglio del 1943. Il culto delle memorie napoleoniche doveva operare molto sul dittatore, che aveva perfino scelta la ricorrenza bonapartista del 22 giugno per l'attacco alla Russia... Ma la concezione politica di papa Pacelli si opponeva a quella parola di fuoco molto più di un terrore fisico, ignoto all'uomo. Capo della comunità cattolica non meno che capo dello Stato vaticano, Pio XII non si senti mai di abbandonare il punto di forza della sua legittimità, che si identifica coi palazzi apostolici, a così breve distanza dal Concordato con l'Italia fascista e senza che mai fosse stato denunciato quello con la Germania nazista. E' un problema più grosso di qualunque magistrato del tribunale di Roma, o di qualunque tribunale del mondo. E' un problema che si perde nei meandri dell'anima e che richiederebbe, prima ancora che un grande storico, un grandissimo studioso della psicologia umana! La magistratura, proprio, non c'entra. Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Baviera, Germania, Italia, Roma, Russia