Influenza della tv sui nostri ragazzi

Influenza della tv sui nostri ragazzi Influenza della tv sui nostri ragazzi Bilancio poco rassicurante di uno studio della Rai Lo spettatore è "passivo", si dice, senza stimoli La prima generazione «televisiva» è ormai maggiorenne. Nata e cresciuta nell'azzurrognola luce del familiare schermo, la biografia psicologica di questi giovani dovrebbe essere disastrosa, almeno se i giudizi di un nutrito gruppo di esperti dovessero risultare validi. Per ora è di rigore il condizionale: ancora nessuno ha infatti sottoposto questa generazione a un sistematico esame per appurare le influenze subite da mia massiccia dose di Tivù. Abbiamo però un recente studio del servizio opinioni della Rai-Radiotelevisione italiana, dal titolo Televisione e bambini che butta una luce tutt'altro che rassicurante sull'argomento. L'oggetto della ricerca gravita intorno a una serie di interrogativi, primo fra tutti se il mezzo televisivo agisca come «fattore mutilante l'originalità e la creatività» e se «induca alla passività e impoverisca l'elaborazione immaginativa» dei bambini. Preoccupazione largamente condivisa dalle famiglie. Al mezzo televisivo vengono imputate molte colpe, pur riconoscendogli il non trascurabile merito di aver promosso una larga diffusione dì informazioni. Ma ha un vizio d'origine: per il suo alto potè- re di suggestione e per la tendenza a rendere passivo il giovane spettatore, impedisce qualsiasi scambio di idee, di emozioni e di cultura: è insomma a senso unico. «Il ragazzo sa già, quando inizia la fruizione dei messaggio, che a lui non è chiesto che di essere muto spettatore, passivo ricettore». «La televisione — dice un regista intervistato — è come un bravo insegnante che "sa tutto", che non commette mai errori». Ad essa il ragazzo si abbandona fiducioso, senza critiche e ribellioni: un prolungamento, insomma, della gestazione pre-natale, dove le fantasie infantili si cristallizzano, anziché evolvere verso traguardi di maturità. E i contenuti? «Ipocritamente troppo tranquilli dal punto di vista sociale», è l'opinione di un sociologo. «Generalmente la televisione sembra impostare i suoi prò grammi ideali sulla base di un ragazzo ideale». E' staccata, quindi, dalla realtà, rileva un giornalista. «Spesso si preoccupa, come fa la maestra di scuola con i suoi allievi, di spiegare bene la lezione, di bombardare il più a lungo possibile nozionisticamente», dice un regista. La pigrizia imitativa è alimentata da programmi apparentemente innocui. «Carosello perché è diseducativo? — si chiede uno scrittore — Perché propone dei prototipi imponendoli autoritariamente al ragazzo». Ma non sfugge alla critica neppure Pippi Calzelunghe: «Quella è proprio la magia applicata alla vita contemporanea. Sollecita solo a sognare in maniera sbagliata, perché poi la vicenda non trova agganci nella vita reale». La competizione, l'aggressività e l'etica del successo stanno alla base di molti programmi apparentemente educativi, come «Chissà chi lo sa?». «Ecco quindi che la televisione non fa altro che riproporre al figlio gli stessi modelli ben sperimentati del padre, quotidianamente costretto a competere per emergere gerarchicamente», è il parere di un pedagogista. Il divismo, il mito del successo, il personaggio-divo dalle facoltà carismatiche, infarcisce ancora molti programmi per ragazzi, favorendo «la dinamica di identificazione proiettiva nei confronti di un cape». Quali le alternative proposte? «Distruggere i modelli per sostituirli con gli stimoli», evitare cioè di presentare un problema con la relativa soluzione, ma lasciare una possibilità di partecipazione creativa al ragazzo. Evitare inoltre di presentare comportamenti «tipo» come gli unici validi per tutti. «Un ottimo addestramento alla creatività — dice un pedagogista — sarebbe l'acquisizione da parte del ragazzo della capacità di mettere in discussione gli stessi modelli che sta vedendo». In attesa che i programmi tv facciano proprie le critiche, si possono incominciare ad applicare i suggerimenti del pedagogista, già in famiglia. Aida Ribero

Persone citate: Aida Ribero, Pippi Calzelunghe