I leninismi immaginari di Raymond Aron

I leninismi immaginari I leninismi immaginari Esistono anche i leninismi immaginari, come i marxismes imaginaires di Raymond Aron. Alcune interpretazioni di Lenin, illustrate per il cinquantenario della sua morte, sono ingegnose e insieme sincere, ma stupefacenti. I gruppuscoli studenteschi vedono un Lenin a loro immagine. Lo vedono nascere, e questo è lecito, dalle nebbie ideologiche e romantiche della Russia di quegli studenti, che già un secolo fa proclamavano con perfetta sicurezza l'« inutilità » della Madonna Sistina di Raffaello, sdegnando e superando a sinistra i maestri. In Padri e figli di Turgenev, come nei Demoni di Dostoevskij, era già il ritratto di quella generazione nichilista che Trockij analizzò poi in termini sociologici: « Figli di preti, di sottufficiali, di modesti funzionari, di mercanti, di nobili decaduti, qualche volta di piccoli borghesi e di contadini, studenti, seminaristi, maestri elementari, erano in una parola i raznocincy, i declassati, gli intellettuali senza rango, che precisamente a partire da quest'epoca concepirono l'idea di dirigere le sorti del Paese. La ribalta era occupata di colpo da una generazione protestataria e il termine studente diveniva per lunghi anni sinonimo popolare del nome inventato con successo da Turgenev: «nichilista». Così fu quel fratello di Lenin, Aleksandr, che venne fucilato per terrorismo; un po' meno cosi fu Lenin studente a Kazan e Samara. Ma Lenin adulto non è Bakunin, non esorta: « Buttiamoci nei tumulti dei briganti e dei contadini, lasciate quelle Università e quelle scuole ». Invece Lenin ordina: « Studiare, studiare, studiare », com'è scritto da cinquant'anni sulle facciate di tutte le scuole tra Brest e la Chukotka. «Ucit'sja, ucit'sja, ucit'sja». E Lenin al potere fu spietato con gli « spontaneisti », i nichilisti, gli ultrarivoluzionari. Se per qualche mese dove sopportare la demagogia egualitaria, la discussione petulante, la « dittatura del proletariato » intesa alla lettera, impose poi con mano di ferro la ragion di Stato, il realismo di cemento armato, persino la controrivoluzione: « Con una mano diamo e con l'altra riprendiamo ». Fu allora che la figura di Lenin emerse in tutta la sua complessità, per chiarire al massimo grado la nozione storica che « grande rivoluzionario » è chi ha guidato una rivoluzione e poi l'ha domata. Fra i marinai del Baltico, Dybenko non aveva offerto seriamente ai cosacchi di scambiare Lenin con Kerenskij? Mentre dalle masse veniva respinta la stessa idea che ci potessero essere ordini, la rivoluzione poteva fallire avendo sprigionato dal fondo della Russia troppe turbolenze. Il « lastrone di ghiaccio » fu prossimo a sprofondare infatti sotto il peso di socialisti rivoluzionari, menscevichi, bolscevichi, anarchici dal nero vessillo, rivoluzionari infantili, terroristi, briganti, generali « bianchi », alaman ucraini, principi, « diciassettisti » d'ogni setta. Lenin ripristinò la pena di morte per le violazioni disciplinari, e volle una polizia segreta — la Ceka — più efficiente dell'Ochrana zarista. Derise le utopie dell'autogestione operaia, impose l'obbedienza tecnica e amministrativa, stroncò l'assemblearismo e l'abuso degli scioperi, ordinò di « purgare la Russia da ogni sorta d'insetti nocivi », proclamò la sua ammirazione per l'abilità dei capitalisti a « far marciare le cose ». (Ancora al congresso del '22, l'ultimo al quale prese parte, arrivò a dire: « I capitalisti sapevano come si producono i beni e voi non lo sapete »). Quella fu l'origine della nuova autocrazia russa, provocata anche dall'ultrasinistra, e insieme l'origine del capitalismo di Stato sovietico. E quella fu l'immagine di Lenin, che i gruppuscoli scrutano adesso capovolta. Ogni contestazione ha diritto a scegliersi un'ascendenza storica. Ma perché in questo caso la rivoluzione bolscevica, e non la « crociata dei bambini »? La leggenda è suggestiva, per esempio, nelle parole di Jorge Luis Borges: « Agli inizi del Duecento, partirono dalla Germania e dalla Francia due spedizioni di bambini. Erano persuasi di riuscire a traversare i mari a piedi asciutti. Non li autorizzavano forse, e proteggevano, le parole del Vangelo: " Lasciate i piccoli venire a me, non glielo vietate " (Luca 18:16)? Non aveva dichiarato il Signore che basta la fede a muovere una montagna (Matteo 17:20)? Fiduciosi, ignari, felici, si avviarono verso i porti del Sud. Il miracolo previsto non avvenne. Dio permise che la colonna francese venisse catturata da mercanti di schiavi e venduta in Egitto: la tedesca si perse, scomparve divorata da una geografia barbara e (si congettura) da pestilenze. Quod devenerint ignoratur. Dicono che sia rimasta eco nelle tradizioni del Pifferaio Magico ». ★ ★ Altri, per convenienza politica meno ingenua, presentano un Lenin « europeo » e non meno affatturato. Solo da Stalin, « il Gengis Khan che aveva letto Das Kapital », sarebbe nato il dispotismo sovietico. Eppure fu di Lenin la concezione dello « zar-partito »; fu suo il disegno d'uno sviluppo industriale, socialista e dispotico insieme, senza presupposti di tipo « occidentale ». I primi Lager nacquero già con Lenin (Solzenicyn ricorda una verità storica). Egli dettò per primo lo stile di linguaggio bolscevico, quella semplificazione aggressiva e traumatica dell'argomentare, che ancora sopravvive nei partiti comunisti per sospingere a destra o intimidire l'interlocutore. Fu Lenin a schiacciare la Costituente russa, perché i bolscevichi vi erano in minoranza, quando mandò al Palazzo di Tauride il marinaio armato Zheleznjakov a togliere la seduta « perché la guardia è stanca ». Lenin concepì per la Russia, in termini russi, una rude teoria delle élìtes e in pratica una oligarchia di ferro: « Se lo zarismo ha potuto andare avanti per secoli grazie a 130 mila aristocratici, proprietari feudali che mantenevano l'ordine ciascuno nella sua provincia, perché io non dovrei durare qualche decina d'anni, con un partito di 130 mila devoti?». Questa è tuttora, precisamente, l'oligarchia del Pcus, fors'anche necessaria in Russia. Ma è controverso quale messaggio possano offrire alle società occidentali la dottrina di potere e l'icona di Lenin. La stessa città in cui Vladimir Il'ic Ul'janov nacque, la remota Simbirsk, oggi Ul'janovsk, non è che il confine storico dell'Asia nell'angolo tra la Volga e la Svjaga, sulle terre abitate già da ciuvasci, morduini, tartari, dove per ordine dello zar i « grandi russi » giunsero nell'anno in cui l'Inghilterra portava a compimento la Great Revolt (1648), per secoli luogo di rifugio di scismatici, confinati, ribelli a boiardi e voivodi. Laggiù, nel paesaggio delle immani e sanguinose rivolte contadine, da Sten'ka Razin a Emel'jan Pugacev, è il mondo russo di Lenin. Per intendere quel mondo, basterà osservare la processione quotidiana dei pellegrini che da tutte le Russie accorrono in devozione al Mausoleo della Piazza Rossa, dov'è imbalsamata la salma di Lenin; sotto la neve o la pioggia, tuttora dopo mezzo secolo la processione è lunga molti chilometri intorno al Cremlino e ai giardini di Alessandro. Sia tale culto spontaneo, o imposto e disciplinato, rimane che niente di simile si può immaginare in Occidente, se non nell'ambito dei fatti religiosi. Gli stranieri possono reagire con irritazione eccessiva, come chi osserva: « Dinanzi alla maschera pietrificata di Lenin — il piccolo uomo dagli occhi a mandorla sotto la fronte socratica, che voleva dar fuoco al mondo — non si può far a meno di pensare che Ampère, scoprendo l'elettricità, ha trasformato il mondo più di lui ». Ma per essere « leninisti » si deve accettare anche il surrogato di religione: il culto ideologico non consente un beneficio d'inventario. La questione è se un partito occidentale possa dirsi leninista. Che cosa il leninismo abbia a fare con il pensiero critico di Marx, è poi materia di controversie da cinquant'anni. Nella prefazione a Per la critica dell'economia politica, elencando i cinque « modi di produzione », Marx giudicava « asiatico » quello determinato dalla subordinazione di tutti allo Stato e alla classe burocratica: dunque asiatico non è solo il modo di produzione cinese, ma tuttora quello sovieti¬ co. Lenin ha ibridato e russificato Marx in dissidio con la stessa scuola marxistica russa, il cui maestro Plechanov avvertì che se i bolscevichi avessero preso il potere con la forza, saltando i « gradini della storia », avrebbero dovuto praticare il dispotismo più spietato, ottenendo un « socialismo da Impero degli Incas ». Oltre alla russificazione del marxismo, rimane un'ideologia leninista sul modo di conquistare il potere e conservarlo, che ha avuto successi solo fuori delle società occidentali. E rimane una teoria sul futuro dell'«imperialismo capitalista» che urta contro eventi non previsti. Lenin per esempio affermava: « La via per Londra e Parigi passerà attraverso Pechino », e intendeva che la caduta del sistema coloniale avrebbe soffocato l'Occidente, privandolo dei mercati di sbocco e accelerando l'autodistruzione dell'imperialismo. Ma la rivoluzione, passando « attraverso Pechino », sulle rive dell'Ussuri ha dato luogo alla prima contesa armata della storia tra due socialismi, che si accusano di neo-imperialismo. A questo punto, sempre più forte appare dopo mezzo secolo, almeno per l'Occidente, la semplice constatazione di John Maynard Keynes: « Non è necessario discutere le sottigliezze di ciò che autorizza un uomo a imporre con la forza il suo vangelo, basta sapere che non esiste il vangelo ». Alberto Ronchey Lenin, di Levine (Copyright N.Y. Rcvlew of Books. Opero Mundi e per l'Italia La Stampa)