La generazione di Carosello di Luciano Curino

La generazione di Carosello Il nuovo linguaggio della pubblicità La generazione di Carosello I bambini magari combinano poco all'asilo o a scuola, ma parlano già per slogan Lo spettacolo televisivo raggiunge 18 milioni di italiani - L'inflazione dei superlativi La sera del 3 febbraio 1957 debutta Carosello. Oggi una maestra dice: « Se al termine di una spiegazione sono tentata di chiedere: " E' chiaro? ", mi sento rispondere in coro che è limpido ». Gli aggettivi chiaro e limpido sono indissolubilmente legati non tanto perché i due concetti siano vicini, ma perché associati con insistenza da un filmato pubblicitario. Carosello ha diciassette anni, una generazione ha parlato come il pulcino Calimero e Topo Gigio. Ciò che aggancia i più giovani telespettatori è il linguaggio degli spots (scenette) pubblicitari. Breve, conciso, rapido. Gli autori si ingegnano di trovare formule facili da ricordare per le « favole moderne » di ogni sera. Dice un pedagogo: « A tre, cinque anni magari non combinano nulla all'asilo, ma parlano già per slogan, gli slogan appunto della pubblicità televisiva, l'unica grammatica che apprendano senza fatica ». Carosello entra nel diciottesimo anno. Si sente dire che è anemico, che mostra segni di logoramento. L'anno scorso a Cannes, al Festival internazionale del film pubblicitario, erano iscritti circa 1700 film di 32 nazioni, ma non c'era neanche un carosello. Tuttavia lo spettacolo continua ogni sera a raggiungere diciotto milioni di italiani, e c'è sempre chi è disposto a perdere la cena, il treno o l'amante pur di n n perdere le fulminee vicende infantili, amorose, poliziesche, fantastiche e i balletti delle massaie col grembiule e il mestolo di Carosello. Si seguono i raccontini come frammenti di realtà vissuta, modelli concreti ai quali ispirarsi. Nota una esperta, Evelina Tarroni: « L'immagine che la pubblicità ci impone è quella, rassicurante, di un mondo in cui si trova rimedio ad ogni problema, in cui ogni desiderio può essere facilmente soddisfatto, solo che si trovi la via giusta. E ancora: quella di un mondo in cui personaggi potenti e sorridenti si occupano, nell'ombra, di noi e dei nostri problemi. Figure paterne e materne che ci amano e ci proteggono, escogitando dai loro laboratori soluzioni miracolose ad ogni nostra difficoltà ». Altri esperti si sono invece messi dalla parte del pubblico e hanno visto « diseredati senza prestigio, affetti da sventure indicibili e sollecitati da una pubblicità che dice loro senza infingimenti: sciagurati, vedete di uscirne meglio che potete ». Per quanto riguarda il mondo irreale di Carosello, vi è una indagine dell'istituto « Agostino Gemelli » di Milano. Ha analizzato le scenette di quattro mesi ed ha concluso che fra i 118 personaggi di questi «spots» il 47 per cento appartiene alla media borghesia, il 19 è costituito da professionisti o dirigenti, ma vi è un solo operaio e due contadini. Questi modelli umani e sociali sono ribaditi in termini di reddito: il 70 per cento dei personaggi sembra disporre di un reddito medio, il 22 per cento appare decisa mente ricco. Sono personaggi che di solito vivono allegramente e che non si fanno sangue cattivo con astratte meditazioni. Attilio Giovannini, nel suo « Cento precetti nel modo di realizzare Carosello » avverte: « Ogni pre tesa di serietà può nuocere, là dove una certa frivolezza gaia superficialità può costituire il miglior mezzo per attirare l'attenzione ». Insegna ancora Giovannini che « bimbi e animali sono personaggi prediletti dal pubblico Così in pubblicità si fa spesso ricorso a loro, ed anche negli stessi film pubblicitari li abbiamo visti usati con grande dovizia ». Secondo il parere di alcuni psicologi, la rapida ascesa dell'infanzia al potere della pubblicità riflette l'inconscio desiderio degli adulti di ritornare bambini. Tenerissimi bimbi sono sempre più spesso introdotti nei filmati per intenerire le madri, a loro insaputa, beninteso. Carosello ha bisogno di maschietti belli e grassi per borotalchi e omogeneizzati. La raggiante fe licita di un pupo che ha sco perto le delizie di un biscotto o di un formaggio tocca il cuore delle mamme. Ad esse lo speaker si rivolge perentorio « Tu sai che le proteine della carne sono indispensabili per il tuo bambino già dal terzo mese... ». Se non lo sa, povera donna, prova un oscuro senso di colpa. Incalza lo speaker: « La salute futura del tuo bambino si ottiene con la corretta alimentazione nei primi periodi di vita... ». La madre si affretta a prendere nota. I « cover babies », i bambini che posano per la pubblicità, sono usati come scorciatoie per il cuore e la borsa dei papà. Un cherubino che si rotola beato su una moquette, per esempio, fa vendere il giorno dopo chilometri di moquette. Utilizzati anche i ragazzini con simpatica aria birbantella. Si sa, d'altronde, che il 78 per cento dei genitori ammettono che i figli hanno una grande influenza sui loro acquisti. Perciò la presentazione di un prodotto sarà fatta in modo tale che il bimbo o il ragazzino sia conquistato e pesi in seguito sulla decisione dei genitori, più generalmente della madre, al momento della scelta. Il risultato di questa operazione deve essere buono, se Carosello è affollato di bambini, mentre la loro presenza era rara all'inizio, quando la televisione ha aperto il suo schermo alla pubblicità. I « cover babies » si rivolgono ai genitori, ma anche al pubblico infantile, poiché la pubblicità sa bene che il bimbo è il futuro consumatore. Ne «La folla solitaria» Riesman scrive: « La futura occupazione di tutti i bimbi, quale si presenta oggi, è quella di essere consumatori specializzati ». Una larga fetta della popolazione (quella sotto i diciassette anni) è nata e cresciuta nell'epoca caroselliana. Bimbi e ragazzi, che sono stati plasmoniani, quando hanno incominciato a parlare hanno detto: « Voglio il formaggino Mio » con un imperativo prepotente che invano gli educatori disapprovavano. Hanno imparato che il wafer è « frrriabile » e che un buon « cafffè » è appunto quello che ha tre effe. Che « arranciarsi » significa bere aranciata. Bimbi golosi, ma anche intelligenti: dunque, intellighiotti. Sono cresciuti tra soprusi linguistici, innovazioni del lessico, della sintassi, dello stile escogitate dagli esperti pubblicitari, « un linguaggio che si brucia velocemente perché deve continuamente offrire del nuovo » dice Maria Corti, stu diosa del fenomeno. Il ragazzo che ha camminato Pirelli e chi si è vespizzato, fra pochi mesi prenderà la patente e diventerà anche lui un sardomobile. Si¬ cmplErlpSpelr curo di sé, perché ramazzottimista, comunque sa che « c'è per tutti una buona stella », al limite è quella di un salame. E un ragazzo al quale ogni sera sono state raccontate « favole moderne » dove tutto era super e ultra, extra, iper e arci. Se il prefisso si logorava, si provvedeva a irrobustirlo, ed ecco la benzina superissima. E la verdura è diventata verdurissima. La musa pubblicitaria che sempre ha ispirato i messaggi commerciali (Puccini cantava un dentifricio: «L'ode all'Odol», e Camera affermava: « Solo la Necchi può resistermi ») si è appropriata dei gerghi tecnici, dei proverbi e del dialetto, si è avvicinata ai generi letterari e all'endecasillabo. Infine è arrivata al Cantico dei Cantici, alla Genesi e perfino al Decalogo: « Non desiderare la Mini degli altri ». Luciano Curino Grandi e piccoli raccolti davanti al televisore durante il «Carosello» (Foto Team)

Persone citate: Attilio Giovannini, Giovannini, Maria Corti, Necchi, Puccini, Riesman, Tarroni, Topo Gigio

Luoghi citati: Cannes, Milano