A lezione nella scuola del pei di Vittorio Gorresio

A lezione nella scuola del pei INCHIESTA SUL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A lezione nella scuola del pei Il partito ha un vero sistema scolastico, con due istituti centrali a Roma e Como, e numerosi corsi a carattere regionale, provinciale, di sezione: per questi ultimi "sono passati 30 mila compagni dirigenti" - Tutte le categorie sociali sono rappresentate, con una maggioranza relativa di operai: imparano storia, filosofia, politica ed economia - Seri e zelanti, i giovani studenti nulla concedono alla pittoresca esteriorità di abiti e chiome Roma, febbraio. In località. Le Frattocchie, una ventina di chilometri da Roma sulla via Appia, presso Albano, una vecchia villa che prima delia guerra apparteneva a un cittadino tedesco alberga ora l'Istituto di studi comunisti intitolato alla memoria di Palmiro Togliatti. E' un decoroso edificio nel gusto delie villeggiature dell'Ottocento, circondato da un bellissimo giardino; per necessità funzionali gli è stata annessa un'aia nuova dove sono le aule, le stanze di riunioni, il refettorio, i dormitori. L'istituto difatti è una scuola convitto, un po' alla maniera dei colleges inglesi, ed ospita per corsi delia durata da una settimana a quattro mesi giovani dirigenti del partito, delia Fgci, delle organiszazioni sindacali, insieme a sindaci, assessori, consiglieri dei Comuni, delle Province e delle Regioni. Unità dialettica I comunisti italiani sono molto pedagogici. Il direttore dell'istituto, professor Luigi Dama, lungamente mi elenca l'attività istruttiva del partito: oltre alla «Palmiro Togliatti» c'è una seconda scuola centrale dedicata al nome del partigiano Eugenio Curiel a Faggeta Lario presso Como; una regionale a Lecce, per la Puglia; una provinciale a Modena; una interregionale in corso di completamento a Reggio Emilia: « E poi abbiamo un numero sempre crescente di corsi a carattere residenziale e di seminari a livello provinciale, zonale, comunale, di sezione. Il nostro è un vero sistema scolastico. Millecento corsi elementari di sezione: ci sono passati trentamila compagni dirigenti. Dalila scuola di base arriviamo a corsi di ordine e grado superiore, al fine di realizzare sempre meglio quell'unità dialettica fra teoria e pratica, pensiero e azione, che rappresenta il fondamento del metodo marxista... ». Mi complimento con lui passeggiando in giardino, e in cortese ricambio ne ricevo altre cifre: « In sei me- si del 1972, nei corsi, seminari, convegni organizzati da questo istituto sono passati 1025 dirigenti. Nel primo semestre 1973 le presenze sono state 831. In quel di Faggete Lario, "Eugenio Curiel", i frequentatori sono stati 836 nel secondo semestre 1972 e 962 nel primo del 1973. A Lecce, dall'agosto dell'anno passato al giugno scorso, gli alunni di 21 corsi e seminari sono stati 931. Nella scuola modenese di Zocca, 13 corsi con 467 presenti, 288 uomini e 179 donne ». Mi dice ancora Dama che nelle scolaresche del pei le categorie sociali sono tutte rappresentate, con una maggioranza relativa di operai, seguiti nell'ordine da funzionari di partito e di Fgci, impiegati, studenti, insegnanti, ceto medio e disoccupati. Se ora volessi assistere alla riunione conclusiva di un corso, e passare qui la giornata intrattenendomi con gli allievi e i maestri, sarei un osservatore borghese gradito. I comunisti sono anche ospitali: « E poi — afferma Dama — non abbiamo niente da nascondere ». Assisto, quindi, e mi intrattengo e mi interesso. E' arrivato al suo termine un corso di quattro mesi su temi storici, politici, filosofici, di economia politica e di politica economica. Oggi gli allievi (era una mattinata della fine di novembre) sono invitati a parlare su un argomento di loro scelta, e in genere parlano bene, con una certa sicurezza da insegnanti, ma con molto rispetto per i compagni ascoltatori, dicendo spesso con opportuna umiltà: « Io penso », « A mio giudizio » eccetera. Tendono a storicizzare le vicende politiche italiane dal 1943 ai giorni nostri — come più anziani di loro farebbero per il Risorgimento, ad esempio — tutti tremendamente pronti ad interpretare gli avvenimenti. Se la loro cultura si rivela talvolta modesta, in compenso è tranquilla. Giovani tutti — dai dìciott'anni di Paolo Mingorì, segretario provinciale della Fgci di Parma, ai trentanove di Giorgio Canciani, operaio e consigliere comunale di Trieste — mi viene fatto di domandarmi se essi rappresentino fedelmente le fresche generazioni italiane anche dai punto di vista delle esteriorità. Non fanno alcuna concessione, per cominciare, al genere pittoresco: su trenta che sono, vedo solo tre barbe e due paia di baffi. Nessuno è capellone, e se hanno chiome rigogliose, come usa, le tengono ben pettinate. Vestono maglioni, ma non stravaganti, e in ogni modo anche giacchette su camicie con cravatta; c'è insomma un tono di civile sobrietà. Questi alunni che parlano tengono piccole conferenze puntigliose, citando a braccio le conclusioni dei congressi del pei o la bibliografia suggerita dalia scuola, con la medesima disinvoltura che mettono gli avvocati nel riferirsi alla giurisprudenza e i sacerdoti ai vangeli. Fanno un poco paura, sembrano strani, forse anche perché non parlano difficile, e le loro citazioni non sono a fine di ornamento, ma quasi una ricerca del significato delie parole: ne deriva una serie di interrogativi a catena che angosciosamente non finiscono mai. "Approfondire" Il più anziano degli intervenuti, Giorgio Canciani di Trieste, ha «approfondito» (approfondire è un termine sul quale insiste molto la pedagogia comunista) il vecchio tema dei rapporti fra comunisti italiani e sloveni. Non esitando a bollare i iugoslavi di nazionalismo e sciovinismo, ha ammesso tuttavia che l'espulsione di Belgrado dal Cominform è stata pagata cara. Parlava con bellissima sintassi, tutti i periodi ben chiusi, saldati l'uno all'altro, un vocabolario molto ricco e preciso. Titolo di studio, terza avviamento, operatone d'aspetto, le maniche del maglione scuro rimboccate: e se le traeva ancora in alto verso i gomiti quando batteva la mano pesante sui tavolo; stringeva sempre il pugno alzando il pollice nel dire: « Uno ». Parlava di rapporti fra i diversi partiti fratelli. Al vertice del partito la politica estera del pei è garantita autonoma: come esponenti della base Canciani e gli altiri mostravano verso l'Urss e i restanti Paesi socialisti appunto quella « simpatia critica » di cui mi aveva parlato il senatore Pecchioli. Dopo Canciani ho difattì sentito Angelo Fredda, un romano di ventisette anni, membro del comitato direttivo della federazione comunista della capitale, titolo di terza media, assomigliante a Mazzini giovane. Capelli e barba di colore ramato scuro, ben pettinati gli unì e l'altra, tutto minuto, acchittatello in una bella giacchetta di velluto marrone, egli era severo nel giudizio sul patto RìbbentropMolotov del 1939: « Ne sono stati messi in difficoltà tutti i partiti comunisti del mondo, a cominciare da quello francese che non avendo capito il carattere nazionale della guerra pagò duro, nel senso che De Gaulle riuscì ad egemonizzare la Resistenza, li fatto — ammise Fredda a questo punto — è che la borghesia francese le rivoluzioni le fa. Forse è per questo che noi pei abbiamo pagato meno in Italia». Questa la critica; seguivano la simpatia e la comprensione: «Certo è che l'Urss volle difendersi, ma anche nel nostro interesse». Poi tornava la critica: « Noi non possiamo darle torto, ma non ci dobbiamo nascondere i risvolti negativi. C'è stata una meccanica trasposizione dello Stato sovietico sull'internazionale comunista ed è stata una cosa che ha pesato con gravi conseguenze. Perciò riconosciamo che il nostro stesso processo inter¬ nazionalista è tutt'altro che lineare, ed anzi è ricco di sconfitte. Purtroppo, è un fatto che le nostre battaglie vanno sempre benissimo, ma noi non sempre sappiamo collegarle l'una con l'altra». A questo punto mi toccherebbe citare molti altri ma lo spazio non basta ed è meglio tentare qualche conclusione sui modi tenuti dal pei per indottrinare i suoi dirigenti di base. Prima di tutto li correda di una bibliografia di livello universitario dove gli autori comunisti figurano nella buona e larga compagnia di economisti come Einaudi, Ruffolo, Galbraith, Sweezy, Di Fenizio; di storici come Chabod, E. H. Carr, Nino Valeri, A. J. P. Taylor, Leo Valloni, Mack Smith, Salvatorelli e Mira, Mario Vinciguerra. Non mancano fascisti come Gentile, Ercole, Volpe, Volpicela, Spirito, e critici di oggi come Giorgio Bocca e Giorgio Galli. Tra gli anziani c'è Salandra, Nitti, Sturzo, Jacini; De Rosa fa testo per la storia dei cattolici italiani; fra i meridionalisti Virgilio Titone e Francesco Compagna e il primo presidente dell'Enel, il democristiano professor Dì Cagno. «Questa è la prova del nostro pluralismo culturale perché non ammettiamo nessuna esclusività a favore di nessuna scuola, nemmeno di quella marxista. Non si arriva alla conoscenza se non tenendo conto di tutte le componenti del pensiero », mi aveva detto un giorno l'onorevole Giorgio Napolitano. Sarà una prova, sarà una presunzione, una petizione di princìpio; io non so emettere sentenze. Comunque il fatto è che i comunisti studiano e che spen¬ dono per imparare, e questo è uno dei motivi dell'orgoglio che essi ostentano, e che ad alcuni dà tanto fastidio. Vittorio Gorresio Con stampe e fotografie Roma. Giovani funzionari nella sede centrale del pei in via delle Botteghe Oscure (Foto Team)