Belle che sorridono dal muro di Luciano Curino

Belle che sorridono dal muro Sta cambiando qualcosa nella moderna pubblicità Belle che sorridono dal muro La donna-manifesto sta in agguato per catturare clienti - In passato s'era gradualmente spogliata, ma ora tende a rivestirsi - Inoltre le femministe si sono scatenate contro la pubblicità che usa la donna come oggetto La «donna del manifesto» sta in agguato del passante consumatore, più o meno svestita reclamizza qualsiasi cosa. Pare che non si possa vendere nulla senza la pubblicità basata sul corpo della donna, anche per proporre un brandy sembra necessario servirsi dell'ombelico. Forse soltanto nei manifesti delle corride e in quelli della chiamata alle armi non appaiono donne spogliate. C'era già pubblicità « nature » all'inizio del secolo, quando la Scienza era identificata in una donna prosperosa che anticipava il «topless» e la Gloria non aveva veli. Gli uomini traforavano il Sempione assolutamente nudi. Poi si rivestirono, le donne vi apparvero pudiche. Eppure le belle signore longilinee di Dudovich, con il boa e gonne fascianti fino alla caviglia, esprimevano una straripante femminilità. E la cur¬ va della gamba che appariva sotto una gonna mossa dal vento, muoveva la fantasia. Nelle strade non si videro più seni fino agli Anni Trenta, e furono quelli della florida fanciulla dei manifesti della Paglieri. (La censura le impose sul busto una ghirlanda hawaiiana, comunque il manifesto originale resistette abbastanza da essere ricordato oggi da chi ha superato i quarantacinque anni). Poi, per un po' di tempo, sui muti si videro soltanto i manifesti « taci, il nemico ti ascolta » e i proclami « bilingui » di Kesselring. Vennero gli americani con le «pin up gires» e le ragazze della cocacola, vestite sì, ma con robetta leggera e con una gran voglia di sfilarsela di dosso. Infatti, abbiamo assistito attraverso la pubblicità a una sorta di « strip tease »: via via la ragazza del manifesto si sbarazza di qualche indumento. L'uso di una bella signorina svestita, dapprima riservato ai fabbricanti di materassi o di saponette o di oli solari, viene utilizzato per scopi che hanno poco a che fare con l'argomento trattato. Per accessori d'auto, per un dopobarba o per una collana di libri gialli. Playboy è ancora « censurato », ma già il seno è diventato un punto di forza della pubblicità e la figura femminile viene rivelata fino al limite dell'osabile. Sull'attrattiva del sesso per fare presa sugli acquirenti sono stati scritti volumi e alcune tesi di laurea. Si direbbe che il sesso, come marchio di fabbrica, garantisca il prodotto. Dicono i pubblicitari a giustificazione: « Viviamo in un'epoca frettolosa e distratta. Come catturare lo sguardo dell'uomo della strada o dell'automobilista in corsa senza ricorrere a que- sti artifici? ». Ma il titolare di uno studio di pubblicità ammette: « Ci si illude che il nudo sbandierato sui manifesti sia una conquista. Nella realtà si tratta solo di un "contentino", che può appagare la vista per un attimo, ma che distoglie da altri problemi. Il nudo in pubblicità non significa libertà alcuna. E questo proprio perché distrae l'occhio, con lo scopo ben prec'so di distogliere l'attenzione. E il grave è che ci riesce ». Per qualche anno il manifesto sexy piace e indigna, entusiasma e offende. Poi lascia abbastanza indifferenti. Ormai nemmeno i ragazzini e i <<voyeurs» gli danno troppa attenzione. Perché, nonostante certe arditezze, la donna del manifesto è diventata «asettica», immagine-simbolo di una donna che non ha più segreti, «sempre più disponibile e perciò stesso sempre meno appetibile » afferma un esperto di pubblicità, Guido Guarda. E il settimanale francese Aris, rilevando l'indifferenza del pubblico per queste audaci immagini, scrive: « Di là dalle gambe slanciate, dai seni offerti, dalle labbra promesse, le donne non hanno più alcun significato. Sono la "donna" ridotta alla sua sola apparenza ». Si direbbe, però, che ci sia un ripensamento. Se si eccettuano i manifesti dei film, sembra che la donna pubblicitaria incominci a rivestirsi. C'è ancora quella che esce dal bagnoschiuma e quell'altra che ostenta il collant, ma sempre più spesso si incontrano massaie con il grembiule da cucina. Donne non necessariamente giovani e belle, ma giudiziose negli acquisti e battagliere nel difendere il fustino di un certo detersivo contro chi vuole toglierglielo in cambio di due fustini di un detersivo anonimo. Comunque, secondo gli esperti che hanno studiato il problema, l'immagine standard è quella della « donna giovane, abbastanza sofisticata, abbastanza casalinga, sufficientemente danarosa, di ceto borghese ». La sua cultura è davvero superiore alla media, poiché è in grado di capire che cosa significa «detersivo biologico a base di enzimi ». Quante altre donne sanno che co: sono gli enzimi e quali sono 'e loro proprietà? Di solito la donna pubblicitaria è felice, ma apita di vederla incontentabile e piagnucolando chiedere futilità. Come quella che lamenta: «E' stato carino regalarmi una Rolls Royce, ma se davvero mi amasse non dimenticherebbe così spesso di comprarmi... » e qui il nome di un dolcetto. Le belle, vestite o no, che sorridono dal muro e dai giornali e rotocalchi, e il vangelo della massaia « secondo Carosello » fanno impazzire di rabbia le contestatrici della pubblicità. Qualche mese fa la contestazione femminile ha scatenato un'offensiva contro la pubblicità stradale. Di notte, in tutte le città, le donne che sorridevano dai manifesti sono state imbavagliate da striscioline gialle incollate da attiviste. Striscioline anche su certe attraenti parti del corpo femminile. Sulle strisce c'era scritto: « Questo manifesto sfrutta e oltraggia la donna ». Dicono le contestatrici: «Facciamola finita con questa abitudine di trattarci come oggetti. Non vogliamo più apparire come messaline discinte o placide massaie per far vendere una moto o carta da parati. Non siamo della merce e non vogliamo essere sfruttate per vendere della merce». Il rigore delle femministe è forse eccessivo, in quanto, si afferma « la pubbli- ata stimola, ma non stordisce: si limita a prendere atto della situazione e a perseguire i propri fini». Aggiungono i pubblicitari che la « donna del manifesto » non è un'esca né uno strumento adesca torio, ma « una collega che parla ad altre colleghe». Poiché il mercato dei compratori è composto in prevalenza dal sesso femminile, la bella della pubblicità si rivolge alle donne più che agli uomini. Se poi anche questi mostrano interesse, tanto meglio: quando mai gli uomini non hanno guardato una bella ragazza? Dopo la contestazione delle femministe, la pubblicità ha sollecitato un sondaggio intorno ai soggetti che hanno maggior presa: la donna è risultata «soggetto di maggior efficacia» (seguita dall'impiego di bambini, fumetti, animali, canzonette) nel polarizzare l'attenzione del pubblico, maschile e anche femminile. E' normale. Sarebbe invece sconcertante se un giorno il pubblico dicesse di preferire Linus o un cucciolo oppure una canzonetta a una donna graziosa. Luciano Curino Un cartellone contestato. Sulle strisce è scritto: « Questa pubblicità offende la donna »

Persone citate: Aris, Dudovich, Guido Guarda, Kesselring