Cuba e Usa di Mimmo Candito

Cuba e Usa Cuba e Usa II viaggio di Breznev all'Avana conferma indirettamente la notizia che un dialogo è in corso per la ripresa delle relazioni diplomatiche tra gli Usa e la isla de la libertad. Che questo possa essere valutato come un tradimento della « solidaridad Continental » della rivoluzione cubana, è sicuramente troppo. Piuttosto « è l'evoluzione del quadro intemazionale a consigliare scelte e comportamenti forse meno rigidi ma che non tradiscono comunque i principi della nostra rivoluzione »: come dicono in molti a Cuba. Indubbiamente, qualcosa cambia in America Latina. C'è stata la brutta storia del Cile, e tutti hanno guardato a Washington. A ragione o a torto, ma era la fine d'una illusione: che cioè la teoria delle zone d'influenza non valesse del tutto per l'emisfero sudamericano. Con il « golpe » di Bordaberry a Montevideo e le speranze troncate dell'Assemblea popolare di La Paz, le ipotesi d'una trasformazione riformistica sembrano per ora ben accantonate; cosi come ormai da tempo falliti s'erano mostrati i tentativi di « esportare la rivoluzione », a Caracas, a Bogotà o sull'altipiano gelido della Bolivia. Non c'è posto migliore di Cuba, per misurare il significato di tutto questo. E l'avvio d'un dialogo « con los yanquis », sia pure ancora tra smentite e reticenze, è già una risposta. A cominciare è stato Kissinger, che in una conferenza stampa di qualche settimana fa ha dato a vedere un tono insolitamente morbido nei confronti dell'Avana. La cosa non è sfuggita ai cubani. Subito l'ambasciatore in Messico, il cortese e abile Fernando Lopez Muino, ha detto esplicitamente che il suo governo « è pronto a discutere », se Washington revoca l'appoggio all'embargo decretato contro Cuba nel 1964 dall'Osa. La tattica diplomatica dell'Avana risulta chiara: dimostrare una minore intransigenza e sfruttare i risentimenti dei Paesi sudamericani verso gli Usa, per convincere Washington a rivedere la propria politica nell'emisfero. « Kissinger — dicono gli osservatori delle ambasciate occidentali — sa che la rivoluzione cubana è ormai una realtà da accettare, così come ha accettato l'Urss e la Cina ». I politici cubani reagiscono senza irritazione: « Cuba non abbandonerà mai la lotta all'imperialismo nordamericano, né dimentica la sua offerta di solidarietà ai popoli fratelli in lotta. Se però gli Usa vengono in amicizia, avranno amicizia ». La base americana di Guantanamo non è considerata ostacolo insormontabile: « Non ne facciamo un problema di principio, non ha alcuna importanza strategica per Cuba. E* un problema da risolvere nel quadro dell'aggressione imperialista a tutto il continente ». Ma all'Avana circola un piccolo volume: Cuantanamo, base yanqui de crimen y asesinos. Le parole e fatti, insomma. Gli Stati Uniti appaiono già pronti a modificare la loro politica. Non mancano i contrasti, naturalmente, e non è un caso che proprio in questi giorni sia apparsa su Esquire la rivelazione che la presidenza Johnson aveva progettato d'invadere Cuba e di far uccidere Fidel Castro. Qualcuno è contrario, dunque, e cerca di creare polemiche, ma molte grosse industrie statunitensi (Ford e General Motors in testa) hanno già chiesto la « licenza d'esportazione » verso Cuba. E a chiarire le cose, l'altro ieri la John Kennedy Library ha pubblicato un memorandum segreto che Thcodore Sorensen aveva preparato per l'allora presidente Kennedy sulla faccenda dei missili a Cuba: Sorensen alleluiava che le testate nucleari sull'isola dei Caraibi non alteravano allatto il rapporto di forza militare con l'Urss, erano solo un problema politico. L'attuale « santa alleanza » con Mosca — questo è il senso di quel documento letto oggi — rende ormai superabile il problema della presenza d'una base socialista a 90 miglia da Miami. Dalla parte di Cuba, il problema è in termini ancora più semplici. Assorbita la delusione della « zafra gigante » e stabilita una maggiore ortodossia nei programmi d'investimento, l'isola oggi ha superato una parte delle sue difficoltà economiche, ma, come ha ricordato Castro al recente congresso dei sindacati, « hay muchos ejemplos que nos demuestran que todavia no estamos preparados para vivir en el comunismo ». E' un problema di coscienza politica, ma è anche un problema di risorse, di ricchezze da utilizzare in modo diverso. L'embargo è un grosso peso per l'economia cubana, che deve accollarsi le spese del trasporto delle importazioni dal lontano Est europeo. Prima, la maggior parte dei suoi traffici erano con i vicini Paesi del Nord e Suchimerica, con una ridotta incidenza dei trasporti. Se sparirà l'embargo, sarà perciò una vittoria del comandante Fidel; vittoria politica ed economica. Ma qual è prezzo reale di questa vittoria? Oggi, Granma e fuventud Rebelde, i due quotidiani di Cuba, hanno nelle linotypes una lettera in più: la svastica, che sostituisce sempre la « X » nel nome di Nixon. Quando il presidente nordamericano ritroverà il suo « vero » nome, dovremo chiederci cosa sarà cambiato non solo a Cuba, ma a Montevideo, e a La Paz, e Brasilia, Santiago, Bogotà. Mimmo Candito