Arduo riscoprire i tesori di Pompei di Remo Lugli

Arduo riscoprire i tesori di Pompei Come difendere il patrimonio artistico Arduo riscoprire i tesori di Pompei Gli scavi procedono lentamente, a colpi di badile - Le sovvenzioni del governo non 'bastano - I "tombaroli" si ritengono dei benemeriti anche se i pezzi trovati finiscono ai privati (Dal nostro inviato speciale) Pompei, 28 gennaio. Gli autocarri continuano a portar via terra e lapilli, di tanto in tanto le transenne e gli steccati vengono spostati, il pubblico in visita può percorrere un altro pezzetto di strada, una via nuova. Pompei, quella antica, dischiude se stessa e i propri tesori a poco a poco. Il giro delle mura è noto, comprende un'area d*. 66 ettari, ma finora soltanto i tre quinti della città sono stati tratti alla luce, gli altri due quinti sono ancora sotto i lapilli vomitati dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo e sotto il terreno alluvionale che si è riversato sopra in epoche successive. Gli scavi procedono lentamente, bisogna lavorare non di pala meccanica, ma di badile, palata su palata, facendo attenzione di non rompere nulla. E cosi, piano piano, riemergono muri, colonnati, cortili, vestiboli, fontane, statue. Ogni immagine nuova di questa antica città che risorge, che si risveglia dal suo lungo sonno, è carica di emozione. Il fascino di Pompei è sempre vivo, percorre il mondo e da ogni parte fa accorrere gente desiderosa di ammirare estasiata luoghi e cose che ci sono restituiti con un colpo di spugna — lo scavo — il quale cancella all'istante quasi duemila anni. Nel '73 i visitatori sono stati un milione e duecentomila. Si scava dal 1748 (a Ercolano dal 1738), con tecniche e metodi che sono andati via via mutando con il mutare del livello culturale e delle sue esigenze. Un tempo si cercavano oggetti, non si teneva conto dei ruderi che, magari, venivano riseppelliti. Ora gli scavi procedono con una visione più ampia: non si cerca solo l'opera d'arte, si tengono presenti i problemi storici, economici, sociali, geologici, naturalistici, in modo da ricostruire tutto il modo di vita dei pompeiani del 79 dopo Cristo. «Una indagine siffatta — dice il professor Alfonso De Franciscis, soprintendente alle Antichità di Napoli e Caserta — comporta necessariamente molta lentezza. D'altra parte nemmeno i mezzi finanziari di cui disponiamo ci consentirebbero di procedere più celermente. Il ministero della Pubblica Istruzione ci assegna 200-300 milioni all'anno per gli scavi da farsi non solo a Pompei, ma in tutto il territorio della Soprintendenza; una cifra analoga l'abbiamo dalla Cassa per il Mezzogiorno. A Pompei lavorano in media una decina di operai per tutto l'anno. Altri nostri scavi sono in corso a Ercolano, Stabia, Torre Annunziata dove sorgeva l'antica Oplontis, tutte zone colpite dall'eruzione del Vesuvio; poi nel territorio Flegreo, a Pozzuoli, Baia, Miseno; e nell'interno della Campania, Capua, Sinnessa, Teano, Cales. A Oplontis è stata messa in luce una villa, la più bella che sì conosca di Quell'epoca, a due piani, con saloni decorati da eccellenti pitture del secondo stile pompeiano ». Oltre a questi interventi sistematici, programmati, la Soprintendenza deve intervenire qua e là dove le escavazioni edilizie o agricole scoprono dei ruderi. «Con gli scavi — dice il professor De Franciscis — procediamo nella misura minima indispensabile. Dobbiamo tener presente la voce manutenzione per la quale sarebbe appena sufficiente una cifra doppia di quella che invece ci serve anche per scavare. Perché non basta portare alla luce, bisogna poi fare opere di conservazione altrimenti muri e pitture in breve tempo di sfaldano, vengono distrutti dagli agenti atmosferici». In passato ogni cosa rinvenuta — sculture, pitture parietali, lucerne, anfore, bacili — veniva portata via, collocata nei musei. Il criterio attuale è diverso: si cerca di rianimare gli ambienti ripristinandoli com'erano in passato. Ci sono ugualmente molte cose che non possono essere lasciate sul posto perché correrebbero troppo rischio d'essere rubate. Di notte sugli antichi selciati di Pompei risuonano i passi delle guardie armate che perlustrano le vie con l'aiuto di cani poliziotti, ma il servizio è scarso e qualche furto avviene ugualmente. Ciò che non può rimanere nelle case pompeiane viene posto nell'«antiquarium» locale che è aperto alla visita dei turisti. E' però ormai insufficiente e il professor De Franciscis vorrebbe costruirne uno nuovo, più capace, che è stato progettato tra la Pompei antica e quella nuova, una costruzione riparata da un dosso che esteticamente non rovinerebbe l'austero paesaggio; la speranza del soprintendente è di ottenere il finanziamento dalla Cassa per il Mezzogiorno, ma per ora pare che i soldi non ci siano. L'opera dello Stato si concentra in queste località più note che sono come isole; in¬ torno c'è il mare abbandonato, deserto, un mare fatto di campi che nascondono sotto le croste superficiali tombe isolate o intere necropoli, regno assoluto degli scavatori clandestini. «Tutta la provincia di Caserta — dice il soprintendente — è una miniera archeologica, ma cosa possiamo fare noi, se non intervenire quando già c'è stata una manomissione di tombe?». I tombaroli sono sempre esistiti. Racconta Pietro Ferrante, 35 anni, che abita a Boscoreale, un paio di chilometri da Pompei: «Nella mia zona, sepolte tra i diciotto e i venticinque metri di profondità, ci sono ville splendide. Nel 1894 un deputato locale trovò vasi d'argento con scene sbalzate: li vendette per 500 mila lire d'allora al museo del Louvre che li pagò a rate e che ora li presenta come un grande tesoro». Riesco a parlare con un tombarolo, fatica a sciogliere la lingua, poi si lascia andare alla polemica con lo Stato: «Noi recuperiamo e vendiamo, così gli oggetti vengono valorizzati, finiscono nelle case a rendere felici degli appassionati. Se un contadino che lavorando la terra ha scoperto qualcosa va ad avvertire i carabinieri anziché noi clandestini, ottiene questo bel risultato: la Soprintendenza preleva gli oggetti, li ammucchia nei depositi dove nessuno li gode e lì paga al contadino con un ritardo di parecchi anni». Spiega il tombarolo che a Stabbia sono state svuotate decine e decine di tombe; ora sono fruttuose altre zone, all'interno, ma, ovviamente, non vuole indicarmele. Nelle tombe, quasi tutte di epoca molto precedente quella della distruzione di Pompei, si trova in genere un corredo funerario che può arrivare persino a sedici vasi. Le tombe ricche di solito sono isolate, quelle povere sono affiancate da molte altre, gli occhi del morto volti verso levante. Chiedo al tombarolo quanti saranno in Campania, gli archeologi clandestini come lui. «Non tanti, poco più di duecento». E', in realtà, un piccolo esercito. In certi periodi dell'anno, quando non ci sono raccolti in piedi o semi sotto le zolle, di notte le campagne di Napoli e di Caserta brulicano di gente che lavora a scavar terra. Quasi mai a mano: si servono delle pale meccaniche, scelgono un appezzamento di 100-200 metri quadrati, vanno in profondità fino a un metro e mezzo al di sotto dei lapilli, la quota delle tombe, poi a mano cercano le pietre tombali che coprivano il feretro. Prima dell'alba la terra è_di nuovo al suo posto. Dice il soprintendente: «Ogni tomba profanata, per noi è una gran perdita, perché ci vengono a mancare tutti quei dati e quegli elementi che servono per la ricostruzione della storia, del costume, della vita di quelle antiche popolazioni». Remo Lugli

Persone citate: Alfonso De Franciscis, Baia, De Franciscis, Pietro Ferrante