«Intolleranza» nuova col dramma del Cile di Massimo Mila

«Intolleranza» nuova col dramma del Cile L'opera di Nono in scena a Firenze «Intolleranza» nuova col dramma del Cile L'esecuzione del complesso di Norimberga - A 12 anni dalla tempestosa "prima" veneziana, molti applausi, blandi contrasti (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 26 gennaio. A oltre dodici anni dall'agitata rappresentazione veneziana, «Intolleranza 1960» ritorna in Italia in panni tedeschi, lievemente ritoccata, e aggiornata per quanto riguarda i testi d'attualità che sono oggetto di una recitazione registrata, parallela all'esecuzione musicale. I nuovi inserti in lingua tedesca di Yaak Karsunke toccano fatti recenti come la tragedia della libertà cilena e lo sciopero dei minatori delle Asturie nel 1970. Questa specie di colonna parlata che si affianca all'esecuzione musicale apre la possibilità d'una specie di aggiornamento perenne, da un decennio all'altro, al quale purtroppo la storia contemporanea non farà mai mancare materiale. La traduzione del bel testo poetico di Angelo Maria Ripellino è dovuta ad Alfred Andersch, e Nono se ne dichiara più che soddisfatto. Per noi è stato uno dei principali motivi di curiosità di questa ripresa sentire come l'opera suona in tedesco. Suona curiosamente più naturale e meno provocatoria. Non si ti atta solo della minor violenza d'impatto con cui il suo messaggio politico colpisce l'ascoltatore, per via della lingua straniera. Su questo punto è pacifico per tutti, salvo pochi intolleranti, che l'artista è padrone di sce gliere i propri contenuti dove gli pare, siano essi rose, chiari di luna o la lotta di classe. E' sul piano fonico-musicale che la lingua tedesca sembra adattarsi spontaneamente alla tecnica dodecafonica cui in quell'opera Nono fondamentalmente si atteneva. Quella «frantumazione sillabica del testo in microdisegni melodici lacerati dall'intervallazione», di cui Pestalozza, nella presentazione dell'opera, dice benissimo che «tende a ripetere in sé la lacerazione dei rapporti, dei sentimenti, delle idee, delle forze materiali, dei conflitti, in¬ somma, che fanno la storia». Bene, questa frantumazione e questa lacerazione si avvertono in tedesco molto meno, o perché a r.oi importi poco della violenza esercitata su parole tedesche, ma forse anche — sospetto — perché quello stile di canto indotto dalla tecnica dodecafonica si addice con una specie di affinità nativa al suono della lingua tedesca. Sicché dopo avere tanto esaltato la tradizione italiana, anzi veneziana, insita nella vocalità di Nono, ci troviamo nella curiosa situazione di constatare che in tedesco suona, non dico meglio, ma più naturale. Anche la realizzazione scenica dell'Opera di Norimberga, che ha accolto l'opera nel proprio repertorio, dandone una dozzina di rappresentazioni in sede e portandola due anni or sono al Festival di Zurigo, contribuisce ad attutire la violenza espressionistica e polemica che a Venezia aveva fatto schiumare di rabbia i conservatori, sia artistici che politici. Le scene di Vedova, con la loro intensità pittorica, erano qualcosa di eccezionale, che si può fare una volta, ma che non si può pensare di insediare stabilmente nella pratica teatrale. La realizzazione scenica di Wolfgang Weber, Peter Heyduck e Lajos Kereszter colloca l'opera entro gli schemi d'un impianto solidamente affermato nel teatro tedesco contemporaneo, e che si può far risalire al progetto escogitato da Arnold Schoenberg per «La mano felice». Otto o nove piccoli schermi, nella parte superiore della scena, ricevono continuamente proiezioni che rappresentano, praticamente, quello che viene detto o cantato nella colonna sonora (la vasta parte corale è in gran parte registrata dal coro del Westdeutscher Rundfunk, diretto da Karl Kaufhold, ma in parte anche eseguita dal vivo, col coro del teatro, istruito da Adam Rauh). | Mentre la parte centrale e ante- riore del.palcoscenico resta a disposizione dei cinque personaggi, due nicchie ai lati accolgono gruppi e figurazioni di comparse (per esempio i gesti del lavoro e della fatica dei minatori). Da questa messa in scena funzionale, di relativamente rapida attuazione, restano un poco attenuati i contrasti drammatici dell'opera e ne viene messo in evidenza il carattere di oratorio. Esso si afferma specialmente in quell'esteso altopiano lirico centrale, che comincia col bell'intermezzo sinfonico tra le scene della tortura e l'altissimo coro dei prigionieri. E' la parte, diciamo così, più «scritta» della partitura di Nono, qualcuno potrà magari dire la più tradizionale, e non importa niente, tradizione non è colta né difetto, certo è — insieme alla vibrante aria della compagna — una testimonianza sicura della grandezza musicale di Nono. Impeccabile l'esecuzione offerta dall'orchestra filarmonica della città di Norimberga, diretta da Hans Gierster. Lodevoli i cinque solisti vocali, alle prese con difficoltà inumane. Il tenore Cesare Curzi difende con coraggio la parte estenuante di quell'emigrante che è protagonista quasi onnipresente dell'opera (compressa da due atti in uno solo, essa rende ancor più faticosa la prova di questo personaggio). Dunja Vejzovic è la donna possessiva che vorrebbe trattenere l'emigrante nella sua terra d'esilio. Fabio Giongo un torturato e Barry Hanner un algerino. Alla voce imperiosa ed acuta di Maria De Francesca Cavazza spetta la famosa invettiva «Mai! Mai! Mai!», che è quasi il «Di quella pira» della situazione. In tedesco suona pule assai bene, come uno strido, «Nie!». E nel coro finale, che è anch'esso uno dei momenti alti della musica di Nono, è pure da notare come le parole della poesia di Brecht «l'ora che all'uom un aiuto sia all'uomo», in tedesco («Dass der Mensch dem Menschen ein Helfer isi») s'inseriscano pacificamente, proprio per il loro suono, dentro l'alveo d'una tradizione musicale augusta, qual è quella della filantropia settecentesca, coi pilastri della «Nona sinfonia» e delle composizioni massoniche di Mozart. L'esito della serata non ha rinnovato la violenza di contrasti — ma, purtroppo, nemmeno l'affollamento — della «prima» veneziana. Contrasti, certo, ma blandi e soverchiati dal calore degli applausi che hanno salutato Nono ed i valorosi esecutori. Massimo Mila

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